Sentite (?) questa. Vado
scorrendo le pagine patinate di una ritrovata, impolverata rivista settimanale di
qualche tempo addietro che si potrebbe definire molto “glamour”, termine che,
stando ai linguisti compulsati freneticamente, letteralmente ha il significato
di “incantesimo”,
“incantesimo”
che ha la funzione di trasformare magicamente l’apparire degli umani e calamitarne
l'attenzione, obnubilando ogni altra facoltà di intendere e di volere. Con
parole più semplici, “glamour” come completo
ottundimento. La rivista, distribuita da un importante quotidiano nazionale che
ha grande presa nella pubblica opinione di sinistra o radical-chic che dir si
voglia, è una rivista che si rivolge al genere femminile. Non nascondo che l’“incantesimo”
si è creato anche per me che la scorrevo senza grande interesse, attratto
com’ero dalla sua gradevole impaginazione e dalle immagini contenute veramente
straordinarie. Alla pagina 240 della suddetta rivista mi sono imbattuto in un
servizio che ha per titolo “Caccia
verde” e per sottotitolo “Mappe e bussola alla mano: iniziano così le
avventure per trovare alcune sostanze star
di profumi e antietà”. Il tutto arricchito con straordinarie
immagini di esotici paradisi. È stato facile che la “mosca” mi saltasse al
naso; capisco la ricerca spasmodica per nuove fragranze da proporre, ai sempre maleodoranti
umani, sugli scaffali dell’intero pianeta Terra, ma quell’”antietà” mi è sembrato
veramente eccessivo. Ecco, mi sono detto, l’ossessione della età che avanza,
delle rughe sempre più evidenti e profonde, della cellulite che deforma le
giovanili linee corporee; deve essere proprio una vita ossessionante quella che
si conduce sul pianeta Terra, ha pensato l’alieno sempre vigile che è in me.
Per non dire poi della pagina pubblicitaria – pagina 250 - incontrata di lì a
poco nel mio svogliato, almeno inizialmente, scorrere della rivista.
Nell’immagine, due esseri di genere femminile si attendono, si confrontano
quasi: l’una, in ginocchio, che protende l’arto sinistro superiore e non
anteriore, essendo divenuta, suo malgrado – quella dell’immagine -, nel corso
dell’evoluzione, una bipede, proteso l’arto a raccogliere il “dono”
che piove quasi giù dal cielo che l’altra, come angelo amorevole e
soccorritore, le porge discendendo in volo planato e leggero dall’alto. Ma la
pagina pubblicitaria riserva, ad un occhio che sia attento, ancora
dell’incredibile, poiché in alto, a sinistra, campeggia uno scritto che sa di biblico:
“E
infine la luce fu”. L’incantesimo è creato, l’attenzione è stata
catturata. Lo scopo primo della pagina è raggiunto. Poiché lo scritto biblico
non ha nulla a che fare con la “creazione” della luce né, tanto
meno, degli umani; la luce in questione, ho letto nella didascalia stampata a
caratteri minutissimi, è “il nuovo sistema di epilazione IPL
(omissis) usa la tecnologia a luce pulsata ( Intense Pulsed Light)…”.
Straordinario. Prosaicamente detto, tutta una messinscena per eliminare la
peluria superflua degli animali maleodoranti che l’evoluzione biologica ha reso
“umani”,
ma non lo sembra proprio che lo siano divenuti a pieno. "I peli superflui" è la interessante nota di Giacomo Papi
rinvenuta su un numero remoto oramai del supplemento “D” del quotidiano “la Repubblica”.
La trascrivo – la nota - di seguito in parte. Un piccolo trattatello
sociologico e di costume, una impietosa lente d’ingrandimento sulle vanità
umane, senza distinzione di genere alcuno. La forza subliminale e persuasiva
dei media. Con tanti saluti a quella che viene definita la “ragione umana”.
(…).
Poche italiane, almeno fino al dopo guerra, si sono preoccupate dei peli
superflui. Peli superflui? Perché si dice così? Esistono peli necessari? Sono
necessari i capelli? Faccio un'indagine storica. Scopro che l'inizio della
depilazione ascellare si deve all'idea di un anonimo manager della Wilkinson:
se le donne si depilassero, pensò, le vendite dei rasoi aumenterebbero. E così,
nel maggio 1915, su Harpers Bazaar, una ragazza sollevò, per la prima volta
nella storia, un'ascella nuda al pubblico. Il messaggio era semplice: depilarsi
è igienico. Non era vero, ma in due anni le vendite raddoppiarono. L'abitudine
dilagò nel mondo anglosassone, senza che quello latino se ne desse troppo
pensiero. Ma l'essenza del capitalismo è allargare la fascia dei consumatori, e
non demordere mai. E così, a partire dagli anni del boom, l'abitudine si
diffuse anche in Europa. Italia compresa. È strano pensare che perfino i nostri
gusti erotici siano storicamente determinati. Dipendiamo da sporadiche idee del
passato, del tutto contingenti, per nulla necessarie. Dedichiamo una vita a
capire ciò che ci piace, senza sospettare di dipendere dall'intuizione notturna
di un giovane impiegato della Wilkinson, morto e sepolto da decenni. Ma la
domanda rimane: perché, oggi, odiamo i peli? Perché le donne, ormai, si
depilano ovunque? E perché lo fanno sempre più anche gli uomini? In un famoso
haiku dedicato alla moglie e cugina Erika Araki, il poeta giapponese Junichiro
Kawasaki scrisse: - Amo i tuoi peli uno per uno, poiché mi sussurrano che ci
amiamo da sempre, alla maniera delle cose che passano, bisbigliano che eravamo
scimmie e non saremo mai angeli -. Ma io non sono d'accordo. La depilazione non
dice nulla dei peli. Dice molto di come pensiamo la pelle, l'involucro del
corpo. Che dev'essere liscia, tesa, nuova poiché è il tessuto che avvolge ciò
che siamo e mostriamo. La depilazione racconta la nostra concezione del corpo.
Pulito, modellato, sgrassato, depilato, scolpito. Un oggetto esterno da
conservare con cura, la proprietà da cui ogni altra dipende. La pelle diventa
il foglio bianco su cui disegnare - con creme, operazioni, depilazioni,
tatuaggi, ginnastica - ciò che vorremmo riuscire a essere. La pelle diventa il
nostro primo vestito.
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