(…). Un tempo i bambini venivano
mandati a letto dopo Carosello. Fu guardando quel programma che gli italiani
scoprirono che anche la pubblicità poteva essere divertente, le merci erano
abbondanti e raggiungibili e il mondo un grande mercato. Ma si trattava ancora
di uno spazio quotidiano delimitato, che bisognava scegliere di vedere, anche
se era già costruito per piacere ai bambini in modo che, con la benedizione
degli adulti, imparassero subito a commisurare il divertimento in termini di
potere d'acquisto. Con l'avvento della tv commerciale, Carosello esplose e gli
antichi sketch con Ernesto Calindri, Tino Scotti e il Quartetto Cetra si
frantumarono in migliaia di film sempre più brevi e veloci. Fu un martellamento
- nacquero le televendite - ma i consigli per gli acquisti ti lasciavano ancora
una scelta. Spesso venivano annunciati. Potevi sempre alzarti e andare a fare
pipì. Gli spot tv interrompono un'emozione, ma non la impediscono. Non si
installano tra i nostri occhi e ciò che vogliamo vedere. Non sono interstiziali
come i banner di internet. La storia della pubblicità è la storia di
un'invasione progressiva e silenziosa degli interstizi della nostra vita. (…).
La pubblicità è il filtro tra noi e ciò che vogliamo vedere, o è diventata
invisibile per trasformare in dati e statistiche le nostre abitudini ed
esistenze in modo da rivenderle a chi crede di avere qualcosa da farci
comprare. Il messaggio, ancora una volta, è niente è gratis, neppure vivere, che
per tutto si deve lasciare una traccia o accettare di essere distratti.
Dovrebbe essere istituita una tassa sull'occupazione di pubblica attenzione.
Dovremmo inventare un metro per misurarla e sapere quanto vale ogni giorno ciò
che non possiamo godere perché siamo circondati da qualcuno che vuole venderci
qualcosa. (…). “Carosello” è il titolo di una delle sempre interessanti
“divagazioni” che Giacomo Papi settimanalmente proponeva – ahimè non più - sul
supplemento “D” del quotidiano “la Repubblica”. Nell’occasione l’ho trascritta
in parte. Ove si parla, anzi si scrive, di quella che fu la televisione “ingenua”
dei miei anni della fanciullezza e della preadolescenza. Gli anni
dell’apparizione del piccolo mostro casalingo. Prima che lo stesso divenisse l’idra
a tante teste che tutto fagocita senza scampo alcuno. Vidi per la prima volta
il piccolo mostro dietro la vetrina poco illuminata di un emporio in una strada
della grande Milano. Sfavillava nel buio e non si era ancora avvezzi al
labiale: le immagini rimandavano delle persone che facevano pensare al “boccheggiare”
vuoto dei pesci in un acquario. Ne ascoltai il sonoro in un ristorante: il
piccolo mostro trasmetteva l’allora “lascia e raddoppia”. Ebbi presto il
mio piccolo mostro casalingo. Accoglievo in casa, alle cinque del pomeriggio, i
ragazzi della mia età che non avevano in casa il piccolo mostro. Era, il mio,
un privilegio riservato ancora a pochi, anzi pochissimi. Era ancora il tempo
della televisione “ingenua”. Era la televisione delle “cinque della sera”; per “carosello”
bisognava attendere l’ora più tarda della cena. Poi, tutti a nanna. Era
migliore quella televisione? Se dicessi di sì avrei poco credito. Susciterei,
forse, una sghignazzata generale. Ma era la “mia” televisione “ingenua”.
Era la televisione di “Rintintin” e di “Ivanhoe”;
ma anche dei “Promessi sposi” e del “Mulino del Po”; della “Cittadella”
e del grande Edoardo; di Gilberto Govi e del maestro Alberto Manzi con il Suo “Non
è mai troppo tardi”; dei “Fratelli Karamazov” e del teatro al
venerdì; del “Musichiere” e, perché no, anche del “Lascia e raddoppia” del
grande Mike. Era la televisione “ingenua” di “Canne la vento” di Grazia
Deledda, piccolo mostro che aveva l’accortezza di riservare e custodire un suo
angolino per proporre i suoi “consigli d’acquisto”: la
“brillantina” per tenere a posto la capigliatura di un certo commissario di
polizia calvo; il “digestivo” a base di carciofi; il caffè della dolce “Carmencita”;
i pelati di una certa ditta da acquistare a scatola chiusa; ovvero, tutto un
mondo che aveva il pregio di non invadere e soggiogare l’attenzione e le menti.
Ché siano state meno soggiogate quelle menti rispetto a quelle attuali? Non
saprei rispondere. Non ricordo un film, un’opera di teatro, una trasposizione
letteraria sul piccolo schermo, un telefilm, che abbiano subito l’orrenda,
rivoltante intrusione della pubblicità della televisione non più “ingenua”.
È quanto mi sento di dire a proposito di quella televisione. Della televisione
d’oggi non salverei quasi nulla. Una catastrofe. Ricercata e voluta. Era quella
la televisione “ingenua”; era il tempo in cui “i bambini venivano mandati a
letto dopo Carosello”. Non era l’eldorado quel tempo, ma non era certo
la “suburra”
dei nostri giorni vuoti. Su di un
“pezzetto” di anonimo foglio di quotidiano di recente ho ri-letto una
interessante “provocazione” di Goffredo Fofi. Titolo della “provocazione”:
“E per iniziare si spenga la tv”.
Invito che faccio mio con gioia:
(…). Molti anni fa, (…), venne in mente a uno sciagurato grande politico post-comunista, di propormi un’alta carica televisiva che ovviamente rifiutai. Ma mi divertii a pensare a come si sarebbe potuto affrontare il moloch Tv e ridare una funzione positiva a un mezzo che si era trasformato col tempo in un mostruoso strumento di addormentamento dei suoi utenti, chiave di mercato e di governo per il tramite della pubblicità diretta e indiretta, della manipolazione delle coscienze. Affidato a una schiera di servi e prosseneti. Avrei proposto la chiusura per tre anni delle televisioni, di tutte, lasciando ai tre canali statali la possibilità di trasmettere a orari fissi notiziari solo letti o al più con poche immagini fisse, la riproposta serale di vecchi film e sceneggiati scelti da critici competenti per due ore al massimo, e nel pomeriggio di disegni animati per bambini, preferibilmente europei. Durante quei tre anni, una commissione internazionale di probiviri formata da psicologi e filosofi, sociologi e antropologi di specchiata intelligenza e riconosciuta serietà, mai provenienti dalla tv e dal giornalismo, avrebbe dovuto studiare come una diversa tv avrebbe potuto essere d’aiuto alla crescita dell’intelligenza dei suoi utenti. Beninteso, sarebbero stati licenziati in tronco tutti i dipendenti della Rai-tv, che avrebbero potuto, volendo, ripresentarsi tre anni dopo ai concorsi per le nuove assunzioni (con regole stabilite dai probiviri di cui sopra), senza usufruire di nessun privilegio rispetto ai nuovi aspiranti. Questi sogni erano forse sogni da dittatura illuminata più che da democrazia, ma sognavano le forme di una nuova democrazia, tagliando dalle radici ciò che contribuiva alla sua morte. Sogni, in ogni caso. Oggi che la crisi della tv comincia a essere evidente a tutti, provocata dai nuovi mezzi non meno rischiosi, forse è il momento buono per sognarli di nuovo, perché è di sogni simili, anche se più saggi e meno fantastici di questi, che la crisi che stiamo attraversando, in un paese incapace di ripensarsi, avrebbe bisogno mentre invece si assiste e si assisterà, come sempre, a nuovi aggiustamenti, a nuove ambiguità, a nuove compromissioni che non risolveranno granché. È di grandi e non di piccole riforme che questo tempo ha bisogno, e del coraggio di pensarle, proporle, imporle.
(…). Molti anni fa, (…), venne in mente a uno sciagurato grande politico post-comunista, di propormi un’alta carica televisiva che ovviamente rifiutai. Ma mi divertii a pensare a come si sarebbe potuto affrontare il moloch Tv e ridare una funzione positiva a un mezzo che si era trasformato col tempo in un mostruoso strumento di addormentamento dei suoi utenti, chiave di mercato e di governo per il tramite della pubblicità diretta e indiretta, della manipolazione delle coscienze. Affidato a una schiera di servi e prosseneti. Avrei proposto la chiusura per tre anni delle televisioni, di tutte, lasciando ai tre canali statali la possibilità di trasmettere a orari fissi notiziari solo letti o al più con poche immagini fisse, la riproposta serale di vecchi film e sceneggiati scelti da critici competenti per due ore al massimo, e nel pomeriggio di disegni animati per bambini, preferibilmente europei. Durante quei tre anni, una commissione internazionale di probiviri formata da psicologi e filosofi, sociologi e antropologi di specchiata intelligenza e riconosciuta serietà, mai provenienti dalla tv e dal giornalismo, avrebbe dovuto studiare come una diversa tv avrebbe potuto essere d’aiuto alla crescita dell’intelligenza dei suoi utenti. Beninteso, sarebbero stati licenziati in tronco tutti i dipendenti della Rai-tv, che avrebbero potuto, volendo, ripresentarsi tre anni dopo ai concorsi per le nuove assunzioni (con regole stabilite dai probiviri di cui sopra), senza usufruire di nessun privilegio rispetto ai nuovi aspiranti. Questi sogni erano forse sogni da dittatura illuminata più che da democrazia, ma sognavano le forme di una nuova democrazia, tagliando dalle radici ciò che contribuiva alla sua morte. Sogni, in ogni caso. Oggi che la crisi della tv comincia a essere evidente a tutti, provocata dai nuovi mezzi non meno rischiosi, forse è il momento buono per sognarli di nuovo, perché è di sogni simili, anche se più saggi e meno fantastici di questi, che la crisi che stiamo attraversando, in un paese incapace di ripensarsi, avrebbe bisogno mentre invece si assiste e si assisterà, come sempre, a nuovi aggiustamenti, a nuove ambiguità, a nuove compromissioni che non risolveranno granché. È di grandi e non di piccole riforme che questo tempo ha bisogno, e del coraggio di pensarle, proporle, imporle.
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