Da “Quel che resta del ventennio” di Barbara Spinelli, pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” del 27 di novembre dell’anno 2013: (…).
Nel 1944, non fu un italiano ma un giornalista americano, Herbert Matthews, a
dire sulla rivista Mercurio di Alba de Céspedes: «Non l’avete ucciso!»
Tutt’altro che morto, il fascismo avrebbe continuato a vivere dentro gli
italiani. Non certo nelle forme di ieri ma in tanti modi di pensare, di agire.
L’infezione, «nostro mal du siècle», sarebbe durata a lungo: a ciascuno toccava
«combatterlo per tutta la vita», dentro di sé. Lo stesso vale per la cosiddetta
caduta di Berlusconi È un sollievo sapere che non sarà più decisivo, in
Parlamento e nel governo, ma il berlusconismo è sempre lì, e non sarà semplice
disabituarsi a una droga che ha cattivato non solo politici e partiti, ma la
società. Sylos Labini lo aveva detto, nell’ottobre 2004: «Non c’è un potere
politico corrotto e una società civile sana». Fosse stata sana, la società
avrebbe resistito subito all’ascesa del capopopolo, che fu invece
irresistibile: «Siamo tutti immersi nella corruzione», avvertì Sylos. La
servitù volontaria a dominatori stranieri e predatori ce l’abbiamo nel sangue
dal Medioevo, anche se riscattata da Risorgimento e Resistenza. La stessa fine
della guerra, l’8 settembre’43, fu disastrosamente ambigua: «Tutti a casa »,
disse Badoglio, ma senza rompere con Hitler, permettendogli di occupare mezza
Italia. Tutte le nostre transizioni sono fangose doppiezze. (…). Il ventennio
dovrà essere finalmente giudicato: per come è nato, come ha potuto attecchire.
Al pari di Mussolini non cadde dal cielo, non creò ma aggravò la crisi
italiana. Nel ’94 irruppe per corazzare la cultura di illegalità e corruzione
della Dc, di Craxi, della P2, e debellare non già la Prima repubblica ma la
rigenerazione (una sorta di Risorgimento, anche se trascurò la dipendenza del
Pci dall’oro di Mosca) avviata a Milano da Mani Pulite, e poco prima a Palermo
da Falcone e Borsellino. Il berlusconismo resta innanzitutto come dispositivo
del presente (…). Ma ancora più fondamentale è l’eredità culturale e politica
del ventennio I suoi modi di pensare, d’agire, il mal du siècle che perdura.
Senza uno spietato esame di coscienza non cesseranno d’intossicare l’Italia.
(…). Altro lascito: la politica non distinta ma separata dalla morale, anzi
contrapposta. È un’abitudine mentale ormai, un credo epidemico. Già Leopardi
dice che gli italiani sono cinici proprio perché più astuti, smagati, meno
romantici dei nordici. Non sono cambiati. Ci si aggrappa a Machiavelli, che
disgiunse politica e morale. Ci si serve di lui, per dire che il fine
giustifica i mezzi. Ma è un abuso che autorizza i peggiori nostri vizi: i mezzi
divengono il fine (il potere per il potere) e lo storcono. Il falso
machiavellismo vive a destra, a sinistra, al Quirinale. La questione morale,
poco pragmatica, soffre spregio. Berlinguer la pose nel ’77: nel Pd vien
chiamata una sua devianza fuorviante.
Anche il mito della società civile è retaggio del ventennio. Il popolo è meglio dei leader, i suoi responsi sovrastano legalmente i tribunali. Democraticamente sovrano, esso incarna la volontà generale, che non erra. Salvatore Settis critica l’ambiguità di questa formula-passe-partout: è un’«etichetta legittimante, che designa portatori di interessi il cui peso è proporzionale alla potenza economica, e non alla cura del bene comune; tipicamente, imprenditori e banchieri che per difendere interessi propri e altrui si degnano discendere in politica», ritenendo inabili politici e partiti. Non solo: la società civile «viene spesso intesa non solo come diversa dallo Stato, ma come sua avversaria; quasi che lo Stato (identificato con i governi pro tempore) debba essere per sua natura il nemico del bene comune». (Azione popolare, Einaudi 2012, pp. 207, 212). Così deturpata, la formula ha fatto proseliti: grazie all’uso oligarchico della società civile (o dei tecnici), la politica è vieppiù screditata, la cultura dell’amoralità o illegalità vieppiù accreditata. (…). No, Berlusconi non l’abbiamo cancellato Perché la società è guasta: «Siamo tutti immersi nella corruzione». Da un ventennio amorale, immorale, illegale, usciremo solo se guardando nello specchio vedremo noi stessi dietro il mostro. Altrimenti dovremo dire, parafrasando Remarque: niente di nuovo sul fronte italiano. La guerra civile ed emergenziale narrata da Berlusconi ha bloccato la nostra crescita civile oltre che economica, e perpetuato la «putrefazione morale» svelata da Piero Calamandrei. Un’intera generazione è stata immolata a finte stabilità. La decadenza di Berlusconi, se verrà, è un primo atto. Sarà vana, se non decadrà anche l’atroce giudizio di Calamandrei.
Anche il mito della società civile è retaggio del ventennio. Il popolo è meglio dei leader, i suoi responsi sovrastano legalmente i tribunali. Democraticamente sovrano, esso incarna la volontà generale, che non erra. Salvatore Settis critica l’ambiguità di questa formula-passe-partout: è un’«etichetta legittimante, che designa portatori di interessi il cui peso è proporzionale alla potenza economica, e non alla cura del bene comune; tipicamente, imprenditori e banchieri che per difendere interessi propri e altrui si degnano discendere in politica», ritenendo inabili politici e partiti. Non solo: la società civile «viene spesso intesa non solo come diversa dallo Stato, ma come sua avversaria; quasi che lo Stato (identificato con i governi pro tempore) debba essere per sua natura il nemico del bene comune». (Azione popolare, Einaudi 2012, pp. 207, 212). Così deturpata, la formula ha fatto proseliti: grazie all’uso oligarchico della società civile (o dei tecnici), la politica è vieppiù screditata, la cultura dell’amoralità o illegalità vieppiù accreditata. (…). No, Berlusconi non l’abbiamo cancellato Perché la società è guasta: «Siamo tutti immersi nella corruzione». Da un ventennio amorale, immorale, illegale, usciremo solo se guardando nello specchio vedremo noi stessi dietro il mostro. Altrimenti dovremo dire, parafrasando Remarque: niente di nuovo sul fronte italiano. La guerra civile ed emergenziale narrata da Berlusconi ha bloccato la nostra crescita civile oltre che economica, e perpetuato la «putrefazione morale» svelata da Piero Calamandrei. Un’intera generazione è stata immolata a finte stabilità. La decadenza di Berlusconi, se verrà, è un primo atto. Sarà vana, se non decadrà anche l’atroce giudizio di Calamandrei.
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