"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 15 novembre 2017

Sfogliature. 86 “LaoTzu, ovvero della via saggia e giusta”.



La “sfogliatura” che si propone risale ad un giorno - che era di giovedì - del nostro calendario che era per l’appunto il 7 di aprile dell’anno 2011. L’uomo venuto da Arcore avrebbe da lì a qualche mese rassegnato le dimissioni e lasciato il palazzo del governo con la piena “sfiducia” non già del parlamento del bel paese in rappresentanza del cosiddetto popolo sovrano ma dei poteri forti dell’Europa finanziaria e non già dei popoli. Intanto, per imperscrutabili ragioni, l’uomo torna oggigiorno a calcare da primo attore quel teatrino della politica che tanto aborriva e che gli procurava, a suo dire, attacchi fastidiosissimi della peggiore “orticaria”. Vallo a credere! Tanto è vero che continua a dimenarsi su quelle polverose tavole teatrali come il migliore ed insuperato artista della commedia dell’arte. Scrivevo a quel tempo: Non riesco a cancellare dalla mia mente la “stupefacente” – ché non trattasi, in verità, secondo una delle definizioni del dizionario Sabatini_Colletti, “di sostanza di origine vegetale o sintetica che, introdotta nell'organismo, agisce sul sistema nervoso provocando uno stato di torpore, di eccitazione o di alterazione della percezione e il cui uso prolungato produce assuefazione e gravi danni psichici e fisici” -, visione del popolo plaudente di Lampedusa, visto attraverso il freddo occhio delle telecamere come in preda ad uno stato di torpore cerebrale che fa un tutt’uno con il torpore  di un immaginario, immenso, squinternato “sistema cerebrale collettivo” che dovrebbe presiedere alla vita di relazione nel bel paese. È lo stesso popolo che nei giorni precedenti, è pur vero, si era mobilitato in un’opera straordinaria di soccorso e di aiuto nei confronti dei profughi approdati su quell’isola. È lo stesso popolo che, ad un certo punto, si era visto soffocato da una straripante presenza di migranti e che aveva dato inizio ad un mugugno che pian piano è salito di tono e di volume sino a giungere all’orecchio distratto e/o indifferente del “grande fratello” che, di gran corsa, è approdato su quegli incolti scogli emergenti da quel sepolcro di migranti che è divenuto, nel corso degli ultimi anni, il mare Mediterraneo.
È sempre quel popolo che, come d’incanto, cessa subitamente di mugugnare e si scioglie in gesti di consenso e di sottomissione a quel “grande fratello” accorso per distribuire, ancora una volta, facezie, illusioni e quant’altro del suo sperimentato repertorio d’avanspettacolo. Ma come è possibile tutto ciò? Quale arte illusoria è capace di sprigionare con le sue banalità se non con le sue sconcezze? Negli anni del suo “praticantato” politico, che ben poco gli è servito per trasformarlo in un vero statista, né tantomeno per trasformarlo in un accorto ma sempre mediocre reggitore della cosa pubblica, in tutti questi anni, dicevo, la sua invadente ilarità, la sua goffaggine nel rapportarsi con i rappresentanti degli altri paesi, le sue sconcezze nei confronti degli avversari divenuti “nemici”, sconcezze proprie di luoghi di malfamata memoria e denominazione, hanno concorso a rendere del bel paese, nella sua interezza, una immagine di estrema decadenza sociale, politica e morale, ancorché etica, decadenza etica dalla quale sarà ben arduo rimontare verso una più accettabile rappresentazione che sia pienamente rispondente alla sua storia culturale e politica. Come è stato possibile che il popolo plaudente di Lampedusa si sia lasciato irretire dalle oramai riconosciute e scontate fanfaluche del “grande fratello”? È riportata, nel dizionario Sabatini-Coletti, alla voce “fanfaluca”, sostantivo femminile diffusosi nel secolo XVI, la definizione seguente: “cosa da nulla; bugia, sciocchezza, stupidaggine”. Come è stato possibile che il generoso popolo di Lampedusa si sia fatto abbindolare dimostrando una così “stupefacente” credulità? Ha scritto Goffredo Fofi nel Suo volume “La vocazione minoritaria” – Laterza editore (2009) € 12,00 – alle pagine 3 e 4 -: “Una delle astuzie della società attuale – almeno in Italia – è di aver convinto i poveri ad amare i ricchi, a idolatrare la ricchezza e la volgarità. In passato i poveri solitamente non amavano i ricchi: li si convinceva, anche con la forza, a sopportare la loro condizione, si tollerava anche che peccassero di invidia, al più li si spaventava con la prospettiva delle pene dell’inferno. Negli anni Ottanta, negli anni di Craxi, è esplosa invece una cosa del tutto nuova: la tendenza a negare le differenze tra i ricchi e i non ricchi, a far sì che i non ricchi si pensino ricchi, che amino i ricchi come maestri di vita, come modelli assoluti di cui seguir ogni esempio. (…)”. Lo spettacolo dominante odierno è quello che ci è stato offerto dal laborioso e generoso popolo di Lampedusa. Della “banalità” dell’oggi ne ha scritto dottamente Barbara Spinelli in un editoriale – “Operazione banalità” – pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”, editoriale che di seguito trascrivo in parte: (…). …i latini lo chiamavano gravitas, virtù di chi governa (lo è ancora, nell'articolo 54 della Costituzione). Da sempre, la calamità personale è la verifica dell'attitudine al comando. Ma nel mondo di Silvio Berlusconi non è così. Se solo proviamo a penetrarlo, vedremo che è un mondo parallelo, in tutto somigliante all'allestimento, al casting, al linguaggio delle televisioni commerciali. La realtà sfuma in irrealtà e viceversa, i protagonisti non parlano ma recitano copioni preconfezionati, il pubblico plaudente è esibito come popolo, qualche comparsa emette fandonie. Questo è il premier, specie in questi giorni: una comparsa buffonesca, che sghignazza su quel che fra poco, (…), sta per accadergli. L'Italia intera è un suo villaggio Potemkin, fatto di cartapesta colorata per occultare detriti e rovine. Nel villaggio lui è re, e ride ininterrottamente, di tutti e anche di sé. (…). Berlusconi non nasconde nulla di quel che fa ma anzi ne dilata i dettagli, li rende derisori, li evoca anche nei momenti in cui uno magari penserebbe ad altro. Di continuo siamo trascinati nel suo set-universo parallelo dove il reale si dissolve e l'assedio svanisce: perché se è derisorio lui quanto più lo saranno magistrati e giornalisti! Ha un suo sogno ridicolo e non sottile, l'uomo Berlusconi, ma c'è del metodo e anche una cinica conoscenza delle cose, nel suo architettare villaggi finti: c'è la rappresentazione di una gioventù scombussolata da lavori senza futuro, e di un'Italia ridanciana, indifferente alle leggi perché dalle leggi non protetta. (…). Basta divenire padrone delle parole e delle leggi, per storcere gli eventi e capovolgerli. Risultato: quello (…) non è un processo per concussione e minorenni prostituite. È un monumentale processo al desiderio, alla simpatia, alla leggerezza, alle risate. L'ironia, la più eccelsa delle arti, è usata come arma micidiale che sminuzza i fatti e li rende irriconoscibili. Niente mi minaccia, se ci rido sopra. Niente m'insidia, se come Napoleone m'impossesso dei sogni di soldati ed elettori. È il sotterfugio offerto sin dall'inizio dalle sue tv, tramite le quali conquistò le menti e l'etere. Lui ri-crea un mondo ma frantumato, e nel frammento vivi bene perché non vedi il tutto, non connetti i fatti tra loro sicché li scordi presto. Robin Lakoff, denunciando i nuovi demagoghi delle destre americane, parla di agenda dell'ignoranza. Chi non dimentica il tutto, il contesto, è lui, il capo che sui falsi paesaggi ha idee ben chiare. Deve essere un paesaggio di emergenza e caos perenni, dove chi comanda si traveste da vittima, dove il potere continuamente deve essere espugnato, mai esercitato. Il Parlamento merita castighi, perché il leader sia solo davanti al popolo (…). Magistratura e Consulta hanno fame di potere politico, e vanno evirate. La Costituzione è un laccio. La politica non è manovrare, ma rimestare e smistare possibili ricatti. (…). Resta la stranezza, il mistero. Perché tanto ridacchiare, alla vigilia del processo Ruby e di altri procedimenti? Quale spettacolo sta mandando in onda, di cui noi non siamo che ignoranti comparse? Quali leggi e stratagemmi inventerà (…) perché ogni processo si spenga? L'obiettivo è la negazione del reale, ma c'è un più di violenza, c'è una tattica bellica preventiva presa in prestito dallo Spirito dei Tempi. Tutto è annuncio preventivo, prima che il reale si avveri, (…): anche qui viviamo eventi senza conoscerli, che paiono escrescenze delle tv commerciali. (…) La tv commerciale fa legge, prima ancora che le cose avvengano: «Lo dice la televisione», e performativamente il fatto esiste. In un blog intitolato Una Storia Noiosa leggo: «Il fact finding/ checking viene sostituito da immagini che non esistono, ma che se esistessero testimonierebbero indubitabilmente la realtà di questi fatti, di cui peraltro il giornalista non è testimone diretto. Vertiginoso. Nasce il genere del reportage preventivo. Non so dire se siamo al funerale dell'immagine o al suo trionfo: l'immagine può permettersi di non esistere fisicamente, tanto tutti diamo per buono che rappresenterebbe fedelmente quella che già sappiamo essere la realtà» (…). Nel mondo di Berlusconi, la guerra al reale si fa preventiva. Più precisamente, e in conformità al personaggio: si fa apotropaica (apotropaico è il gesto che allontana e annulla un'influenza maligna: per esempio, toccarferro). (…). Una risata vi seppellirà. Lo promette Berlusconi, forse dimenticando che furono gli anarchici dell'800 e la sinistra estrema nel '900 a coniare lo slogan. Fortuna che abbiamo LaoTzu, che da 2.500 anni dice, della via saggia e giusta: «Quando un dotto di prim'ordine sente parlare della via, la segue rispettosamente. Quando un dotto di mezza levatura sente parlare della via, ora la mantiene ora la perde. Quando un dotto d'infimo ordine sente parlare della via, si fa una grande risata».

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