Da “L’enigma
di Trump un anno dopo” di Roberto Faenza, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 19 di novembre 2017: (…). Ci avevano spiegato che gli elettori
dell’uomo dal ciuffo color zenzero erano stati in maggioranza bianchi, poveri,
blue collar, conservatori e repubblicani. Adesso, invece, l’American National
Election Study rivela che almeno due terzi sono elettori di varie classi
sociali, benestanti, con un reddito spesso superiore ai 100.000 dollari, molti
dei quali provenienti dal Partito democratico, in odio a Hillary Clinton. (…). Trump
ha vinto perché ha saputo parlare al ventre del Paese, stanco di un presidente
dalla pelle nera, la cui elezione era stata uno choc mai elaborato. Quella
parte degli Stati Uniti non poteva digerire un secondo affronto, mandando alla
Casa Bianca una donna. Trump è bravo a spargere illusioni: “Sapendo fare
perfettamente i miei affari, posso fare lo stesso con i vostri”. Parla come i
salesman e in questo somiglia al nostro Silvio Berlusconi. (…). Già l’idea di
erigere una muraglia ai confini del Messico per impedire a un fiume di
disperati di guadagnare qualche dollaro, sfruttati come sotto lo schiavismo,
dimostra le idee dell’uomo della Casa Bianca. Per fortuna la costruzione, lunga
650 miglia, il cui costo è di 40 miliardi di dollari, è rimandata perché non ci
sono i soldi. Trump li ha chiesti al presidente messicano, che ha risposto con
una risata. Il Trumpworld è un regno che somiglia a Disneyland. Abituato alle
porte d’oro massiccio della sua magione di New York, quando Trump jr., 11 anni,
è entrato alla Casa Bianca ha chiesto: papà, ma siamo diventati poveri? È
questo il mondo in cui si muove il presidente. Lo hanno votato un gran numero
di diseredati, senza capire che avrebbe fatto diventare i ricchi sempre più
ricchi e i poveri sempre più poveri. Vedi l’annunciato taglio delle tasse dal
35% al 20%, che favorirà soprattutto corporation e i magnati. Dobbiamo però
ammettere che l’America di Trump sta correndo verso un benessere insperato.
L’economia tira, la disoccupazione è scesa al 4,1%, la più bassa da 17 anni, la
Borsa macina ogni settimana plusvalenze, sono stati promessi 25 milioni di
nuovi posti di lavoro. Dunque tutto bene? Quando i media pensavano che Trump
non ce l’avrebbe fatta gli sparavano contro, adesso che l’economia tira persino
il New York Times s’è fatto rispettoso. Chiedo a Wilder Knight, un avvocato di
Wall Street che ha lavorato con Trump, ma non l’ha votato, cosa pensa di questa
euforia. La sua risposta è netta: il presidente sta promettendo la luna, come
la sparata di investire 1.000 miliardi di dollari in infrastrutture. Per farlo
dovrà indebitarsi. Trump sta amministrando l’America come uno dei suoi casinò.
Un costruttore importante, Michael J. Kosoff, prevede che di questo passo, da
qui a tre anni, ci sarà un nuovo crac finanziario, come quello del 2007. Quando
pensiamo alla crisi che ancora paghiamo di tasca nostra, pochi ricordano che è
iniziata in America con la bolla immobiliare, dunque non per colpa nostra. Solo
che gli americani si sono ripresi, noi invece siamo ancora a leccarci le
ferite. Betty Lou, una insegnante di high school, mi racconta che il Trumpworld
è un Paese dove c’è un riccone che ha pagato 17 milioni di dollari all’asta per
il Rolex d’oro di Paul Newman. È il Paese dove in una città come Chicago c’è
una sparatoria ogni 2 ore, con oltre 8.000 morti in 6 anni. È il Paese dove
puoi comprare per strada un fucile a pompa a 75 dollari, coi risultato che si
vedono. È il paese dove in California a spegnere gli incendi assoldano i
detenuti e li pagano un dollaro all’ora. È la terra dove negli ultimi 12 mesi
sono stati registrati 64.070 decessi di overdose per lo più giovani. Ed è il
Paese dove il Ku Klux Kan ora che c’è Trump accorre ai suoi comizi e applaude
imbracciando le armi di fronte a centinaia di poliziotti che restano a
guardare. Sento il mitico Harry Belafonte, che da poco ha compiuto 90 anni. È
figlio di emigrati giamaicani e forse esagera, ma secondo lui “Hitler non è
così lontano da casa nostra”. Per Daniel Radcliff, il protagonista di Harry
Potter, Trump ricorda Lord Voldemort, il mago della saga dal volto sfigurato. In
questi giorni Trump, tornato dalla Cina, gode alla grande vedendo al tappeto i
divi di Hollywood, che gli è sempre stata contro, annichiliti dal caso
Weinstein. Molti sperano che l’uomo non duri, raggiunto da un impeachment per
le sue connessioni elettorali con la Russia. Non so se sperarlo, considerando
che al suo posto salirebbe l’attuale vice, Mike Pence, ancora più reazionario,
uno che se potesse metterebbe in galera i gay e i medici abortisti. Se le cose
si mettessero davvero male, credo che per restare in sella Trump tirerebbe
fuori l’asso dalla manica di un bombardamento sulla testa di Kim, il pazzo
nordcoreano. Un po’ come fece Bill Clinton quando, nel 1998, due giorni prima
della richiesta di dimissioni per aver mentito sulla sua relazione con Monica
Lewinsky, si salvò bombardando l’Iraq.
A Berlusconi, che si lamenta di essere
perseguitato dai giudici, può far piacere sapere che Trump è già stato citato
in giudizio 134 volte. Se il presidente teme la magistratura, non è che Hillary
Clinton stia molto meglio. Viene accusata di avere pagato agenti segreti per
infangare il rivale, costruendo dossier. Non riesce a difenderla il Partito
democratico, in catalessi e senza più un leader, nonostante i recenti successi
in Virginia e New Jersey. Alla George School a Newtown, un college di
eccellenza, ho occasione di parlare con studenti e docenti e farmi un’idea di
come si vive nell’era di Trump. Se gli studenti sono preoccupati (la Casa
Bianca intende tagliare i finanziamenti all’istruzione), i docenti lo sono per
le sue posizioni. Ha dichiarato che il problema del surriscaldamento del globo
non sussiste e preme per tornare al carbone, nonostante sia stato appena
contraddetto dalle sue stesse agenzie federali, cosa mai accaduta a un
presidente in carica. La gente che ha scelto Trump si sente impoverita dalla
globalizzazione, odia il capitalismo ma non si accorge di avere eletto il suo
massimo esponente. Ora però molti cominciano a ripensarci e infatti l’indice di
popolarità del presidente è sceso al 39%. George W Bush, nel momento di massima
disgrazia, era al 56%. Sono le contraddizioni di un’America che non può non
preoccuparci. Ma noi italiani possiamo dirci molto diversi, se è possibile che
Berlusconi torni a governarci?
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