Da “Siamo senza talento, anche per il crimine” di Antonello Caporale, intervista
a Giuseppe De Rita pubblicata su “il Fatto Quotidiano” del 24 di novembre dell’anno
2012: “Siamo una società di coriandoli. Linguette di carta che volano
ciascuna per suo conto e si disperdono senza mai ritrovarsi. Una società di
pesi piuma, senza grandi talenti, senza molti pensieri”.
Addormentati. “Manca il conflitto
sociale”.
Purtroppo o per fortuna? “Il
conflitto esibisce un pensiero, garantisce una riflessione, muove intelligenze,
cambia la società. Il conflitto è benefico”.
Non c’è conflitto, ma c’è
violenza. “No, neanche questo è vero. La suggestione è frutto di una rifrazione
mediatica, quasi un effetto ottico. Episodi singoli, onde emotive, sprazzi
violenti in una società piuttosto vecchia e stanca, che ha corso troppo ed è
ancora relativamente agiata”.
(…). “La violenza può essere un
effetto collaterale di un conflitto sociale, di una crepa che si manifesta
nella società, e di un pensiero organizzato che si contrappone a un altro. Col
Sessantotto è nata l’Italia nuova, le piccole aziende, i grandi numeri del
sommerso. Quello era un conflitto autentico. La storia patria dell’ultimo
cinquantennio è figlia di quel conflitto. Oggi purtroppo non è così. Ignava
quando non pigra, non conosce che la solitudine. Questi sono picchi di rabbia,
piccole onde isolate”.
Ci sarebbe da rallegrarsene.
“Niente affatto. Marcuse illustrava questa nostra età, del cosiddetto tardo
capitalismo: moltiplica l’offerta e distrugge il desiderio. Ecco, questa è una
società senza desiderio, senza rabbia organizzata né un’idea condivisa di
futuro. Siamo soli ma senza solitudini; soli e senza desideri”.
Disperazioni singole. “Ci sono
migliaia di precari, ma ciascuno vive la sua difficoltà nel silenzio della sua
stanza, della sua casa. Nessuno riconosce come propria la precarietà
dell’altro, non la identifica, non avverte relazione né connessione, e la sua
difficoltà resta una questione domestica, un dilemma personale, una disgrazia
singola. E la rete non collega i sentimenti e per di più azzera le relazioni
fisiche. Siamo più vicini eppure molto più lontani l’uno dall’altro”.
Viva il conflitto! “Il conflitto
per essere vero ha bisogno di un pensiero, di una riflessione profonda. E il
conflitto è benefico, serve alla società perché la ristruttura, fa emergere
idee e gambe. Uomini nuovi”.
E tutti questi coltelli in giro?
E le botte da orbi per strada? Questi che fenomeni sono? “Magari mi iscriverete
fra i beoti ottimisti, ma questi non sono sintomi di un conflitto, piuttosto
enzimi di un disagio che la crisi tende a espandere. Non da sottovalutare ma
non in grado di farmi dire: l’Italia è divenuta un Paese violento”.
La paura come effetto ottico?
“Tipica rifrazione mediatica. Le cosiddette bolle. Si estremizzano e si rendono
di massa particolari picchi emotivi”.
I continui disordini di piazza li
rubrichiamo come picchi emotivi? “Ricordo quando partecipai alle proteste per
Trieste italiana. Botte da orbi per strada, eppure quella fu una ragazzata, non
una cosa seria”.
Ah, ecco. “Pensi se l’opposizione al berlusconismo si fosse tradotta in atti violenti. Immagini se i girotondi avessero deciso una battaglia anche fisica. Ecco, in quel caso”.
Meno male che non è stato così.
“Anch’io dico meno male. Non fraintenda. Non è che non veda il disagio o questi
episodi. Ma la violenza è un’altra cosa. Mi pare più grave che non esista il
conflitto, perché significa che i gruppi sociali non hanno capacità di analisi,
né profondità. Amico mio, siamo ancora parecchio immersi nell’agio”.
Italia in poltrona. “Ecco,
mediamente in poltrona, asfittica, senza slancio e senza idee. Siamo una
società a coriandoli: l’uno disperso per aria segue una sua propria
traiettoria. Mille e mille coriandoli in cielo, ognuno per la sua via aerea”.
Ci vuole talento anche per essere
dei criminali. “Anzitutto ci vuole organizzazione. Infatti si dice criminalità
organizzata. Ed ha un senso definirla così”.
Non c’è consolazione. “Mi pare
proprio di no”.
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