"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 8 febbraio 2016

Paginatre. 19 “La fede cattolica è compatibile con la democrazia?”.



Da “L’invasione dei clerico-populisti” di Paolo Flores D’Arcais, sul quotidiano l’Unità del 10 di luglio dell’anno 2005: (…). La fede cattolica è compatibile con la democrazia? Dipende. Dipende dal tipo di fede che il cattolico vive, dal modo in cui fonda la sua fede, dai rapporti che pretende di stabilire tra la sua fede e la comune ragione umana. C’è la fede di Paolo, la “follia” della croce, che è “scandalo” per la ragione: è la fede delle prime generazioni di cristiani, perfettamente sintetizzata nella frase “credo quia absurdum” (…). C’è la fede di Guglielmo di Ockham, francescano e logico, che col suo “rasoio” distrugge tutte le pretese di ogni teologia razionale. C’è la fede di Pascal, proposta allo scettico come vera e propria scommessa. C’è, in tutti questi casi, la consapevolezza che la fede non è dimostrabile. Neppure per quanto riguarda un Dio creatore  e l’anima immortale. E quanto al resto, un Dio che si fa uomo, morto sulla croce e risorto, che la fede è addirittura follia rispetto alla ragione. Absurdum. (…). La fede cattolica diventa (…) incompatibile con la democrazia non appena pretenda che un nucleo cospicuo di tale fede sia anche una verità di ragione, una norma naturale e obiettiva, iscritta nel cuore dell’uomo a somiglianza del patrimonio cromosomico, e che ogni  uso “retto” della ragione possa scoprirla e debba dunque obbedirla. Ogni qual volta avanzi tale pretesa, la fede cattolica diventa incompatibile con la democrazia. Incompatibile per natura e in potenza (…). Che poi si scontri davvero con la democrazia, o si rassegni a un modus vivendi, dipenderà da circostanze storiche, rapporti di forza, addirittura personalità e psiche (inconscio compreso) dei singoli papi. (…). Assoggettare il potere politico alla “Verità” è stata (…) la dottrina della Chiesa. Qualsiasi potere politico. E quello democratico più che mai, perché il più refrattario a piegarsi. La Chiesa, insomma, e checché se ne dica, non ha mai riconosciuto la democrazia liberale in quanto tale. Perché una democrazia sia “vera e sana” lo Stato deve essere “unità organica e organizzatrice di vero popolo” e il governo vedere “nella sua carica la missione di attuare l’ordine voluto da Dio (…). Se l’avvenire apparterrà alla democrazia, una parte essenziale del suo compimento dovrà toccare alla religione di Cristo e alla Chiesa”. Sono parole – davvero inequivocabili – pronunciate da Pio XII nel radiomessaggio “Il sesto Natale di guerra”. Inutile girarci intorno: la democrazia, per essere “vera e sana” deve “attuare l’ordine voluto da Dio”. Insomma, si scrive democrazia, ma si pronunzia teocrazia. Nulla di più pretendeva il Sillabo di Pio IX, quando nella “proposizione LVII” gettava l’anatema contro ogni legge che non si conformasse “alla divina ed ecclesiastica autorità”. (…). La democrazia è un’altra cosa. Agli antipodi.
La democrazia è la prima forma di convivenza umana che non si fonda sull’eteronomia ma sull’autonomia. Che non trae la sua legittimità da un aldilà, ma da se stessa, cioè dagli uomini che si danno (autos nomos) le leggi cui obbedire. Non più la sovranità di Dio e dei suoi vicari su questa terra (non a caso “unti del Signore”), ma la sovranità dei cittadini. Per questo la democrazia è la forma politica più fragile, perché priva di fondamento. Perché costretta a sostenersi da sé nel vuoto del disincanto, esattamente come il barone di Munchausen che si teneva in aria per il bavero (o il suo codino?). La democrazia è infatti sempre esposta al rischio che una maggioranza preferisca – alla fatica della libertà e al dolore di essere individui – inedite sirene di servitù volontaria. (…). I vescovi chiedano pure ai fedeli di non usare il preservativo e la pillola, di non divorziare, di non abortire per nessuna ragione, di non porre fine con l’eutanasia a una vita ridotta a tortura. Ogni volta che pretendono di imporre queste norme per legge, a chi credente non è, aggrediscono e calpestano la democrazia. Trasformare il peccato in reato è peccato (e reato) contro la democrazia. Come se il testimone di Geova imponesse una legge che vieta le trasfusioni, e il fedele islamico il Corano come costituzione. Pretese ugualmente teocratiche. Contro le quali non solo “laicismo è bello”  ma è più che mai indispensabile. Altrimenti la democrazia è già in coma.

Da “Sette ragioni per non discriminare nessuno” di Umberto Galimberti, sul settimanale “D” del 6 di febbraio 2016: Sui diritti delle coppie non sposate, etero e gay, troppo spesso false ragioni di principio e ipocrisie mascherate da senso dell'opportunità impediscono di decidere serenamente. Se dalle vicende umane si lasciasse fuori Dio - alla cui esistenza non tutta l'umanità crede, e coloro che credono si rivolgono a un Dio che dà ordini diversi a seconda delle religioni o, pur credendo, si comportano diversamente da come prescrivono i voleri di Dio - se lasciassimo fuori Dio, dicevo, riusciremmo con più semplicità a risolvere i nostri problemi, ivi comprese le unioni civili (…). (…). …mi limito a esporre alcuni criteri che, se considerati, potrebbero evitare tante ipocrisie ben nascoste da problemi di coscienza. 1. Le coppie di fatto sono appunto un "fatto" che già esiste, non solo tra omosessuali su cui si concentra l'attenzione, ma anche tra eterosessuali. Si tratta quindi di formalizzare la loro posizione, come è formalizzata la posizione di quanti contraggono matrimonio, diritti e doveri compresi, per il semplice fatto che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge a prescindere dai loro orientamenti affettivi, sentimentali e sessuali. 2. Non farlo significa legittimare solo quelle coppie che hanno la possibilità di procreare. E sostenere che chi questa possibilità non ce l'ha non ha diritto a essere legittimato. Criterio, questo, che più materialistico di così non può essere, anche se a difenderlo sono gli uomini di Chiesa che parlano sempre di Spirito. 3. Ma anche coloro che non possono procreare come natura vuole, possono procreare con l'aiuto della tecnica. E qui vien da dire: come può la morale o la politica impedire alla tecnica di non fare ciò che può? Come tutta la storia ci insegna, se una cosa è resa possibile, prima o poi ce ne si serve. 4. Anche l'utero in affitto? Se non è per danaro, come quando si sfrutta la condizione di povertà delle donne che si vedono costrette a mettere sul mercato il loro corpo (come peraltro avviene già con la prostituzione, senza troppe obiezioni se non per il disturbo che può arrecare quiete pubblica), perché impedirlo? Allora dovremmo impedire anche la donazione di un rene o del proprio midollo spinale. E se questo è consentito per salvare delle vite, che cosa impedisce di consentirlo anche per generarle? 5. Ancora, perché rendere così difficile l'adozione del bambino/a del proprio compagno o della propria compagna anche se dello stesso sesso (e potremmo aggiungere e addirittura auspicare la possibilità di adozione a tutti i bambini denutriti, schiavizzati o semplicemente infelici del mondo), quando tutti sappiamo che la salute fisica e mentale dei bambini dipende dalla cura e dell'amore di chi li cresce e non dal fatto di avere una mamma e un papà che magari litigano, si separano, divorziano, utilizzano i figli stessi come arma di ricatto, compromettendo per davvero il loro equilibrio e la loro fiducia nell'amore? 6. Nelle votazioni si lascerà libertà di coscienza. Ma che cos'è la coscienza di ciascuno di noi se non il frutto della nostra educazione, della nostra fede, delle nostre ideologie, delle nostre convinzioni? Assumere questo criterio del tutto soggettivo vi pare sufficiente per decidere la condizione civile oggettiva di quanti oggi sono discriminati nell'esercizio dei loro diritti? A me proprio non pare, anche perché troppo spesso la coscienza viene evocata per mascherare quelle che in realtà sono lotte politiche, che nulla hanno a che fare con la questione dell'estensione dei diritti a chi non li ha. 7. Da ultimo, non si dimentichi che le persone vengono prima dei principi a cui si appella la nostra falsa coscienza. E su questo punto sono d'accordo tanto la visone religiosa di Gesù, laddove dice «Il sabato è fatto per l'uomo e non l' uomo per il sabato», quanto la visione illuminista di Kant, che scrive: «La morale è fatta per l'uomo, non l'uomo per la morale». 

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