“LeggereNori”. “Quali
sono le colpe del popolo russo”, testo di Paolo Nori pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 15 di maggio 2025: Sono contento quando mi chiedono di fare
delle interviste, però chiedo sempre di farle per iscritto perché così, almeno,
pubblicano quello che dico. Mi faccio mandare le domande e rispondo, e così ho
fatto con un giornalista, l'altro giorno; una delle domande era "Che filo
c'è tra la sua Russia letteraria e quella che sta facendo la guerra
all'Ucraina?". Io ho risposto che un ex funzionario del Kgb aveva proposto
di far diventare la sede dell'ex Kgb di Pietroburgo monumento letterario, e gli
hanno chiesto "Perché?", "Come perché?" ha risposto lui "son
passati tutti di qui". E aveva ragione. Tutti i grandi scrittori russi del
Novecento sono passati di lì e qualcuno, di lì, non è uscito. La letteratura
russa, ho aggiunto è, da sempre, il più grande nemico del potere russo, e mi
sembra che diffonderla non significhi fare un piacere al potere, ma fargli un
dispetto. Dopodiché il giornalista mi ha chiesto: "La letteratura russa è
innocente?" e io gli ho risposto "Che strana domanda". Dopo lui
mi ha chiesto "Il popolo russo è innocente?", e io gli ho risposto:
"Il popolo tedesco è innocente? Il popolo italiano è innocente? Il popolo
israeliano è innocente? E il popolo palestinese? Il popolo turco? Il popolo
statunitense? Che strana locuzione, il popolo statunitense. Esiste? Non uso
popolo americano perché l'America è un continente abitato, per gran parte, da
persone che parlano spagnolo o portoghese per via di quello che Zvetan Todorov,
in un libro molto istruttivo, ha chiamato 'Il problema dell'altro' (il libro si
intitola La conquista dell'America, in riferimento alla quale mi viene da
chiedere se il popolo spagnolo è innocente. E quello portoghese?)". Ecco.
Quando l'intervista è uscita sul giornale, non sono state pubblicate la domanda
"La letteratura russa è innocente?'; e la risposta "Che strana
domanda", che era forse la risposta che mi piaceva di più, tra tutte le
altre e, nel titolo, hanno messo tra virgolette, come se fosse una cosa che ho
detto io, "Tutti i popoli sono colpevoli", che non è una cosa che ho
detto e non credo sia una cosa che penso (le cose che penso io su dei temi
complessi come la colpa non mi sono chiarissime, ci devo pensare). Io, tanti
anni fa, ho avuto l'avventura di andare, per sette anni di seguito, ad
Auschwitz, e ho letto, in quegli anni, un po' di cose, sulla colpa, e tra le
altre un libro di Stanley Milgram uscito nel 1974 che racconta di un
esperimento che Milgram ha fatto all'Università di Yale, a New Haven. I
partecipanti (296) si presentavano a due a due, e un funzionario sorteggiava
per uno il ruolo dell'insegnante e per l'altro quello dell'allievo. All'insegnante
veniva chiesto di fare una domanda all'allievo e, se l'allievo rispondeva in
modo sbagliato, di dargli una scossa e, se sbagliava ancora, una scossa più
forte, poi ancora più forte, fino a dare una scossa che sembrava, dalle
reazioni dell'allievo, mortale. In realtà, l'insegnante non lo sapeva, ma
l'allievo era un attore, e l'esperimento era sull'insegnante e sulla sua
"Obbedienza all'autorità", che è il titolo italiano del libro che
Milgram ha tratto dall'esperimento (…). All'esperimento era presente un
funzionario in camice grigio che, se l'insegnante si rivolgeva a lui
dicendogli, per esempio: "Gli sto facendo male", rispondeva
"Vada avanti", o "L'esperimento richiede che vada avanti".
E quelli di solito andavano avanti fino alla scossa apparentemente letale. In
un caso, su 40 soggetti, 37 non interruppero l'esperimento prima della fine.
"I risultati di questo esperimento - scrive Milgam - lasciano sorpresi e
sbigottiti. Nonostante i soggetti mostrassero chiari sintomi di tensione e protestassero
energicamente con lo sperimentatore, hanno tuttavia continuato, in percentuale
considerevole, a premere fino all'ultimo pulsante. I lamenti di chi riceveva le
scariche, il fatto che queste sembrassero autentiche e dolorose, le
implorazioni della vittima non bastavano a far desistere quanti partecipavano
all'esperimento dall'eseguire gli ordini dello sperimentatore. La volontà
esasperata, da parte di persone adulte, di giungere fino all' estremo grado di
obbedienza all'autorità, costituisce la scoperta principale del nostro studio
ed è un fenomeno che richiede un'immediata spiegazione. La spiegazione più
facile sarebbe considerare quei soggetti che somministravano la scossa più
violenta come dei mostri, degli individui sadici, ai margini della società. Ma
è un argomento ben tenue se si pensa che quasi due terzi dei partecipanti
provengono da un campione di gente normale, rappresentativa di diverse classi
sociali: salariati, professionisti, dirigenti. Questa circostanza ci fa tornare
in mente – continua Milgram - la polemica sorta a proposito dal libro di Hannah
Arendt La banalità del male, pubblicato nel 1963. [...]. Ebbene, al termine di
questo esperimento, in cui ho potuto osservare centinaia di persone normali
sottomettersi docilmente all'autorità, sono giunto alla conclusione che ciò che
la Arendt definisce La banalità del male è una realtà assai più diffusa di
quanto si vorrebbe credere. La maggior parte delle persone somministrava le
scosse per un senso di obbligo nei confronti dell'istruttore, non a causa di
tendenze aggressive verso la vittima. L'insegnamento principale che si può
trarre dal mio studio è forse il seguente: gente normale, che si occupa
soltanto del suo lavoro e che non è motivata da nessuna particolare
aggressività, può, da un momento all'altro, rendersi complice di un processo di
distruzione. Ancora più grave è il fatto che la maggior parte di loro non ha le
risorse necessarie per opporsi all'autorità, anche quando si accorge di
compiere atti malvagi in, in contrasto con le più elementari norme morali.
Entra in gioco tutta una gamma di inibizioni che impediscono la rivolta e
provocano la sottomissione all’autorità. Quando si chiede al soggetto di
esprimere un giudizio morale su come ci si dovrebbe comportare in una
circostanza simile, tutti indicano la disobbedienza come il precetto giusto.
Ma, nella dinamica della situazione reale, i valori non sono le forze
operanti”. Un precetto come 'non ammazzare' - conclude Milgram - occupa
certamente un posto di primo piano nella gerarchia delle norme morali, ma non
ha altrettanto rilievo nella psiche umana. Qualche titolo di giornale, un
richiamo dal distretto militare, ordini provenienti da un superiore gallonato
sono sufficienti per indurre degli esseri umani a uccidere in tutta
tranquillità". E, in un altro punto del suo saggio, Milgram scrive: "Un individuo che, a causa dei suoi profondi principi
morali, non è capace di rubare, fare del male o uccidere, riesce a compiere
tranquillamente queste azioni quando un'autorità glielo ordina". Un
mio conoscente che ha letto l'articolo mi ha ringraziato perché non conosceva
il libro di Todorov La scoperta dell'America, se l’è procurato, l'ha letto e
l'ha trovato molto interessante. Ecco io credo che anche quel libro di Milgram
del 1974 ci dica delle cose molto interessanti su quello che sta succedendo
nelle nostre teste, e sono contento che quell'intervista che a me è sembrata
così strampalata sia stata l'occasione per riprenderlo in mano.
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