“Amore&Vita”.
“Volando in cerca d’amore”, testo della
scrittrice Chiara Valerio pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la
Repubblica” di oggi, domenica 25 di maggio 2025: «Ma i
chiurli eschimesi non sapevano cosa fosse la paura. Avevano imparato agli
albori della propria storia evolutiva che, nel loro caso, non occorreva un
senso della paura molto sviluppato. Avevano ali forti e volavano così veloci da
poter ignorare il pericolo fino all'ultimo istante e sfuggire in un baleno alla
volpe o al falco spiccando il volo all'ultimo momento. Non avevano più il senso
della paura, scomparso come accade inevitabilmente a tutte le facoltà inutilizzate
e, mentre gli altri uccelli costieri basavano la propria sopravvivenza sulla
cautela e la pavidità, il chiurlo eschimese si affidava interamente alla forza
delle ali». Nonostante non mi siano chiare le ragioni intime, e tantomeno
quelle superficiali, del perché leggere L'ultimo dei chiurli (Adelphi) mi abbia
commosso, tenterò un ragionamento. Il libro, breve, del giornalista e
scienziato autodidatta canadese Fred Bodsworth racconta la migrazione, dapprima
solitaria, di un chiurlo eschimese, uccello da non confondere con altre varietà
di chiurlo - il chiurlo piccolo o il chiurlo minore asiatico, per esempio - che
è stato dichiarato specie estinta dagli anni Cinquanta del Novecento. (…). Il
chiurlo è un uccello che può volare per centinaia di chilometri. È comandato da
un istinto che lo porta a migrare, identificare un territorio di caccia e di
nidificazione, e attendere l'arrivo della femmina presidiando e difendendo il
territorio da altri uccelli migratori. Il chiurlo migra, identifica il territorio
e lo difende anche quando la femmina non arriva. Resta a presidiare la fortezza
del suo accoppiamento per un tempo che non ha niente dell'attesa o della
nostalgia ma solo della fisiologia, della biologia. Il chiurlo non ha
possibilità di ragionamento o forse sì - (…) - solo di istinto, dunque, innalza
gridi d'amore e volteggia anche se la femmina latita, ritarda, non c'è proprio.
L'istinto protegge dalla nostalgia, dalla sofferenza, dal rammarico
dell'occasione perduta, dal tempo che non torna? Soffre il chiurlo di essere
solo? Sa il chiurlo di essere l'ultimo della sua specie? O il penultimo? E che
differenza corre tra ultimo e penultimo se nonostante le centinaia di
chilometri di volo, tra pivieri, anatre e altri volatili, l'ultimo e il penultimo
non si incontrano? È forse questo che commuove? L'idea che le ragioni e i
sentimenti siano la misura di un istinto che manca, di una distanza dalla natura?
Eppure, quando chi ha studiato un po' di matematica o storia della matematica
legge «ogni tanto una delle ali incontrava un vortice d'aria più resistente
prodotto dalla punta delle ali di un uccello costiero che lo precedeva, perché
perfino il passaggio di un altro uccello lasciava una scia che le ali sensibilissime
del chiurlo riuscivano a captare», pensa alle ali del chiurlo come ai logaritmi
che consentivano di vedere, nei sistemi di stelle, quegli astri ancora
invisibili. Quanto la cultura, per gli esseri umani, è un istinto? Oppure non
c'entrano niente né filosofia, né nostalgia, né logaritmi, ma il volo degli
uccelli migratori ha sempre significato qualcosa, e non ci siamo mai chiesti se
quell'uccello, il cui volo interpretavamo per farci dire il futuro, fosse
l'ultimo della sua specie e dunque che futuro può esserci se non l'estinzione? (…).
Per il chiurlo che non ha trovato compagnia - che sia stormo o femmina di
chiurlo non diciamo - questo tempo, pur doloroso, non ha nostalgia, perché
l'istinto della migrazione trascina tutto, secondo la stagione, a nord o a sud.
È vero, anche nei racconti di Jack London, chi non ha forze, ne ha meno o non
ne ha affatto, chi non ha più tempo, viene lasciato indietro, e allora, questo
andare è un ragionamento o è un istinto? (…). …siamo
una specie che, a leggere di altre specie, è obbligata a domandarsi se il
nostro ragionare non sia un istinto. La risposta non la conosco, e spero che
qualcuno me lo dica.
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