Post dedicato alla carissima amica Anna Maria M.
“Il contratto ai rapitori. Così il signor Eugenio s’è salvato”, testo di Antonello Caporale pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 18 di luglio 2024: (…). Ecco la storia, per come me l'ha raccontata Saverio G., figlio di Eugenio. È il 23 gennaio 1974 e il signor Eugenio, che ha nel bazar la sua vita e quella del suo paese, Decollatura, chiude la serranda per far ritorno a casa. Decollatura si sviluppa su un pianoro appena prima del crinale del Reventino, il cordolo montuoso che divide in due la Calabria e che si erge superato l'istmo, il punto dove i due mari, Jonio e Tirreno, quasi si guardano. Decollatura è il sud del sud, l'area più tormentata e svantaggiata, tra le più povere e mal nutrite. È più di un decennio che dal Mezzogiorno si è messa in moto la carovana dell'emigrazione, il popolo che fa le valigie per trovare al Nord il rifugio che lo difenderà dalla miseria del Sud. Eugenio invece col suo negozio ha saputo farsi un nome e hai quattrini che a tanti suoi compaesani mancano. Infatti quel giorno di gennaio cade nella morsa di sequestratori. I carabinieri diranno poi che si tratta di affiliati a una cosca di Lametia Terme, 'ndranghetisti con la voglia di fare carriera e spillare un po' di soldi attraverso i rapimenti facili, specialità finora dell'Anonima sarda. I rapitori espongono ad Eugenio la tariffa della libertà: settanta milioni di lire sull'unghia con l'annuncio che avanzeranno la richiesta alla di lui moglie. Il rapito, più scaltro dei suoi carcerieri, avvia la trattativa fidando nelle sue capacità retoriche e soprattutto nell'assoluta ingenuità dei suoi custodi, delinquenti evidentemente in fasce. Ripercorre infatti a voce alta la sua vita, fatta di sacrifici e di conquiste, di guadagni che poco a poco hanno assunto dimensioni rispettose all'ufficio postale del paese, al punto da guadagnarsi la stima e persino qualche riverenza dal direttore. È la vita sentimentale che manca ad Eugenio giacché la consorte, lui ne è certo, è presa dal fuoco della passione verso un altro col quale si accompagna ormai da tempo. Eugenio, disperato, vive l'adulterio con enorme vergogna ma lo sopporta con la tenacia di chi sa che lui l'avrà vinta. Dice ai rapitori: "Chiedere il riscatto a mia moglie è il modo certo di non vedere neanche una lira. Anzi, le farete un favore. Si sarà liberata di me facendo danno a voi". La questione amorosa è scabrosa e ancor di più sembra il punto centrale: avanzare il riscatto a chi mai lo pagherà è un atto di incoscienza perché indurrebbe la moglie a liberare la sua storia d'amore dalla presenza ingombrante del marito? È proprio così? Il dubbio rode i rapitori e complica i rapporti all'interno del gruppo dei banditi. A questo punto Eugenio G. avanza una proposta: se le richieste si faranno più ragionevoli lui potrà impegnarsi a farvi fronte. Come? Qui tira fuori il coniglio dal cappello: "Possiamo sottoscrivere una scrittura privata, un contratto vero e proprio con ogni dettaglio. Voi mi rilasciate e io trovo la somma che avete richiesto e ve la faccio recapitare". Immagino i conciliabili che seguirono ma soprattutto l'idea che il contratto, quel documento firmato e sottoscritto, fosse la prova della buona volontà, dell'assoluta serietà del rapito a dare respiro e sollievo ai rapitori, ancora evidentemente a digiuno di sequestri e degli accidenti che capitano quando si mettono in pratica. Infatti, ignoranti e primitivi, i sequestratori valutarono l'impegno scritto come la conferma dell'esatta volontà del sequestrato di affrontare i suoi doveri. E qui i cattivi iniziano ad assomigliare a una grande armata di buoni e scellerati, di disonesti ma generosi, di ignobili ignoranti che hanno cura dei problemi altrui e dispiacere per le passioni perdute e gli amori finiti. Fatto sta che accettano di sottoporre il riscatto sotto contratto. Negoziata la riduzione della prestazione economica da settanta a quaranta milioni di lire i sequestratori tolgono le catene al piede di Eugenio ricevendo in cambio la copia del contratto appena firmato. Due giorni dura quel rapimento e G., tornato a Decollatura (il nome trae origine dalla decapitazione degli Epiroti ad opera dei Mamertini) il 25 gennaio del '74 si dirige alla caserma dei carabinieri. Accompagnato dall'avvocato insieme alla sua deposizione consegna il contratto nel quale sono indicati gli autori del delitto e la somma da versare. Questo documento verrà esibito al processo e i sequestratori di terz'ordine riceveranno la condanna che loro spetta. E però, ecco c'è un però di cui vorrei dar conto. I malviventi hanno dimostrato una assoluta devozione nella forma burocratica definita dal codice civile. Nella monumentale ignoranza mostrata sarà covato anche il rimorso per aver dato così tanta fiducia a chi non l'avrebbe - diciamo così - meritata. È questa la storia di un crimine dove la spavalderia e la ferocia risultano coperte dalla più incredibile delle fanfaluche. Le catene, tolte ai piedi di Eugenio, sono giustamente finite ai polsi dei sequestratori, avvinghiati dal rimorso di una realtà capovolta e di una verità impossibile.
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