Sopra. "Stintino" (Sassari), 30 di giugno 2024.
“GentediMare”. “Quando mio padre era il re del mare”, racconto di Antonio Franchini – Napoli, 1958, scrittore – pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” di oggi, domenica 14 di luglio 2024: (…). Quando si svegliava a casa e s'affacciava al balcone, mio padre diceva: «C'è l'acqua chiara e la corrente di mezzogiorno», che significa è una giornata ideale per la pesca. Forse lo diceva anche quando non era esattamente così, basta ca ieva a piscà... Andavamo con la pilotina nel canale, là dove la pesca sarebbe vietata perché passano i traghetti e anche i pesci lo sanno, per questo quei fondali sono i più ricchi. Io allora, quando lui s'immergeva, lo coprivo con la barca ed era una cosa che mi piaceva molto perché avevo l'impressione di essere io a proteggere mio padre. Un giorno nel canale ci stavamo solo noi e veramente sembrava la giornata perfetta con l'acqua chiara e la corrente di mezzogiorno, ma perché c'eravamo solo noi? Lo compresi quando all'improvviso sentimmo come un tuono che esplose nel silenzio e ai lati della barca vedemmo alzarsi due muri d'acqua... Era una gara di offshore, la prima che si fece nel nostro mare, e anche l'ultima perché ci fu subito un incidente grave, e noi ci trovavamo in mezzo al campo di gara e non ne sapevamo niente. Eppure tutta l'isola era tappezzata di manifesti da giorni, ma né io né mio padre ci avevamo fatto caso, tanta era la voglia che avevamo di pescare insieme... Io sul mare ho fatto qualunque cosa, noi siamo nati sul mare, i fratelli di mia nonna facevano i sommozzatori quando sott'acqua con le bombole non ci andava nessuno e se c'erano corpi dispersi da recuperare chiamavano a loro. Ho nuotato, fatto tuffi, immersioni, portato barche a remi, a vela e a motore, mi sono diplomato al Nautico, ma quando sono stato là per imbarcarmi mio padre ha detto no, io ho fatto il marittimo per non farlo fare a voi. Ho studiato legge, me la sono presa comoda ma sono diventato avvocato. Ho fatto il diritto romano anche se non avevo studiato il latino e diritto tributario, anche se non mi piacevano statistica e matematica. Con l'aliscafo ci metterei venti minuti di meno, ma, per andare a Napoli preferisco il traghetto, perché, volete mettere, respiro il mare e se ho fortuna vediamo i delfini. E il cuoco di bordo che ci conosce tutti spartisce il mangiare con noi pendolari e anche noi, se portiamo qualcosa - pomodori, melanzane - lo dividiamo con l'equipaggio. Un giorno un mio collega dello studio mi ha detto che lui si svegliava alle sei di mattina - abitava a Pomigliano d'Arco - legava un kayak sulla macchina e guidava fino a largo Sermoneta, a Mergellina, dove metteva la barca in acqua e pagaiava per un'ora, poi tornava indietro e alle nove e mezza si metteva a lavorare. Ho pensato lo fa lui e non lo faccio io che sto su un'isola? Mi mancava solo quello, andare per mare sulla barca degli esquimesi. Loro ci lavoravano, ci cacciavano le balene e anche io all'inizio lo usavo per pescare. Alla prima uscita presi un dentice di sette chili, era un segno del destino, ma poi non ho pescato più perché ho scoperto che mi piaceva andare e basta. Andare quando in mare non c'è nessuno, al tramonto, o appena prima dell'alba, in certi giorni d'agosto quando, prima di veder esplodere la luce, il Vesuvio è un profilo nero su un orizzonte di fuoco. Mio padre navigava sulle petroliere, dal golfo persico all'estremo oriente, Shanghai, il Giappone, non so quante volte è stato a Singapore. Quando tornava ci portava cose che da noi non si erano ancora mai viste, strumenti tecnologici, uno dei primi computer Atari l'ho avuto io. Quattro mesi di mare, due a casa. Quando arrivava andavamo tutti a prenderlo all'aeroporto. Ero un bambino e aspettavo solo il momento in cui lo avrei riconosciuto nella folla. Ho sentito che i marittimi sono tra i padri più amati, perché in casa ci stanno poco e la loro assenza genera un'attesa, il desiderio del ritorno. Non so se è vero, non so se è vero per tutti, per me era così. Alla fine della carriera lui diventò direttore macchine, il suo regno era il ventre della nave. Sulla nave c'è il comandante, ci sono gli ufficiali di coperta e la bassa forza di coperta, e il direttore di macchina, gli ufficiali e la bassa forza di macchina. Sulla coperta respirano il vento e si sentono gli dei dell'Olimpo, ma gli uomini della sala macchine sono potenti divinità degli inferi, regnano sul fragore, tra aromi di grasso, e i vapori del carburante. Scherzano sempre gli uni con gli altri, fanno tutto il tempo queste tarantelle. Il direttore macchine dice: Comandante, voi dite, fate, ma se io mò vi spengo i motori, uuie addò iate? Il primo sintomo fu che perse la voce. Usciva con una tonalità sottile e con il passare del tempo non gli ritornava, poi si sentiva debole. Un suo amico medico lo auscultò, poi gli disse: Miche’ alza un momento le braccia, fatti vedere. Gli tastò le ascelle e vide che aveva i linfonodi ingrossati. Gli disse ti devi fare subito una Tac. Lo accompagnai in un centro a Pavia e i medici dissero quattro mesi e quattro mesi furono. Era un tumore al polmone, ma c'entrava l'amianto, aveva le cicatrici dell'amianto sulle pleure. Gli americani avevano bonificato veramente dall'amianto solo le navi con equipaggi tutti americani, le altre, quelle col personale straniero, no, e io da allora faccio solo questo, difendo gli ammalati di tumore e di mesotelioma provocati dall'amianto perché ottengano i risarcimenti che gli spettano. Spieghiamo ai marittimi ammalati, e sono tanti, che cosa devono fare, siamo asssociati con uno studio americano, facciamo causa alle compagnie petrolifere, la Texaco, la Getty Oil, la Chevron. Facciamo convegni, spieghiamo, perché in tanti ancora non sanno niente, è la ragione della mia vita. Il primo marittimo che difesi, dopo la morte di mio padre, non ci voleva credere... Andai a casa sua e aveva un grande orologio sulla parete col marchio della Chevron, le greche rosse e blu della Chevron sopra al televisore, sullo sportello del frigorifero; la password del suo computer era condoleezarice, il nome della petroliera dove aveva lavorato negli ultimi quindici anni... Non ci voleva credere, la Chevron mi ha fatto vivere, diceva, ha mantenuto la mia famiglia... Sì, ma adesso lo faceva morire. L'amianto è nu ddio 'e materiale, è ignifugo, è versatile, e sta dappertutto, sempre dove non te lo aspettavi, anche se sono decenni che si sa che è mortale. Un massaggiatore che s'era ammalato di mesotelioma e noi dicevamo ma come è possibile, che c'entra? Scoprimmo che aveva usato per un sacco di tempo un talco pieno di amianto. Lui se lo ricordava come un talco buonissimo, scivoloso, che gli faceva scorrere le mani una bellezza e gli faceva fare i massaggi nella metà del tempo... È questo, è un prezzo che paghi troppo tempo dopo il prezzo dell'amianto, quando non ti ricordi, quando non colleghi più. Questa è la mia lotta, la sfida della mia vita, ma poi vado per mare su un'imbarcazione silenziosa che spingo con le mie braccia, puntando i piedi, ruotando le spalle, svuotando la mente. Immergo la pagaia nell'acqua chiara e nella corrente di mezzogiorno, l'acqua che mi sostiene riempie un abisso che non calcolo, a cui non faccio caso, circumnavigo le secche dove vedo frangersi l'onda, sorvolo le praterie di posidonia, attraverso il cratere di un vulcano spento dove passarono micenei, greci, romani, pirati. Su alcune spiagge è vietato approdare perché la roccia si sgretola ed è pericolosa, ma su quella su cui s'affaccia il cimitero non ci sono rischi e penso che un bel posto per vivere, alla fine, è anche un buon posto per morire.
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