“ReggitoridelMondo” 1. “Ursula, Miss Pannolini divenuta contabile Ue per sfuggire ad Angela”,
testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 30 di giugno
2024: (…). E dunque auguri alla “contabile d’Europa” miss Ursula von der Leyen, per stare all’ultimissima
cattiveria di Romano Prodi che su quello stesso podio della Commissione europea
ci è stato per cinque anni: “Ai miei tempi si ragionava ancora con i capi di
Stato sui nomi dei commissari da scegliere. Oggi Ursula fa la contabile di quel
che le dicono”. Cioè mette in fila le decisioni altrui, a cominciare da quelle
militari della Nato. E anche le indecisioni, visto il guaio identitario in cui
si è infilata la sua amica Giorgia di Colle Oppio, capace di frignare in
pubblico per non essere stata invitata “al ballo mascherato delle celebrità”,
come cantava il vecchio De André, e dove Meloni Premier non vedeva l’ora di
chiedere allo specchio della Nazione e all’Europa intera: “Son più bella io o
la statua della Pietà?” Ursula – detta il “casco d’oro” per via della
permanente, ma anche “l’elmetto di piombo” vista la sua predisposizione al
riarmo d’Europa – lascia correre il filo delle trattative, dei dispetti e delle
ripicche di queste ore. Incassa la maggioranza dei cattolici, dei socialisti e
dei liberali che, incidentalmente, hanno vinto le elezioni. Torna al rigore dei
bilanci degli Stati, considerando secondarie le faglie sociali che si sono
aggravate in questi anni. Promette maxi-investimenti nella difesa comune. E
naturalmente prega, vista la sua devozione religiosa, mentre predispone i
sacchi di sabbia intorno alle finestre d’Europa, non solo per accogliere quel
che resterà dell’Ucraina, ma anche a contrasto dei Velociraptor della destra
ultra sovranista, fascistelli e neonazi compresi, che vorrebbero sfasciarli
quei cristalli, come nella celebre notte del 1938, fino alla dissoluzione
“dell’Europa delle multinazionali”, per sostituirla con un nuovo disordine
identitario e anti-globalista che poi sarebbe la brace dei nazionalismi, sempre
finiti in reciproci massacri. Nei cinque anni passati, Ursula ha navigato con
carburante rigorosamente americano, inseguita dalle voragini aperte dalla
pandemia planetaria, dai guai climatici, dal ricorrente corto circuito delle
fonti energetiche aggravato dalla guerra di sanzioni contro la Russia, dal
terrorismo islamico, dalle migrazioni che mandano in tilt interi governi, dai
super poteri geopolitici della Nato e da quelle militari di Putin che con
l’invasione dell’Ucraina ha interrotto la lunga pace in Europa, ex Jugoslavia a
parte. Per non dire della nuova guerra, scoppiata dopo il raid dei tagliagole
di Hamas in Israele, con i massacri nella Striscia di Gaza che stanno di nuovo
incendiando l’intero Medio Oriente. Dalla pandemia ne siamo usciti. Dai malanni
dell’economia ci stiamo ancora provando con il monumentale vaccino del Next
Generation Eu, i 750 miliardi di euro iniettati nelle casse vuote degli
investimenti europei. In quanto al clima, ancora non si capisce se i progetti
del Green Deal verranno attuati – emissioni zero entro il 2050 – o finiremo per
intossicarci a vicenda a causa dei permanenti conflitti tra industria,
agricoltura, fonti energetiche, consumi, concorrenza cinese, eccetera. Per le
guerre vere, neanche a parlarne. L’Europa di Ursula von der Leyen, non ha
toccato palla, salvo raccattare quelle lanciate dai due fronti guidati da Usa e
Gran Bretagna da una parte, Russia e Cina dall’altra, titolari di questa “Terza
guerra mondiale a pezzi”, dove si moltiplicano, oltre ai morti, i fatturati
delle industrie militari e l’isteria dei governi. Mentre parole come
“negoziato” e “pace” ancora non compaiono, sebbene stiano a fondamento proprio
dell’Europa e dell’inchiostro dei suoi fondatori. Compare invece in ogni
inquadratura – da cinque anni filati – il suo sorriso d’alta classe che solo
una volta si incrinò, quando Erdogan, il turco, la lasciò senza sedia a un
summit, come fosse arrivata lì per spolverare. Invece di assestare almeno un
calcio negli stinchi al califfo, pigolò: “Rimasi sorpresa, ma badai alla
sostanza dell’incontro”. Ursula del resto nasce ben educata nella villa di
famiglia, 8 ottobre 1958. Il padre, Ernst Albrecht, politico e imprenditore, è
Commissario europeo. Cresce a Bruxelles fino ai 13 anni. In casa parla tedesco,
fuori casa inglese e francese. Dirà: “Sono stata europea prima di sapere di essere
tedesca”. Quando il padre diventa presidente Cdu della Bassa Sassonia, la
famiglia torna a Hannover. Ottimi studi, adolescenza senza ombre. L’unico vero
intralcio a vent’anni, quando la polizia sospetta che i terroristi della
Baader-Meinhof vogliano rapirla. Per precauzione il padre la manda a studiare
alla London School of Economics. Ma tre anni dopo, rientrata in patria, sceglie
di ricominciare con Medicina, fino alla laurea in Ginecologia, anno 1987. Nel
frattempo, sposa il rampollo dei nobili von der Leyen. Segue il marito in
California, dove per 6 anni insegna Medicina alla Stanford University, e già
che c’è si specializza in super mamma, fabbricando 7 figli. La politica è
un’attitudine tardiva che coltiva dentro l’ombra di Angela Merkel. Dopo un paio
di incarichi regionali, diventa ministro agli Affari sociali, anno 2005, dove
si concentra sulle reti di protezione per le famiglie tedesche, asili nido,
congedi parentali, sussidi alla maternità. I giornali la chiamano “Miss
pannolino”. Ma è un errore di sottovalutazione. Da ministro del Lavoro se la
batte con i colossi industriali e i potenti sindacati metalmeccanici. Da
ministro della Difesa mette in riga i generali, polemizza con i russi quando
nel 2014 Putin si annette la Crimea, accendendo i fuochi della futura guerra in
Ucraina. Macina consensi e carriera fino a diventare l’erede designata della
Merkel. Salvo che per troppa ombra in patria, i suoi competitori si inventano
la sua candidatura a Bruxelles. Anche stavolta è il suo filo di perle il punto
di mediazione dei molti labirinti d’Europa. Per festeggiare la sua nuova nomina
ha dettato l’elogio della pace e della democrazia, “dobbiamo prendercene cura”
perché sono preziose e in pericolo. Poi ha assecondato quello stesso pericolo
imbracciando le insegne del leader ucraino Zelensky, promettendo altri miliardi
alle trincee della guerra e altre armi per i nostri arsenali, “magari con un
nuovo Recovery” da intitolare stavolta Dead Generation Eu. Ottima idea per il
secondo giro di pista, fino al traguardo del baratro comune.
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