"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 13 luglio 2024

Piccolegrandistorie. 81 Checco Zalone: «In un mondo in cui tutti sentono il bisogno e l'urgenza di dare la propria opinione, io mi rendo conto che la mia non è interessante. Non so cosa dire. Che devo dire?».

                       Sopra. "La giostra" (2024), acquerello di Anna Fiore.

LaBravaGente” 1“Metodo infallibile”. (…). Franco Battiato è morto esattamente tre anni fa, ma si era distanziato dall'incubo delle passioni molto tempo prima. Le regole della casa di Milo, dove viveva e dove terra e cielo si incontravano cambiando le prospettive del suo mondo, erano quelle di un asceta consapevole. Sveglia alle tre e mezza del mattino, radi contatti con l'esterno, libri antichi - «studio i mistici, i tibetani, praticamente non leggo altro» -, poco cibo, nessun vizio: «Gettai le sigarette nel 1984». Battiato ci manca per moltissime ragioni. Era serio senza prendersi sul serio: «La parola maestro mi insospettisce: ho scritto qualche canzonetta, soprattutto». Era diverso da tutti gli altri, ma non pretendeva gli venisse riconosciuto: «Siamo tutti uguali. È inutile puntare il dito e dire "quello è cretino"». Credeva nel riscatto di chiunque, senza pregiudizi: «Non è escluso che una faccia di merda, un ladro o un delinquente, un giorno non possa essere illuminato da un'intuizione, redimersi e immettersi nel percorso della virtù e della conoscenza». Di sciocchi pieni di sé, dopo l'infanzia passata tra sarte sagge «e uomini che avevano voglia di pensare con la propria testa» ne aveva incontrati tanti. E aveva capito, nonostante un non celato interesse per la spiritualità, che nulla è più efficace della desacralizzazione. «Un giorno venne da me un amico fraterno, febbrile, eccitato: "C'è un guru pazzesco, devi venire ad ascoltarlo, sbrigati, è l'ultima lezione". Trovai un centinaio di persone in un appartamento e il santone al centro, protetto da due servi zelanti. Entro, mi sdraio per terra e mi abbandono al flusso dei miei pensieri. Passano cinque minuti e sento una voce nelle orecchie. Il vicino mi scuote: "Guarda che il guru ce l'ha con te". Non gli piaceva che mi fossi sdraiato per terra: "Mi dica", gli faccio. E lui: "In quella posizione stanno solo gli animali". "Si vede che sono un animale", dico soave e lo vedo impazzire. Gli si deformano i lineamenti del volto e inizia a urlare. I leccaculo, gli sgherri, i servi si agitano e si indignano, sembra mettersi male. Ma a un tratto accade un miracolo: gli allievi si ribellano, cacciano l'impostore, lo contestano. Li avevo liberati, mi fecero una piccola festa, fu un momento di gloria». Battiato non li ha mai inseguiti. L'amore e il disamore, che pure lo hanno circondato a ondate irregolari, erano variabili di cui apprezzava l'importanza con la mediazione dell'assenza. «Dalla critica e dall'adulazione ho saputo preservarmi con un metodo infallibile: fregarmene». Battiato non si definiva misantropo «provo compassione e conservo le amicizie», ma più di ogni altra cosa apprezzava la solitudine. La convivenza non faceva per lui perché nei seghi si poteva leggere il futuro: «Una volta pensai che fosse arrivata la persona giusta e per qualche mese stetti al gioco. Una mattina esco di casa, la saluto, scendo, compro tre yogurt e poi appena rientro vado a fare una doccia. Una volta uscito apro il frigo e degli yogurt non c'è traccia. Li aveva finiti tutti. Ora, se ne avesse lasciato almeno uno, avrei avuto un appiglio a cui attaccarmi. Ma spazzarli via era un manifesto di egoismo: mi fece capire che tra noi non poteva funzionare». Franco Battiato era un uomo dolce. Se giudicava con severità era solo per salvarsi la vita.

LaBravaGente” 2 “Inconsapevole Checco”. Lo zio di Checco Zalone, Nino, entrava in scena durante i funerali dei parenti. Recitava in versi filastrocche sconvenienti, diceva cose non edificanti sul defunto e con tutto l'ateismo di cui ogni rappresentazione cristiana è piena, gli insegnava che non esiste niente di più sacro dell'umorismo. A metà degli anni 80 Zalone era un bambino ancorato ai riti immobili di una provincia del sud, ma aveva già capito che far ridere, il più misterioso dei segreti, aveva a che fare con l'osservazione. Checco osservava tutti: il professore di filosofia, il prete, l'amico d'infanzia, la zia vicequestore, il padre che con una dozzina di amici suonava il basso a tempo perso, da dilettante, nelle sagre di paese. Li osservava e invece di giudicarli recitando da piccolo moralista, Checco ne ospitava i difetti nei cassetti della memoria per tirarli fuori a tempo debito. Negli anni, per diletto, proprio come suo padre, Zalone ha trovato la sua strada. L'ha trovata senza dimenticare una sola faccia, un solo nome o un solo fallimento. A iniziare dai suoi. Provò a entrare in polizia, a vendere cerotti per il naso, ad accarezzare il pianoforte vestito da Babbo Natale per 50 euro a serata porgendo l'altra guancia e ricevendo spesso uno schiaffo. Colpi che lo hanno aiutato a relativizzare l'insuccesso rendendogli più lieve il suo contrario. Spiritoso e timido, feroce e gentilissimo, Zalone è diverso da tutti gli altri. Sa di piacere molto, ma si piace poco. Continua a stupirsi. Ha un'umiltà di fondo che non somiglia a una maschera. È rimasto ansioso, come da ragazzo, perché non c'è plebiscito popolare che ti possa convincere di ciò di cui non sei convinto tu, ma essendo intelligente ha deciso comunque di arrendersi. Non si domanda più perché lo amino e forse non se l'è mai chiesto davvero. L'inconsapevolezza è la sua forza, sul palco e in una realtà che è sopportabile solo se può essere trasformata in surreale. L'inconsapevolezza gli fa dire cose che dette da altri apparirebbero sinistre. Zalone porta in scena l'assurdo. Zalone continua a giocare. Lo faceva ieri e lo fa anche oggi. L'ho visto sudato, stravolto, felice, emozionato come può essere solo qualcuno che non finge, in concerto con Francesco De Gregori. Divennero amici dopo una telefonata e non si sono più persi di vista. L'anno scorso hanno registrato un disco, poi hanno deciso di esibirsi. Dividendo le canzoni, la scena e un concerto in due date uniche. Nessuna tournée, nessuna programmazione futura, nessun particolare calcolo. Niente trucchi. Niente inganni. Solo l'idea di ripetere lo spettacolo d'arte varia che senza pubblico, in un'abitazione privata, avevano fatto tante volte insieme. Mentre nel cielo i fulmini promettevano il peggio e la pioggia a ondate infieriva sugli strumenti, Zalone è tornato a qualche decennio prima: «Chiunque lo conosca bene può chiamarlo senza offesa/ uomo di poca malinconia». Tra un pezzo e l'altro scherzava con il suo amico e quando l'altro, da consumato demiurgo, girava pagina, Checco, da soldato semplice devoto al suo generale, ubbidiva. Chi li guardava sapeva di assistere a un evento irripetibile. Chi li guardava si chiedeva perché non ci fossero lì, a disposizione, 200 date pronte per sentire ancora le storie di ieri e quelle di domani. La risposta era chiara. Una sorpresa non può diventare routine. La bellezza è un lampo: «È così triste essere bravi, si rischia di diventare abili». A concerto finito, i musicanti sono saliti sulle loro macchine e sono andati via. Gli strumenti e le casse sono state caricate sui camion. I camerini sono rimasti vuoti. Dell'ego di Zalone, come sempre, non c'era traccia: «In un mondo in cui tutti sentono il bisogno e l'urgenza di dare la propria opinione, io mi rendo conto che la mia non è interessante. Non so cosa dire. Che devo dire?».

N.d.r. Le due “storie” de’ “la brava gente” sono state scritte da Malcom Pagani e sono state pubblicate - con i titoli riportati - sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” rispettivamente il primo di giugno ed il 22 di giugno 2024.

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