Sopra. "Smarrimento", "matita" (2024) di Anna Fiore ispirata da una foto di S. Salgado.
“StoriediunGenio”. 1 “Stravinskij e Picasso alla napoletana” di Daria Galateria, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 20 di ottobre dell’anno 2023: Nel settembre del 1919, a Parigi, Djagilev, il mitico impresario dei Balletti Russi, trovò il coraggio di comunicare a Igor Stravinskij che aveva in mente un Pulcinella basato sulla musica di Pergolesi. Il compositore modernista pensò che a Djagilev avesse dato di volta il cervello. Ma chissà da quando Djagilev maturava l’idea, perché nella primavera del ‘17 aveva trascinato proprio Stravinskij con Pablo Picasso e il coreografo Leonid Massine da Roma a Napoli (in treno, Picasso aveva ritratto Massine) a vedere uno spettacolo di commedia dell’arte, in un’affollata saletta odorosa d’aglio. Pulcinella era uno zoticone ubriaco; ogni gesto era osceno, e probabilmente anche le parole, se avessero potuto capirle. Successivamente Picasso e Stravinskij avevano rischiato di essere arrestati per aver urinato contro una parete della Galleria; Igor insistette con l’agente di portarli al San Carlo, attraversando la strada; in teatro li accolsero al grido di «Maestro! Maestro!», e l’agente li lasciò andare. Stravinskij aveva appena conosciuto Picasso, appunto a Roma; il pittore gli aveva detto: «Non mi intendo di musica», come se non potesse importargliene di meno. Ma al musicista Picasso piacque; era il ‘17 della Rivoluzione russa; l’inno imperiale d’apertura dei Balletti Russi era stato eliminato, e Igor orchestrava all’inizio il Canto dei battellieri del Volga (…). Di Pergolesi, nel 1919 Stravinskij conosceva poco più dello Stabat mater; comunque promise di studiare meglio la sua musica – e se ne innamorò. Procedette così (non era tipo da “falsi” o parodie): prese le partiture di Pergolesi e le modificò, come se stesse correggendo una sua propria composizione. Così disse; in realtà Djagilev fu scioccato dal risultato, e girava con “una faccia da Settecento Offeso”. Picasso poi aveva disegnato una scena di case spagnole coi balconi, e personaggi in costumi d’epoca, con i basettoni: e non maschere. Djagilev sognava una pura commedia dell’arte, e disse a Picasso: «Ah non va proprio», e gli spiegò come doveva fare. Finì che Djagilev gettò a terra i disegni di Picasso, li calpestò, e se ne andò sbattendo la porta. L’indomani dovette usare tutto il suo fascino per calmare l’offesissimo pittore; il fondale di Pulcinella rimase a sbiadire all’Opéra di Parigi (tranne il giallo, “rinfrescato da un gatto”); probabilmente Djagilev, sempre in difficoltà finanziarie con il sovrintendente del teatro, glielo aveva lasciato in garanzia.
“StoriediunGenio”. 2 “Picasso sui Pirenei” di Gaia Galateria, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 14 di giugno 2024: Per Picasso, dicono, ci fu un prima e un dopo Gósol. Il villaggio, a millecinquecento metri d’altitudine, sulla frontiera tra Francia e Spagna, era quasi inaccessibile; ci si arrivava a dorso di mulo, per 28 chilometri; stretti tra bagagli, un cagnolino e i materiali, tele e pennelli, di Picasso, il freddo e le vertigini esasperarono Fernande Olivier, la compagna che gli insegnò il francese e i modi. Quel soggiorno, dal 27 maggio al 23 luglio 1906, era stato consigliato al pittore da tutti gli amici. A Parigi fin dall’inizio era stato notato; il mercante Pedro Mañach era riuscitoa vendere il Moulin de la Galette, e doveva apprezzare l’opera del pittore se il 28 dicembre 1900, con Picasso appena ripartito per Barcellona, era entrato per effrazione nel suo studio – spintonando il portinaio e rompendo il lucchetto – per prendersi le sue tele, e se ne stava andando con un quadro quando era stato fermato; allora con l’ombrello aveva spaccato dei vetri, percosso vari inquilini e sferrato un pugno a uno degli agenti accorsi, chiamandoli maiali (Picasso non se la prese, e accettò l’ospitalità del galleristaa maggio, dovendo preparare la mostra che quello gli organizzava: tutto raccontato, spulciando gli archivi, da Annie-Cohen-Solal nel suo Picasso, …). Ma nel suo quarto soggiorno di lavoro a Parigi, a marzo del 1906, Picasso era perplesso; «quando la guardo non la vedo più», diceva a Gertrude Stein, verso la fine delle novanta sedute di posa per il celeberrimo ritratto. Con i 2000 franchi del fratello della Stein, Leo (l’unico, si vantò, ad aver comperato insieme all’epoca Matisse e Picasso), Pablo recuperò Barcellona, e da lì Gósol. Nel paese non c’era nulla (me ne sto quia lavorare «como Dios me da a entender y come yo lo entiendo», come pare a Dio e come pare a me, scrive a Leo Stein), solo pietre e i Pirenei. «L’eco, sapessi come mi dà fastidio», scriveva ad Apollinaire; però Fernande racconta che era allegro ad andare in gita così sopra le nuvole: «cinquemila metri», esagerava. Picasso vive nella casa di un oste contrabbandiere, Josep Fontdevila, che incanta coi suoi giochi di prestigio e a cui fa un “ritratto maschera”. Ho iniziato due o tre cose, scrive agli amici – centinaia di lavori, tra tele e schizzi. Dipinge le donne che ballano in costume il 15 agosto, alla Festa Major; dice che dopo il ballo le donne hanno paura – gli uomini sono eccitati. Nel rientro a Parigi segna, per ogni tappa, il mezzo, «matxos, coche, coche, tren», mulo, carrozza, carrozza, treno – il quaderno blu degli schizzi e degli appunti di Gósol è ormai leggendario.
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