"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 18 giugno 2024

Piccolegrandistorie. 77 Picasso, ovvero “storie di un Genio”.

Sopra. "Smarrimento", "matita" (2024) di Anna Fiore ispirata da una foto di S. Salgado.

Che tempi, ragazzi! E sto parlando di tempi comici, chiaramente. De Luca che conia aforismi da statista, impreziositi da pregnanti concetti che vanno da "Uomo dei Neanderthal" a "Tre mezze pippe"; Lollobrigida che aspira ai cannoni più di Zelensky; Salvini che è passato con disinvoltura dall'aria fritta agli insetti fritti, stigmatizzando i tappi che restano attaccati alle bottiglie come certi onorevoli restano attaccati alle poltrone; il generale Vannacci che si è battuto valorosamente contro il pericolo delle classi che includono persone con disabilità, subendo l'ovvio fascino della "divisa", intesa come "scolaresca"; Conte e Renzi che palleggiavano per mostrarsi pronti a entrare in campo, purché non fosse il campo largo; la Schlein che voleva farci credere che per andare dalla Calabria alla Sicilia ci si impiegano solo 20 minuti, perché da quando la segue l'armocromista ne spara di tutti i colori. Insomma, le cronache dimostrano che urge più che mai la separazione delle carriere: quella di politico e quella di cabarettista. Nel caso, io voto sì. (Tratto da “Però, che tempi. Comici” di Dario Vergassola pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 14 di giugno 2024).

StoriediunGenio”. 1 “Stravinskij e Picasso alla napoletana” di Daria Galateria, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 20 di ottobre dell’anno 2023: Nel settembre del 1919, a Parigi, Djagilev, il mitico impresario dei Balletti Russi, trovò il coraggio di comunicare a Igor Stravinskij che aveva in mente un Pulcinella basato sulla musica di Pergolesi. Il compositore modernista pensò che a Djagilev avesse dato di volta il cervello. Ma chissà da quando Djagilev maturava l’idea, perché nella primavera del ‘17 aveva trascinato proprio Stravinskij con Pablo Picasso e il coreografo Leonid Massine da Roma a Napoli (in treno, Picasso aveva ritratto Massine) a vedere uno spettacolo di commedia dell’arte, in un’affollata saletta odorosa d’aglio. Pulcinella era uno zoticone ubriaco; ogni gesto era osceno, e probabilmente anche le parole, se avessero potuto capirle. Successivamente Picasso e Stravinskij avevano rischiato di essere arrestati per aver urinato contro una parete della Galleria; Igor insistette con l’agente di portarli al San Carlo, attraversando la strada; in teatro li accolsero al grido di «Maestro! Maestro!», e l’agente li lasciò andare. Stravinskij aveva appena conosciuto Picasso, appunto a Roma; il pittore gli aveva detto: «Non mi intendo di musica», come se non potesse importargliene di meno. Ma al musicista Picasso piacque; era il ‘17 della Rivoluzione russa; l’inno imperiale d’apertura dei Balletti Russi era stato eliminato, e Igor orchestrava all’inizio il Canto dei battellieri del Volga (…). Di Pergolesi, nel 1919 Stravinskij conosceva poco più dello Stabat mater; comunque promise di studiare meglio la sua musica – e se ne innamorò. Procedette così (non era tipo da “falsi” o parodie): prese le partiture di Pergolesi e le modificò, come se stesse correggendo una sua propria composizione. Così disse; in realtà Djagilev fu scioccato dal risultato, e girava con “una faccia da Settecento Offeso”. Picasso poi aveva disegnato una scena di case spagnole coi balconi, e personaggi in costumi d’epoca, con i basettoni: e non maschere. Djagilev sognava una pura commedia dell’arte, e disse a Picasso: «Ah non va proprio», e gli spiegò come doveva fare. Finì che Djagilev gettò a terra i disegni di Picasso, li calpestò, e se ne andò sbattendo la porta. L’indomani dovette usare tutto il suo fascino per calmare l’offesissimo pittore; il fondale di Pulcinella rimase a sbiadire all’Opéra di Parigi (tranne il giallo, “rinfrescato da un gatto”); probabilmente Djagilev, sempre in difficoltà finanziarie con il sovrintendente del teatro, glielo aveva lasciato in garanzia.

StoriediunGenio”. 2 “Picasso sui Pirenei” di Gaia Galateria, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 14 di giugno 2024: Per Picasso, dicono, ci fu un prima e un dopo Gósol. Il villaggio, a millecinquecento metri d’altitudine, sulla frontiera tra Francia e Spagna, era quasi inaccessibile; ci si arrivava a dorso di mulo, per 28 chilometri; stretti tra bagagli, un cagnolino e i materiali, tele e pennelli, di Picasso, il freddo e le vertigini esasperarono Fernande Olivier, la compagna che gli insegnò il francese e i modi. Quel soggiorno, dal 27 maggio al 23 luglio 1906, era stato consigliato al pittore da tutti gli amici. A Parigi fin dall’inizio era stato notato; il mercante Pedro Mañach era riuscitoa vendere il Moulin de la Galette, e doveva apprezzare l’opera del pittore se il 28 dicembre 1900, con Picasso appena ripartito per Barcellona, era entrato per effrazione nel suo studio – spintonando il portinaio e rompendo il lucchetto – per prendersi le sue tele, e se ne stava andando con un quadro quando era stato fermato; allora con l’ombrello aveva spaccato dei vetri, percosso vari inquilini e sferrato un pugno a uno degli agenti accorsi, chiamandoli maiali (Picasso non se la prese, e accettò l’ospitalità del galleristaa maggio, dovendo preparare la mostra che quello gli organizzava: tutto raccontato, spulciando gli archivi, da Annie-Cohen-Solal nel suo Picasso, …). Ma nel suo quarto soggiorno di lavoro a Parigi, a marzo del 1906, Picasso era perplesso; «quando la guardo non la vedo più», diceva a Gertrude Stein, verso la fine delle novanta sedute di posa per il celeberrimo ritratto. Con i 2000 franchi del fratello della Stein, Leo (l’unico, si vantò, ad aver comperato insieme all’epoca Matisse e Picasso), Pablo recuperò Barcellona, e da lì Gósol. Nel paese non c’era nulla (me ne sto quia lavorare «como Dios me da a entender y come yo lo entiendo», come pare a Dio e come pare a me, scrive a Leo Stein), solo pietre e i Pirenei. «L’eco, sapessi come mi dà fastidio», scriveva ad Apollinaire; però Fernande racconta che era allegro ad andare in gita così sopra le nuvole: «cinquemila metri», esagerava. Picasso vive nella casa di un oste contrabbandiere, Josep Fontdevila, che incanta coi suoi giochi di prestigio e a cui fa un “ritratto maschera”. Ho iniziato due o tre cose, scrive agli amici – centinaia di lavori, tra tele e schizzi. Dipinge le donne che ballano in costume il 15 agosto, alla Festa Major; dice che dopo il ballo le donne hanno paura – gli uomini sono eccitati. Nel rientro a Parigi segna, per ogni tappa, il mezzo, «matxos, coche, coche, tren», mulo, carrozza, carrozza, treno – il quaderno blu degli schizzi e degli appunti di Gósol è ormai leggendario.

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