"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 4 giugno 2024

MadeinItaly. 21 Filippo Ceccarelli: «L'Italia di sempre. Paese bellissimo, ma così complicato da lasciar ribaltare i suoi stessi simboli davanti al mondo intero».


StorieMiserrime”. 1“Garantisti alle vongole”, testo di Massimo Giannini pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 31 di maggio 2024: “Tutti da Chico sabato sera”. Se non suonasse un po’ irriguardoso, pensando ai privilegi riservati all’ergastolano Forti appena rientrato in Italia, mi verrebbe quasi da ripescare il titolo della splendida striscia satirica che Tullio Pericoli ed Emanuele Pirella idearono per Repubblica, fino al 2009. Quei due geni la chiamarono “Tutti da Fulvia sabato sera”, immaginandola come un salotto ideale sul quale si accomodava l’intellighenzia di sinistra di allora, irrisa con garbo per i suoi vizi e i suoi vezzi: da Eco a Calasso, da Asor Rosa a Scalfari, cioè i protagonisti della “vecchia egemonia culturale” secondo lo stilema oggi molto in voga. Basta sostituire Fulvia con Chico, e il gioco è fatto. Per ragioni che onestamente mi sfuggono – ma vi giuro, ci sto lavorando – la destra si è appropriata di questo italiano condannato per omicidio 24 anni fa negli Stati Uniti. Il via libera l’ha dato ovviamente la Sorella d’Italia, che si è recata personalmente e inopinatamente all’aeroporto di Pratica di Mare, per accoglierlo con tutti gli onori. Da quel momento, tra i suoi Fratelli è scattata la gara a rendergli omaggio, nella Casa circondariale di Montorio. L’hanno trovato in ottima forma, insieme a lui hanno fatto un bel giro tra i bracci e le celle. E come se avessero appena finito un tour promozionale in un villaggio turistico o in un luna park, ci hanno tenuto a farci sapere che Chico è contento, mangia da dio perché c’è uno chef forse già in odore di Stella Michelin che gli cucina i pasti, e in ambulatorio può giocare con la Playstation di Filippo Turetta, killer della povera Giulia Cecchettin. Insomma, dopo quasi un quarto di secolo nell’inferno delle prigioni americane, tipo l’Alcatraz di Clint Eastwood, Forti è felice: grazie ai garantisti alle vongole che guidano il Belpaese, può scontare il resto della pena nel “paradiso” delle patrie galere tricolori. Ora, io un’esperienza minima di carceri ce l’ho. Ho visitato Rebibbia, dove qualche anno fa giocammo una commovente partita di calcetto tra giornalisti e detenuti. Ho conosciuto ancora meglio San Vittore, dove ho avuto dialoghi struggenti con i carcerati di Costituzione Viva, l’associazione fondata da quel gigante civile di Antonio Casella. La galera è un dramma infinito, fatto di sovraffollamenti e maltrattamenti, di emarginazione e di esclusione. A Montorio, mentre Forti mangia foie gras e gioca a Call of Duty, ci sono detenuti che crepano, nell’incuria e nella penuria: cinque suicidi in soli tre mesi. Capisco che alla coalizione meloniana serviva un altro “eroe” da contrapporre a Ilaria Salis, simbolo della sinistra gruppettara che va a menare i nazisti in Ungheria. Ma qui stiamo esagerando. Si specula sulla pelle dei poveri cristi che marciscono in cella, per la gioia di Salvini e Vannacci che buttano gaudiosi le chiavi. Piuttosto, sabato sera a Montorio il cuoco fa il sushi. Forse vengono anche Pozzolo e Del Mastro, per una gara di tiro a segno. Non mancate, Chico vi aspetta!

StorieMiserrime”. 2 “L’ulivo del G7e le sue magagne”, testo di Filippo Ceccarelli pubblicato sulla stessa edizione del settimanale “il Venerdì di Repubblica”: Ci si sente sempre un po' in colpa a far la parte dei guastafeste, a trovare ogni volta il pelo nell'uovo della nazione, a cadere in quella che nel suo sublime e nevrotico pessimismo Carlo Emilio Gadda definiva «la porca rogna dell' autodenigrazione perenne», e però, però, però... Però in vista della riunione del G7, che la presidenza di turno italiana ha ambientato a metà giugno nell'incanto pugliese di Borgo Egnazia, il governo Meloni ha scelto fin da gennaio il suo bel logo istituzionale raffigurante un ulivo secolare con le radici immerse nel Mediterraneo e in cima sette olive, il numero dei Paesi rappresentati al summit in Val d'Itria. Come ovvio, anche stavolta l'indizio neurovisivo si rivela del tutto irrilevante rispetto al disegno realizzato dall'agenzia Carmi e Ubertis (importo di affidamento 11.250 euro) e ai problemi che i governanti affronteranno; ma siccome quanto a simboli, emblemi, stemmi, logotipi, brande contrassegni uliveschi il tenutario di questa maliziosa rubrichetta si ritiene saturo fin dai tempi (1995!) in cui Romano Prodi pose quell'albero sugli stendardi della sua coalizione e con Arturo Parisi se ne andava in giro, dalla Sabina alla Sardegna, a stabilire quale fosse il più gigantesco, beh, insomma, ci sarebbe anche questo piccolo grande problema: che esattamente dalle parti in cui si svolgerà il G 7 l'ulivo è attaccato dalla fastidiosissima Xylella. Inutile qui ricordare i 21 milioni di piante anche centenarie colpite, disseccate, bruciacchiate, eradicate per via del flagello nell'ultimo decennio con un miliardo di danni. Ma non c'è logo che possa cancellare il fatto che proprio sull'ulivo da quelle parti ha preso il via una caciara dietro cui fa cucù e marameo il nesso tutto italiano che da secoli, inesorabilmente, tiene avvinte la buffoneria e la catastrofe. Per cui nulla, rispetto all'avanzare del terribile batterio, è stato risparmiato dei vizi nazionali, dai vani rimedi del nonno e dalle sospirose cure farlocche alla più variegata litigiosità (…). Piano piano, ma inesorabilmente e persino in buonafede, contro l'imperterrita avanzata della Xylella sono invano scesi in battaglia politici tanto enfatici quanto confusi, magistrati invadenti, ambientalisti fanatici, cantanti ispirati, negazionisti incandescenti, cospirazionisti impenitenti. Lacrime più che giustificate, però pure deputati che per bloccare gli abbattimenti fissavano il proprio domicilio presso enormi ulivi, donde ancor più che giustificati sghignazzi. Insomma e a suo modo: l'Italia di sempre. Paese bellissimo, d'accordo, ma così complicato da lasciar ribaltare i suoi stessi simboli davanti al mondo intero.

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