"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 5 giugno 2024

MadeinItaly. 22 Pino Corrias: «Chiuso il sipario del Teatro Elettorale, torneranno ad accendersi le luci sul mondo vero. Sull’Italietta assediata da quasi 3 mila miliardi di debiti».


Cose che abbiamo imparato nelle ultime settimane: studiare i dinosauri alle elementari non serve. La lobby di quei perdigiorno dei paleontologi voleva inculcare ai nostri piccoli nativi digitali inutili nozionismi su fiere giurassiche, così stupide che spesso l'erba se la mangiavano invece di fumarsela come certi ministri. Ci fidiamo, anche se d'acchito, ascoltando certi pensieri in libertà (vigilata), uno penserebbe che si sono estinte le specie sbagliate. E, per restare sul pezzo, abbiamo appreso che, in un'azienda agricola, il benessere degli animali si verifica "chiedendolo direttamente a loro". Siamo fortunati: al governo abbiamo l'uomo che sussurrava alle mucche, una specie di Zio Tobia 4.0 in una modernissima fattoria. Peccato che a certe bestiole manchi solo la parola, sennò un commentino su questa singolare teoria l'avremmo ascoltato volentieri. Abbiamo ascoltato invece lo stesso soggetto che spiegava pure «quante guerre si sarebbero evitate di fronte a cene bene organizzate». Ora la domanda è: funzionerà pure con l'apericena? Nel dubbio, potenti della Terra, io gli darei retta: meno Blitzkrieg e più finger food. (Tratto da “Pensieri in libertà (vigilata)” di Dario Vergassola pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 31 di maggio 2024).

MemorandumElettorale”. “Il mondo reale sparisce nel teatro elettorale”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del primo di giugno 2024: Ogni giorno, ai bordi del mondo vero – quello devastato da una umanità che si avventa contro l’altra, il mondo delle lacrime e della povertà assoluta, delle stragi e del collasso climatico – in Italia apriamo con trombe e trombette il sipario sul nostro palcoscenico di cartone, dove compaiono una dozzina di figuranti, un po’ di biancheria stesa, due comari che litigano, il bullo che si gratta il pacco, quattro evasori fiscali che si svegliano nella bambagia di un soppalco condonato, un paio di mafiosi che se la cantano al telefono, un poliziotto con il manganello, una biondina che sorridendo truffa il prossimo, il razzista che grida: “Negroide!” e poi ride, il coatto che sibila “Stronza!”, la coatta che risponde “Il piacere è tutto mio”. Il copione – in questo sprofondo pre-elettorale – procede occupandosi di cose che sembrano vere, ma sono destinate a non avverarsi mai. Non parliamo solo delle candidature dei cosiddetti leader che non andranno mai a Bruxelles, salvo l’irresistibile salma del caro Silvio che da trent’anni esportiamo con massimo orgoglio. Ma proprio dei temi che stanno “al centro del dibattito”, come si dice. Nell’ordine: il premierato, l’autonomia regionale differenziata, il Ponte sullo Stretto, la riforma della Giustizia. Tutte questioni che mandano bagliori, intasano il traffico di parole, ma restano e resteranno laggiù, sul palcoscenico della Finzione Italia, il più grande spettacolo di un governo che non governa ma vive di grandi rancori e di quotidiane vendette. Di una opposizione che non si oppone, ingarbugliata com’è nelle sue perenni divisioni in partiti e partitini, cacicchi e correnti. Il primo fuoco d’artificio lo accende il premierato, una bufala che sbilancia i poteri, imprigiona il parlamento, svuota quelli del Quirinale. Fanno tutti finta di prenderlo sul serio, ma nessun Paese l’ha mai adottato, tranne Israele per un paio di anni, prima di buttarlo in discarica. Lo sa Mattarella, lo sanno i costituzionalisti, lo sa persino la Meloni, mentre i suoi alleati fanno finta di nulla, temendo l’ira dei suoi occhi blu. Non ci sono i numeri, non ci sono i tempi, se non quelli per l’archivio o il referendum abrogativo. L’autonomia differenziata è una sceneggiata a rischio maggiore. Aprirebbe le vele alle regioni più ricche, mandando in secca quelle più povere. I soldi per equiparare i livelli dei servizi non ci sono. Verrebbe violato il diritto costituzionale all’uguaglianza. Mentre il veleno del regionalismo esasperato moltiplicherebbe le tensioni sociali, le rivendicazioni identitarie, accelerando la disgregazione dell’unità nazionale in modi e moti imprevedibili. Il Ponte sullo Stretto è l’intermezzo comico dello spettacolo: in cinquant’anni è diventato il più costoso modellino di plastica e cartone mai costruito al mondo. Quello vero dovrebbe cavalcare la zona più sismica d’Europa fidandosi di un progetto esecutivo fermo al 2011, dove insistono venti, turbolenze e correnti peggiorate dai cambiamenti climatici. Tre costosissimi chilometri di acciaio e cemento sospesi sul vuoto, mentre sulla terra ferma di Sicilia e Calabria, ne mancano centinaia per i collegamenti ferroviari e autostradali. Senza contare che gli espropri per edificare i piloni di sostengo, gli asfalti di arrivo e di partenza, accenderanno i fuochi della rivolta. La riforma della Giustizia è un pasticcio se possibile peggiore. La impone un potere politico che teme e insieme combatte il contropotere della magistratura, la sua funzione di controllo. Per questo la umilia elaborando una riforma che non ha niente a che fare con il funzionamento della giustizia, quella di massimo interesse per i cittadini, non taglia i tempi dei processi, non abolisce le leggi inutili, non depenalizza, non semplifica le procedure, non migliora gli strumenti di indagine, non aumenta gli investimenti. La stragrande maggioranza dei magistrati non la vuole. È solo la propaganda elettorale a imporla, specialmente a destra, dove sventola la bandiera dell’illegalità di massa e quella dei grandi poteri. Chiuso il sipario del Teatro Elettorale, torneranno ad accendersi le luci sul mondo vero. Sull’Italietta assediata da quasi 3 mila miliardi di debiti. Dai costi della Sanità pubblica e delle pensioni che non stanno in piedi. Dall’inverno demografico che congela il lavoro. Dalla povertà che cresce, nonostante le fanfare sui record dell’occupazione. Dalle stragi di immigrati. Dalle ricorrenti inondazioni e frane che tra un mese si volteranno nella consueta devastazione degli incendi estivi, quando ci diranno che “manca la prevenzione, mancano i Canadair”. Senza contare le dozzine di guerre in corso nel pianeta, almeno due che ci riguardano da vicino, i loro massacri quotidiani a interferire con l’intervallo che vorremmo goderci in santa pace, tra un atto e l’altro della nostra commedia, quando passano i bonus, le mance da 80 euro, e i gelati.

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