"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 26 giugno 2024

Lamemoriadeigiornipassati. 86 Pino Corrias: «La vita del nostro Emmanuel Jean Michel Frederic Macron».


(…). Un compromesso è un compromesso, sempre: io faccio un passo indietro su questo, tu fai un passo indietro su quello. Nessuno scandalo, dunque. Però, certo, colpisce il fatto che questo lodevole sforzo di unità abbia come sua ragione fondamentale - se non l’unica - l’emergenza politica, ormai annosa, di “fermare la destra”, che in Francia ha le sembianze, poco raccomandabili, del lepenismo. L’emergenza è evidente. Ma è mai possibile che la sinistra, anzi le sinistre, non solamente in Francia, diano la perenne impressione di mobilitarsi, e unirsi, solo quando la tempesta batte alla porta? La sola eccezione (parziale) che mi viene in mente è quella dell’Ulivo. Per il resto, quando mai uno sforzo lontanamente simile a quello prodotto a Parigi in tempi da record, ha visto leader e vice-leader della sinistra spremersi le meningi per un programma comune che sia ispirato da buone idee e dalla volontà di portarle al governo, e non dalla paura che la destra conquisti il potere? Sarebbe servito (servirebbe ancora) un lavoro sereno e tenace, da “tempi di pace”, che dia l’impressione che la sinistra esista per proporre le sue cose, con i suoi tempi e la sua agenda, non solo per fare argine e gridare “al lupo!”. Una sinistra di buon umore, non costantemente in allarme, quando riusciremo mai a rivederla e risentirla? (Tratto da “Una sinistra da tempi di pace” di Michele Serra pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi 26 di giugno 2024)

“Macron, l’enfant gaté delle élite: da reuccio a visconte dimezzato”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, mercoledì 26 di giugno 2024: Mentre fiorivano le dalie rosa nei giardini del Luxembourg, Emmanuel Macron fondò il suo partito tascabile, En Marche!, dichiarando che intendeva “trasformare la Francia”, niente di più, niente di meno. Era la primavera del 2016 e l’anno dopo la borghesia francese gli credette al punto da spedirlo all’Eliseo alla bella età di 39 anni assecondando l’intera collezione di dettagli che faceva di Monsieur le Presidente, una identità del tutto nuova: il musetto sbarbato e pulito del sognatore, l’eloquio filosofico, la concretezza del tecnocrate, un intero menù di innovazioni “non di destra, né di sinistra”, ma anche una consuetudine consustanziale con gli antichissimi privilegi delle élite – alte burocrazie, banchieri – che in Francia si chiamano “nobiltà di Stato” a dirne l’amore e l’odio del popolo sottostante che qualche tempo fa, esaurita la pazienza, fece saltare la testa a un certo numero di nobili con la soluzione non proprio garantista, della ghigliottina in piazza. Otto anni dopo, cioè ieri, tutti i gerani sui davanzali dell’Eliseo sono sfioriti in una sola notte, quella del 9 giugno scorso, quando alle elezioni europee la sua arci-nemica Marine Le Pen e le sue truppe di patrioti bianchi, hanno raddoppiato i voti, 32 per cento, mentre lui, il presidentissimo al suo secondo mandato, li dimezzava al 14. E perciò ecco che alle nove di sera, compare sugli schermi di Francia per annunciare lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale, “La lezione è chiara – dice –. Non posso fare finta di nulla”. (...). L’appello contro i “populisti nemici dell’Europa che vogliono isolare la Francia” mira a alzare la diga del Fronte popolare contro l’acqua alta del Rassemblement National e del suo astro nascente, Jordan Bardella, non ancora trentenne, il super patriota in lotta contro il piano globalista della “grande sostituzione etnica”, la stessa che toglie il sonno a Orban, l’ungherese, e al nostro Lollo, il cognato-ministro del maccherone italiano. (...). Da un identico amore pazzo è stata segnata la vita del nostro Emmanuel Jean Michel Frederic Macron, nato nella piccola città di Amiens, il 21 dicembre del 1977, famiglia di medici ricchi, moralisti e un poco legnosi, come è d’abitudine nella soffocante provincia francese. È scandalo con minacce giudiziarie quando deflagra la relazione tra lo studente sedicenne e una biondissima insegnante di Lettere, Brigitte Trogneux che di anni ne ha compiuti 40, con marito banchiere iracondo e tre figli già scodellati: galeotto fu quel libro e chi lo scrisse, direbbe il poeta, fino al bacio tutto tremante e anche oltre. Con la famiglia che crede di interrompere la pubblica indecenza spedendo il bimbo a Parigi, al liceo d’alta classe Henry IV, con il bel risultato di far partire anche lei, Brigitte, che un giorno confesserà: “Fui soggiogata dall’intelligenza del ragazzo”. Più quieto successo Emmanuel lo incassa nella sua scalata scolastica, laureato con pieni voti in Filosofia, pupillo di Paul Ricour, il filosofo, trionfali specializzazioni a Sciences Po e all’Ena, la scuola nazionale d’alta amministrazione, dove la Francia alleva i suoi discepoli migliori. Diventa Ispettore delle Finanze, poi consulente della Commissione per l’innovazione di Jaques Attali, nominata dall’allora presidente Sarkozy. A 31 anni monetizza. Entra nel Board della Banca Rothschild, segue varie transazioni internazionali, diventa milionario. Il presidente Hollande, nel 2014, lo nomina ministro dell’Economia e del Digitale. Nel frattempo sale e scende dalla giostra politica. Prima socialista, poi indipendente. Dirà: “Sono posizionato piuttosto a destra in economia, ma per i valori mi sento a sinistra”. Dunque un carnivoro con attitudini vegetariane, che a differenza dei ronzini italiani, si prepara a galoppare lungo le praterie del centro. Quando fonda il suo movimento, la destra e la sinistra lo sottovalutano. Lo appoggiano gli imprenditori, l’establishment che legge Le Monde dell’editore Pierre Bergè, i finanzieri che lo considerano membro dei loro club. Lo asseconda gran parte del ceto medio che vede in lui la luce di una nuova politica che promette: “La Francia deve essere una opportunità per tutti”. Al ballottaggio del 2017, straccia Marine Le Pen 66 a 34. Entra trionfale all’Eliseo con Brigitte accanto, elegantissima lei, elegantissimo lui, con i vestiti in dark blu tagliati su misura. E un bel po’ di cosiddette innovazioni – maggiori tasse sui carburanti per l’ambiente, niente pensione a 62 anni, niente riduzione dell’orario di lavoro, sacrifici, rigore, grandeur per l’industria delle armi e dell’energia nucleare – che si rivelano su misura per scatenare piccole e grandi rivolte, scioperano quasi tutte le categorie a turno: studenti, ferrovieri, medici, insegnanti, controllori di volo, agricoltori, con o senza i gilet gialli, in grado di bloccare l’intera Francia. Il disordine e naturalmente anche lo stillicidio del terrorismo islamista, rafforzano l’ordine. Macron viene rieletto al suo secondo mandato, anno 2022, nonostante collezioni pochi elogi, molte critiche, anche sprezzanti, tipo “l’idiota”, “il narcisista”, “il presidente dei ricchi”. Sul palcoscenico del mondo si presenta spalla a spalla con il socialista Scholtz. Guarda l’America dall’alto in basso. Disprezza i sovranisti. Detesta la Meloni, ricambiato. All’inizio dell’invasione russa si propone mediatore di pace. Oggi minaccia di entrare in guerra accanto all’Ucraina. Riceve diplomatiche pernacchie. Appare ondivago e di sicuro si sopravvaluta. Quando fu eletto la prima volta fece suonare l’inno d’Europa prima della Marsigliese. A breve ci riprova non con la banda musicale, ma con le urne. Vedremo se resterà monarca o visconte dimezzato.

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