"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 1 giugno 2024

Piccolegrandistorie. 75 Sandro Pertini: «Ho detto "libero fischio in libera piazza"… Io sono un socialista e accetto i vostri fischi».

                    Sopra. "Preghiera" (2024), matita e pastelli di Anna Fiore.

LaPolitica&LeMemorie”. 1 Da “Sull’altro marciapiedi” di Concita De Gregorio: Quando ero piccola vivevo in un Paese sotto dittatura, la Spagna di Franco. In Catalogna, per la precisione.  Naturalmente non avevo idea di cosa fosse una dittatura, pensavo che il mondo fosse tutto così (no, non credo di aver mai avuto da bambina un pensiero come questo, ce l'ho adesso. Non avevo nessuna idea di mondo. Quel che intendo dire è che tutto mi pareva normale. Il mondo era la mia strada, la mia scuola, la mia casa: non avevo paragoni da fare che le facessero sembrare strane. Erano normali). C'erano alcune regole da rispettare, come sempre. Per esempio. Non si poteva parlare fuori casa la lingua che si parlava a casa, il catalano. Non che mi dicessero perché. Era un po' come se fosse un dialetto, una lingua che non stava bene usare fuori. Fuori, al mercato, a scuola, bisognava parlare l'altra - come tutti. Un'altra regola era che quando con mia nonna passavamo davanti alla sede della Guardia Civil, la polizia, si attraversava la strada e si andava sull'altro marciapiede. Poi, superato il palazzo, si attraversava di nuovo. Non ci si passava mai davanti, nonna non lo faceva. Era un brutto posto, diceva: pericoloso. Non c'erano macchine non c'era gente per strada, la città era nostra. Pochi, a camminare, ma anche questo l'ho capito dopo. Si andava al mercato a comprare ali di pollo per fare il brodo. La signora del banco mi chiamava reina, regina. Un vezzeggiativo in uso per le bambine, una parola che si dice uguale in castigliano e in catalano dunque mi pareva un nostro segreto, un codice. Una cosa che era successa, in quegli anni, era che avevano chiuso il giornale dove lavorava mia zia e lei era andata a vivere in Francia. Mia zia era giovane magnifica e ribelle: era andata in Francia per la sua libertà, pensavo. A scuola avevamo la divisa. Si cantavano le canzoni della Messa. La domenica si andava a vedere sempre lo stesso film, Marcelino pan y vino, tristissimo. L'avrò visto cento volte, penso. Poi si andava in piazza a dare le briciole di pane alle colombe, le briciole stavano dentro una busta di stoffa a quadri bianchi e grigi. Mio zio mi insegnava delle canzoni, di nascosto, e mi faceva giurare di non dirlo a nessuno. Mia nonna mi cantava una ninna nanna – Il Canto degli uccelli - che, ho saputo molti anni dopo, era di un grande musicista dissidente, un violoncellista famoso. L'aveva anche suonata all'Onu. Poi il dittatore è morto. La prima cosa che è successa è che tutti sono andati in strada, anche io che avevo un po' più di dieci anni, allora, a cantare e ballare. La seconda è che sotto casa hanno aperto una libreria, non ne avevo mai vista una. La terza è che mia zia è tornata. L'anno dopo è venuto a vivere nel nostro isolato uno scrittore cileno. La zia lo amava molto, aveva degli amici poeti stranissimi, sgualciti, lei li invitava sempre da noi a fare colazione coi croissant. Raccontavano storie incredibili di altre dittature di altri mondi e lì, piano piano, ormai quasi adolescente, qualcosa ho cominciato a capire. Mi sentivo felice con loro. Lo scrittore portava occhiali tondi, raccontava barzellette, aveva gli occhi tristi. Si chiamava Roberto Bolano. Era molto povero e volentieri veniva a cena da noi. Cantava, ma era stonato.

LaPolitica&LeMemorie”. 2 “Libero fischio in libera piazza” di Massimo Giannini: Se volete capire qualcosa su come il potere politico dovrebbe gestire il dissenso, guardate un video straordinario di Sandro Pertini. Lo trovate su YouTube, è datato 9 novembre 1980. È presidente della Repubblica già da due anni, va all'Università di Urbino per un incontro con gli studenti. Sta in piedi in mezzo all'aula magna, con il microfono in mano, e duecento ragazzi stanno in cerchio, seduti per terra intorno a lui. Gli dice «io non faccio discorsi, che vi fanno venire la barba, ma gli studenti mi fanno domande, e io rispondo. Anche domande impertinenti, mi chiamo Pertini, no? Non dovete badare ai vostri insegnanti e ai vostri professori, loro non c'entrano, ora tocca a voi...». E partono le domande. Si alza il primo ragazzo, «Ecco qua, come ti chiami?», «Mi chiamo Peppe...», «E io mio chiamo Sandro, piacere». Altri applausi. Si spazia a tutto campo, questioni attuali ancora oggi: dallo scandalo dei petroli alla disonestà dei politici, dall'attuazione della Costituzione antifascista alla disoccupazione giovanile, dai tanti ragazzi intelligenti figli di contadini e di operai ai troppi «ragazzi cretini figli delle famiglie borghesi», dalle tentazioni presidenzialiste ai sabotaggi della legge sull'aborto. A un certo punto, quando il presidente accenna ad Arnaldo Forlani, al quale da poco ha dato l'incarico di formare il nuovo governo, gli studenti cominciano a fischiare forte, gridano buuuuu. Pertini non si scompone e non se ne va: «Fate bene a fischiare, anche io fischiavo alla vostra età, sono stato fischiato a Padova dall'estrema sinistra, e ho detto "libero fischio in libera piazza"… Io sono un socialista e accetto i vostri fischi». Poi argomenta, «Ma chi dovevo incaricare, ditemelo voi! Terracini? Lo stimo, siamo stati in carcere assieme, ma se avessi incaricato lui sarebbe caduto il giorno dopo e io avrei dovuto ricominciare le consultazioni...». Poi a un ragazzo con la barba spiega «Guarda, ti faccio una confidenza, anche i comunisti sono soddisfatti di questa scelta, te lo assicuro...». Subito dopo si alza uno studente con la tuta jeans, gli chiede cosa pensa del disarmo e delle guerre, dall'Afghanistan all'Iran alla corsa al nucleare di Reagan e Breznev, e critica la politica estera italiana assente e irrilevante. Pertini replica, il giovane borbotta, è insoddisfatto, e il presidente non lo molla, «Per carità, puoi protestare, sei libero, ma ricordati che se oggi ti godi questa libertà è perché i vecchi coi capelli bianchi come me la loro gioventù l'hanno sacrificata per tanti anni, proprio per garantire a voi di beneficiarne adesso...». I fischi diventano applausi. Ma non è finita, perché un altro si alza e gli dice «Presidente, lei ci è simpatico, ma noi non la amiamo... abbiamo subito troppe delusioni, ora vogliamo i fatti». Parte un corpo a corpo, Pertini cita Gramsci, racconta la sua prigionia durante il fascismo, «Noi continuavamo a batterci, ma credevamo nel domani e dovete farlo anche voi, continuando a battervi», lo studente ripete «Va bene, lei è simpatico, ma noi non la amiamo», Pertini non ci sta, alza la voce, «Non mi ami? Ebbene quando è che ti ho deluso, buon dio? Dimmi un caso solo!». A quel punto si muove il rettore, si avvicina al presidente, lo prende sottobraccio, vuole portarlo via, ma lui si divincola, si spazientisce, «No rettore, sono un ribelle, non vengo via». E mentre il rettore freme e il segretario generale del Colle trema, il confronto va avanti serrato, bellissimo e verissimo. Per un'altra ora. Lui e loro. A discutere e quasi a litigare, di terroristi e di pentiti, di Alleanza atlantica e di pace, di giornali e di diritti delle donne. Una meraviglia. (…).

N.d.r. Le due “storie” sono state riportate sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 25 di maggio 2024.

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