“Prolegòmenipostelettorali”. 1 “Confusi alla meta” di Diego Bianchi,
pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 30 di settembre 2022:
«A chi se dovemo affidà tra
tutti sti papponi che ce stanno?» mi chiede
un vicino mentre esco di casa. Non sono più da tempo nelle condizioni di
convincere le persone della bontà di votare per questo o quel partito, mentre
mi viene abbastanza facile trovare argomenti per non votare questo o quel
partito, il tutto ancora saldamente convinto della necessità di dover comunque
andare a votare. Ragion per cui, confuso e infelice, nel momento in cui scrivo,
a pochi giorni dal voto, registro le dichiarazioni altrui con sincera curiosità
e malcelata passione morente. Il vicino di casa è tale da quando sono nato,
parliamo solo di calcio, lombrosianamente l'ho sempre classificato di destra.
«Io voto Conte», mi fa, «perché è stato bravo con la pandemia». Registro
mentalmente un potenziale flusso elettorale da destra verso colui che,
manifestatosi da Carneade nell'agone politico come premier di un governo con
Salvini ministro dell'Interno, oggi prende voti perché "leader di
sinistra". Pochi metri per salire in macchina e un signore autodefinitosi
di sinistra mi fa la stessa domanda del mio vicino. Abbozza l'idea di votare
Rizzo. Vedendomi muto e depresso nel tentativo di mettere in moto la macchina,
si affretta a specificare che comunque «non è tanto convinto». Giorni dopo un
mio amico col quale sono cresciuto da giovane comunista (eravamo nella Fgci),
mi dice di essere indeciso tra Conte e l'astensione, che poi è l'umore di parte
significativa di altri vecchi ex giovani comunisti che leggo in chat. Al
comizio di chiusura di campagna elettorale della coalizione di destra, un
signore ci tiene a dichiararmi il suo voto per la Meloni pur avendo votato Pci
in passato. La sua transizione da sinistra a destra giura essere definitiva. In
sintesi: o la Meloni o morte. Il meno disorientato tra coloro che incontro nei
giorni precedenti il voto è inevitabilmente un giovane, ventunenne di Sara, che
con la maglietta di Gioventù Nazionale (la giovanile di Fratelli d'Italia) mi
racconta di come, all'età di otto anni, sia diventato di destra perché tutti
attaccavano Berlusconi. «Per me è un idolo», afferma grato poco prima che
l'idolo salga sul palco sorretto a braccia, comunque più in forma, per eloquio
e contenuti, dello sconclusionato Salvini che lo seguirà negli interventi. «A
regà, chi canta così vota la Bonino! Fori sta voce!», urla al megafono un altro
giovane "fratello d'Italia". Giovani di destra, molto di destra,
troppo di destra, pronti alla vittoria, che a furia di chiedersi dove sia, ora
la vedono a un passo. Chissà fra trent'anni se e quanto saranno confusi e
infelici.
“Prolegòmenipostelettorali”. 2 “Nella testa
di chi non ha votato” di Michele Serra, pubblicato sul settimanale “il Venerdì
di Repubblica” del 30 di settembre ultimo: (…): non è possibile distinguere, come se
fossero due mondi separati, politica e popolo. In crisi non è solamente la
politica, è lo spirito di comunità, la voglia di associarsi e di spendere
qualche energia per la cosa pubblica. Si usa dire, in questi casi, che il
volontariato non è affatto in crisi, che milioni di italiani dedicano tempo
agli altri. Ma il volontariato è una cosa molto diversa: è una scelta
individuale, un'esperienza della persona, una risposta "privata",
utile e importante, al disastro pubblico. È una specie di privatizzazione della
politica che comunque non colma la voragine progettuale e ideale nella quale si
dibatte la Polis, o ciò che ne rimane. (…), in questo quadro desolante, fa
specie l'astensionismo di sinistra. Ne intuisco le ragioni (lo sfinimento, la
delusione) ma pure io lo inquadro nella deriva individualista che tende a
spezzare i vincoli sociali in favore degli umori e dei malumori individuali.
Votare è, per lo meno, un'occasione per uscire di casa e provare, ognuno come
sa e come può, a incrociare la propria opinione con quella degli altri. Votare
significa partecipare a una discussione, ritenerla, anche quando è scadente,
indispensabile. Non votare equivale a scegliere la scena muta, le labbra
cucite, le braccia incrociate, l'alzata di spalle. Lo hanno fatto milioni di
italiani, tra i quali quelli di sinistra sono, per quanto mi riguarda, i meno
comprensibili, perché la sinistra, almeno in teoria, è la componente politica
più disposta a socializzare, a battersi, a parlare, nonché, sempre in teoria,
la meno individualista. E l'astensione è il trionfo dell'individualismo.
“Prolegòmenipostelettorali”. 3 Da una
corrispondenza di Michele Serra sullo stesso numero del settimanale “il Venerdì
di Repubblica”: Sì, c'è qualcosa che non quadra. Probabilmente la cognizione della
politica, in una larga parte dell'elettorato, è molto più vaga e volatile di
quello che sembra a chi legge i giornali e segue i talk-show televisivi. Cose
che a noi paiono incongruenti o assurde, tali non sono per una buona metà
dell'elettorato, che va a votare secondo l'umore del momento, mi viene da dire
secondo le mode, senzafare troppe congetture logiche, o calcoli razionali,
tantomeno inseguendo una coerenza ideale o etica. Sentivano ogni dieci secondi
"Draghi, Draghi!", e gli piaceva Draghi. Hanno sentito ogni dieci
secondi "Meloni, Meloni!", e gli piace Meloni. La recente visione del
documentario su Wanna Marchi rinforza l'idea, spaventosa, della manipolabilità
delle masse, che assorbono come spugne qualunque sostanza, anche venefica, che
in qualche maniera le attiri e le seduca. Conservo nel merito un'opinione
nemmeno novecentesca, forse addirittura ottocentesca: senza cultura non esiste
possibilità di progresso e di emancipazione. L'ignorante è come l'affamato, con
lo svantaggio che il cervello vuoto non si fa sentire come lo stomaco vuoto.
“Prolegòmeniprelettorali”.
“Sopravviveremo anche a queste” di
Michele Serra, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 23 di
settembre 2022: Non amo l’idea del presidenzialismo ma per onestà va riconosciuto che
non è sempre coincidente con una concezione autoritaria del potere. Non lo è,
per esempio, negli Stati Uniti e in Francia. Vero è che qui in Italia il presidenzialismo,
assai meglio del parlamentarismo, sarebbe in perfetta sintonia con l’idea
scellerata dell’uomo forte, che deriva dalla sostanziale puerilità di
moltitudini di italiani: preferiscono un Padre da omaggiare piuttosto che
accettare la responsabilità e la fatica di crescere. Siamo un popolo di non
adulti, chissà quando e chissà come riusciremo a venirne fuori. (…). La destra,
anche quella che agita il drappo del populismo, considera le disuguaglianze
sociali l’effetto di una selezione naturale che va accettata per quello che è.
Mancano solo due giorni al voto, i giochi a questo punto sono quasi fatti,
bisognerà accogliere con serenità l’esito, qualunque esso sia. In caso di
vittoria delle destre – queste destre – giova comunque ricordare che già nel
1994 le elezioni furono vinte da una coalizione di leghisti, neofascisti,
forzisti, cattolici di destra, capeggiata dall’inventore del populismo
italiano, Berlusconi. Ne siamo usciti vivi: sputtanati in mezzo mondo,
malconci, indeboliti, ma vivi. Sopravviveremo anche a queste elezioni.
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