“Spicilegio”. Ha scritto Domenico Starnone
in “Solo se interrogato”: (…). Li
vedo arrivare ogni mattina, si seggono nei banchi, aspettano. A osservarli, non
hanno niente a che fare con la parola “massa”. Sono individui tutti differenti
che si sforzano di esprimere la loro specificità. Certo, sono vestiti spesso
allo stesso modo (…), ricorrono alla stessa gergalità, gesticolano e si muovono
a seconda della star di cui diventano di volta in volta fan, portano nomi e
nomignoli derivanti dai consumi culturali delle loro famiglie e del loro
gruppo. Ma questa è la superficie. Ciò che invece mi colpisce sempre di più, in
questi ragazzi, è l’energia con cui il bisogno adolescenziale di essere
“differenti”, “unici”, si esprime non contro il conformismo di massa, ma dal di
dentro di esso. La caccia ai tratti specifici corre, nei giovani,
parallelamente al bisogno di consumare massicciamente ciò che le mode
mercantili impongono. Ho visto di anno in anno intelligenze strenuamente
applicate a “consumare differentemente”. La necessità di un continuo
aggiornamento, indotto dal mercato “giovane”, è accolta, nei singoli, con uno
“studio” volto a deviare per dettagli anche minimi dalla “serie” dentro cui si
è inseriti. È un bisogno, insomma, di “percorso individualizzato” nel
mondo-merce che risulta sempre deludente e che però ricomincia sempre punto e
daccapo, con altra merce, con altre mode. Di seguito, “Un limite al desiderio” di Enzo
Bianchi – già priore della Comunità Monastica di Bose -, pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” dell’8 di agosto 2022: Ultimamente mi ha sorpreso uno
spot pubblicitario televisivo che in modo martellante mostra una scena: in un
supermercato una bambina in estasi sta davanti a uno scaffale di prodotti
dolciari… poi un attimo di silenzio in attesa della voce della mamma che chiede
alla bambina: “E quale vorresti?”. E la bambina, esplodendo in un grido
gioioso: “Tutti!” Ho subito percepito l’insensatezza di un messaggio del
genere. C’è un desiderio e alla domanda che chiede di scegliere, la risposta è:
“Tutti!”. Tutto e subito. Lo dice l’istinto, lo fa suo il desiderio e lo
esprime. L’istinto è una forza dominante, è un sentimento personale, intimo,
che scaturisce dalle profondità animali della persona, e che dunque va assunto,
disciplinato, educato. Altrimenti lo si enfatizza, diventa brama di “tutto e
subito”, e non conosce più limite: l’istinto diventa così cupidigia, brama,
voracità di possesso e dunque anche amore del denaro. Chi è assalito da questo
istinto e non riesce a dominarlo e razionalizzarlo viene trascinato a
possedere, consumare, fare suo ciò che desidera e non ha, e per averlo diventa
anche capace di ricorrere alla violenza. L’ebrezza del “tutto” fa sognare
l’impossibile, esclude ogni possibilità di condivisione, non riconosce la
presenza dell’altro con lo stesso desidero verso il medesimo oggetto. Chi vuole
tutto di fatto vuole realizzare il suo desiderio senza tener conto degli altri,
del prossimo, del limite che contraddistingue ogni azione dell’umano. In ogni
caso l’oggetto o la persona desiderati con cupidigia emergono come forze dominanti
fino a produrre, in chi desidera, l’alienazione. Comprendiamo allora
l’assillante invettiva dei profeti di Israele contro la cupidigia o il
desiderio del tutto (questa la vera idolatria!), perché per loro proprio nella
cupidigia sta il non riconoscimento dell’altro e del proprio limite, sta la
radice dell’ingiustizia e di ogni violenza. Tra le dieci parole donate da Dio a
Israele sul Sinai, “non desiderare” (chamad, desiderio che si fa azione)
ricorre significativamente due volte: nei rapporti con le cose materiali e nei
rapporti con le persone! Si consideri poi che questa patologia del desiderio
che vuole tutto, che non sa porsi dei limiti, non riguarda solo la vita
personale, ma anche la vita nella pólis, la vita nella società. È significativo
che il premio Nobel per l’economia J. E. Stiglitz abbia pubblicato un noto
libro sulla crisi economica intitolato, nell’edizione francese, Le triomphe de
la cupidité. Certo, la dimensione lucrativa del lavoro umano non può essere
eliminata, ma proprio l’eccesso del guadagno e dell’interesse, il non mettere
né darsi limiti ha portato a una crisi che ha prodotto sofferenza per popoli
interi. La voracità che così si è scatenata viene ormai legittimata e la
cultura della cupidigia ha impregnato la mentalità delle nostre generazioni
facendone scaturire una cultura individualista, incapace di pensare un
orizzonte comune. Nell’educazione dei giovani sarebbe opportuno non offrire
“tutto”, ma insegnare a ordinare il desiderio e a scegliere, tenendo conto del
bene comune, nella consapevolezza che bisogna porsi un limite perché facciamo
parte di un’unica umanità. Volere tutto è il contrassegno di una convivenza in
cui l’altro è negato e ne va eliminata la presenza. Noi non possiamo volere “Tutto!”,
ma possiamo volere solo accettando di rinunciare al tutto.
Prezioso, chiaro, profondo e illuminante questo post! Sarebbe tanto importante, per tutti, prendere coscienza dei disastri causati dai desideri smodati e dalla mancanza di autocontrollo che caratterizzano il comportamento non solo dei giovani, ma della quasi totalità degli uomini del nostro tempo... Grazie e buona continuazione.
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