Sopra. "Il rapimento di Europa" di Valentin Serov (1910).
“Europa&Memorie”. Ha scritto Gustavo
Zagrebelsky: “Se mai l'Europa si darà una vera costituzione, sarà quando avrà
intrapreso una profonda riflessione su sé medesima, ancora una volta a
confronto con l'America. Questa volta per rispondere alla domanda: chi davvero
noi siamo, che cosa davvero ci distingue, sempre che si voglia essere qualcuno
e qualcosa, e non una semplice propaggine. Il Tocqueville di cui oggi avremmo
bisogno sarebbe quello che fosse capace di renderci consapevoli, nelle
differenze, della nostra identità”. Di seguito, “Madre Europa salvaci tu” di Paolo Rumiz, pubblicato sul
settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” di ieri, primo di ottobre
2022: In tanto viaggiare, non avevo mai pensato che l'Europa fosse femmina, o
che, come esiste il "Mal d'Africa", potesse esistere il "mal
d'Europa", un desiderio bruciante di lei. Soprattutto non avevo riflettuto
sul fatto che, per capirne l'essenza, dovessi toglierle l'articolo. Dire
"l'Europa" non fa sognare. Rappresenta al massimo un brandello di
mappamondo o, peggio, una torre di Babele popolata di funzionari intenti a
dettare regole indecifrabili. Dire "Europa" è altra cosa. Personalizza
un mondo. Svela le nostre radici, innesca una narrazione, crea un legame
indissolubile. Quello che si accende in noi tutte le volte che ne siamo
lontani. Io amo non l'Europa, ma Europa, una donna con quel nome. Cosa mi
spinge a cercare Europa in tempi in cui sbiadiscono i valori fondanti, decadono
l'orgoglio di appartenenza, la coesione, l'autonomia, tempi in cui si fa sempre
più flebile la difesa dei diritti e la distanza critica dal pensiero unico del
profitto? A cosa potevo aggrapparmi in un simile naufragio? Come ricuperare e
narrare il nucleo segreto, l'essenza di una terra-madre ridotta a corpo inerte,
balcanizzato e subalterno, schiacciato fra grandi potenze, ossessionato dalla
sicurezza, sempre più diviso da reticolati, dimentico delle guerre che hanno
lacerato la sua carne? Come reagire all'eclissi di un'Alleanza che oggi cammina
rasente i muri e tace in un silenzio assordante quasi vergognandosi di
esistere? L'Annunciazione è avvenuta una notte, a Santa Maria di Leuca, sul
tacco dello Stivale, dove Jonio e Adriatico si toccano ai piedi di un grande
faro. Una chiatta piena di migranti era naufragata sugli scogli della Nuova
Terra e, trovandomi già in Puglia, ero corso lì appena in tempo per vedere alla
luce delle fotoelettriche un sacco bianco deposto sul molo da una motovedetta
della capitaneria. Conteneva, mi dissero, il corpo di una somala incinta, una
di molte donne annegate, forse scaraventate in mare dagli stessi scafisti.
Accanto a quel corpo, un uomo in piedi, immobile, possente e taciturno, in
lacrime come un bambino. Un palombaro, un testimone-chiave di un Mediterraneo
ridotto a mattatoio. Cosa aveva visto per piangere a quel modo? La donna senza
volto cominciò a svegliarmi, notte dopo notte. Chiedeva di avere un nome, una
voce, una storia. E quando una voce ti chiama nel buio, non puoi fare altro che
ascoltarla. Era il gennaio 2016. Non ebbi pace finché a luglio dello stesso
anno ebbi una risposta. Centinaia di profughi stavano sbarcando da una nave di
soccorso a Porto Empedocle. Erano stati al largo più di un mese, respinti da
tutti. La nave puzzava di vomito e cherosene. I migranti scendevano con passo
malfermo da una passerella con addosso dei salvagente di color giallo.
Le
donne, una dozzina, quasi tutte siriane, furono separate dai maschi e fatte
accomodare su uno spazio di banchina casualmente coperto da un grande telo blu.
Lì si sedettero in tondo, come per condividere ritualmente la solennità del
momento. Appena realizzai che quel cerchio giallo in campo blu ricalcava la bandiera
dell'Unione europea, una delle donne cominciò a cantare a bassa voce un motivo
dolce, capace di riassumere il dolore del distacco dalla patria e la speranza
di un mondo nuovo. Avrà avuto vent'anni; i capelli corvini tagliavano come
un'ala un profilo affilato e levantino, diviso in due come una moneta. Un lato
era dolce, materno. L'altro esprimeva la durezza della volontà. Un'ambivalenza
che riassumeva il mistero del Femminile. Non lo avrei più dimenticato e tuttora
sono certo che, se lo rivedessi, lo riconoscerei all'istante. La ragazza
siriana in giallo su sfondo blu, che aveva attraversato il mare con paura, dava
finalmente un'identità alla donna del sacco bianco. Una faccia, una voce. E un
nome: Europa. A incarnarsi nella migrante era nientemeno che il mito fondativo
della nostra terra. Giove trasformato in toro che rapisce una principessa
fenicia di nome Europa e la trasporta a nuoto in Occidente, svela la nostra
discendenza da una madre d'Oriente, portatrice di sangue nuovo, una capostipite
venuta da un mare che non è certo l'Atlantico ma il Mediterraneo. Svela che il nostro legame con l'Asia è indissolubile e l'unico
nostro vero confine sta a Ovest, sull'oceano. Dice la nostra appartenenza a
un mondo pelagico dove da sempre le genti si incontrano, spazio acqueo dove
sarebbe nata da democrazia, la filosofia e la tutela dei diritti. Un mondo
baciato dalla sorte, portatore di una mitologia femminile. Il mio libro in
versi Canto per Europa era già in embrione senza che lo sapessi. A dargli la
spinta fu, poco dopo, il referendum inglese in favore di Brexit. Un evento che
spinse Piero, un amico caro, cultore di lettere antiche, navigato nocchiero e
armatore di una delle vele più gloriose del Mediterraneo, a telefonarmi dal
Galles, per lamentare che gli Inglesi avevano deciso di "sputare - così
disse - sul corpo della loro madre", e che quello era il momento di
ripetere il viaggio di Europa da Oriente a Occidente per mettere "Albione
davanti all'evidenza di un mito che conteneva i valori fondanti dell'Unione".
Poco tempo dopo eravamo in mare con la sua barca a vela. La quale, zigzagando
fra Asia e Occidente, tracciò come punti di sutura fra i due mondi. Fu lì che
ritrovai Europa. Aveva lo stesso volto della ragazza sbarcata a Porto
Empedocle, ma poteva essere una profuga qualunque. Libica, curda, bosniaca,
afghana. Il mito si intrecciava con l'attualità - riscaldamento climatico,
guerre, emigrazioni e turismo di massa - e ne traeva spunto per costruire un
racconto in bilico fra il presente e i millenni. Fu allora che gli dei presero
a vorticare intorno alle nostre vele in un racconto che, miglio dopo miglio, si
fece sempre più pagano e carico di metafore, in un mare segnato da bellezza e
tragedia, divinità e naufragi.
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