"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 4 ottobre 2022

Notiziedalbelpaese. 100 Luca Ricolfi: «La storia insegna che il carisma è più facile conquistarlo che conservarlo».

Ha scritto Michele Serra in “Strana destra strano paese” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, 4 di ottobre 2022: Breve sunto delle chiacchiere della prima settimana post voto. Campione: parenti, amici e conoscenti in larga parte orientati a sinistra. Vi risparmio le maledizioni e le lagne sulla sinistra, a questo punto perfino eccessive oltre che risapute. Il dato clamoroso è un altro: Meloni desta meno timori e meno antipatie dei suoi due accodati, il Salvini e il Berlusca. Sul Salvini la frase più gentile è: "è molto più fascista della Meloni". Sul Berlusca, solo parole irriferibili. Credevo fosse una mia devianza personale, constato che è invece piuttosto diffusa: quella che - sulla carta - è la più a destra, viene considerata, nel campo opposto, con minore ostilità rispetto ai suoi alleati, il cui discredito, almeno presso il piccolo campione di cui sopra, è irrimediabile. Può darsi che si sottovaluti il tasso di autoritarismo, o di ingordigia, o di inettitudine, della nuova classe dirigente meloniana. Può darsi che si sopravvaluti la quantità di danni che il Duo Spompati (Berlusca e il Salvini) è ancora in grado di infliggere al Paese. Ma intanto, così stanno le cose. Ne consegue un certo tifo, distaccato ma convinto, per una composizione del governo con pochi leghisti e berluschini. Meglio se con parecchi tecnici. Nell'ipotesi che io non frequenti solo pazzi (per altro con i miei stessi sintomi), ne deriva che la destra italiana è siffatta da dover contare, per esistere e governare, soprattutto sulla sua componente ex fascista. Per altro, è quanto gli elettori hanno decretato, dando ai Fratelli d'Italia, da soli, il doppio dei voti dei loro alleati "moderati" messi assieme. Chissà quando, oltre al dibattito stremato e noiosissimo sulla sinistra, avremo il beneficio di un dibattito minimamente serio anche sulla destra.

Prolegòmenipostelettorali”. 1 “La trappola del carisma” di Luca Ricolfi, pubblicato sempre sul quotidiano “la Repubblica” di oggi: (…). Sono passati esattamente 100 anni da quando Max Weber, in Economia e società, introdusse nel lessico delle scienze sociali il concetto di carisma e di leadership carismatica, mutuandolo dall'ambito religioso, in cui allude alla grazia, ossia a un dono straordinario concesso da Dio a una persona a vantaggio di una comunità (la parola carisma deriva da xaris, che in greco significa grazia). In ambito politico il carisma è molto difficile da definire, ma per lo più allude alla capacità di trasmettere una visione della realtà e di stabilire un contatto emotivo con le masse cui ci si rivolge. Che cosa si debba intendere oggi per leader carismatico è ovviamente controverso, ma credo che - quale che sia la definizione di carisma che si preferisce - sia difficile negare che nelle ultime elezioni Giorgia Meloni sia stata l'unica leader che ne fosse dotata. Come mai? Penso che la risposta sia che, in politica, il carisma molto raramente è un carattere permanente del leader. Il carisma si può benissimo perdere. Di leader politici intrinsecamente, e quindi permanentemente, carismatici, nella ormai lunga storia della Repubblica ne ricordo solo due: Palmiro Togliatti e Enrico Berlinguer. Tutti gli altri condottieri che, a un certo punto della loro storia, sono parsi toccati dalla grazia, hanno finito per perderla. Nella storia della seconda Repubblica il carisma si è posato su Berlusconi, con la promessa della rivoluzione liberale; su Veltroni, con il sogno della "bella politica"; su Renzi, con il mito della modernizzazione del sistema; su Beppe Grillo, con la rivolta anti-casta. Ma per tutti, a un certo punto, sia pure con modalità molto diverse, è calato il sipario. Berlusconi ha perso la grazia perché non ha mantenuto le promesse, e non è stato capace di innovarsi. Veltroni ha tardato troppo a scendere in campo, e quando lo ha fatto è stato messo fuori gioco dalle faide interne del suo partito. Renzi si è autoaffondato per arroganza ed eccesso di sicurezza. Beppe Grillo è stato sommerso dal qualunquismo e dalla pochezza della sua creatura. Non sarebbe stato un problema se, usciti di scena tutti i leader un tempo carismatici, al loro posto ne fossero emersi di nuovi. Ma non è andata così. Né a sinistra, né a destra. La sinistra si è presentata alle elezioni senza alcun leader carismatico, se si eccettua lo pseudo-carisma (da reddito di cittadinanza) di Conte nel Mezzogiorno. Quanto alla destra, né Berlusconi né Salvini paiono aver capito che la stanca ripetizione di una raffica di slogan e di parole d'ordine vecchie di vent'anni non può scaldare i cuori. In questo deserto, alle parole di Giorgia Meloni non è stato difficile arrivare ai cuori e alle menti dell'elettorato di centro-destra, cui la visione tradizionalista di Meloni, mai così esplicita in una campagna elettorale, è parsa più congeniale delle promesse liberiste dei soliti Salvini e Berlusconi. Per lei il difficile comincia ora. Perché ci aspetta l'autunno più drammatico dalla fine della Seconda guerra mondiale, e la storia insegna che il carisma è più facile conquistarlo che conservarlo.

Prolegòmenipostelettorali”. 2 “Quella metà di Italia senza rappresentanza” di Massimo Cacciari, pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 2 di ottobre ultimo: (…). La società contemporanea non è affatto un guazzabuglio confuso. Lo è solo per chi non voglia vedere differenze, contraddizioni, interessi di parte, e non voglia o non sappia decidere con chi stare, mascherando la propria impotenza con le belle frasi sul “bene comune”. Ecco che allora gli interessi non tutelati, i settori sociali più deboli ondeggiano tra novità e novità. Assaggiano una minestra, la sputano e ne provano un’altra. Fino al paradosso di cercarla al Sud nel “nordista” Salvini! Speranze disperate, che, appunto, non possono durare che lo spazio di un triste mattino. Al Sud si fa ritorno, allora, mestamente, alle promesse dei Cinque Stelle, premiate per l’opposizione (si fa per dire) dell’ultima ora a Draghi (e c’erano geni politici a teorizzare che l’avrebbero pagata). Movimento comunque dimezzato rispetto al ’18, ma che avendo smentito frettolosi sondaggi “osa” ora presentarsi come vittorioso. Il voto al Sud merita una riflessione di lungo periodo. Il nostro Paese è sempre più spaccato, politicamente e culturalmente prima e più profondamente ancora che economicamente. Ciò non potrà non avere effetti sulla gestione di ogni strategia, (…). La divisione Nord-Sud è leggibile anche in una prospettiva territoriale micro-politica: il comportamento elettorale sempre più difforme tra centro e periferia, tra grande-media città e “campagna”. Comportamento che è spia di un contrasto socialmente radicale e potenzialmente esplosivo. Le periferie non sono più quelle operaie, si dice. E chi ci è andato ad abitare? Quelli dei palazzi nei centri storici? E gli eredi degli operai hanno preso casa ai Parioli? Torniamo al tema della rappresentanza (…). Saprà finalmente affrontarlo il Pd con un vero congresso, da cui possa nascere un nuovo gruppo dirigente? Ma, urgente ora, saprà governare la Meloni? Troppo abile, spero, per pensare di poterlo fare alla Orbán. La sua collocazione europea dovrà essere ben profondamente riaggiustata. In fondo, la nostra nuova presidentessa dovrà ripercorrere quella strada che Fini a suo tempo aveva tentato all’ombra del Cavaliere con il Popolo della libertà. Le grandi potenze economico-finanziarie che reggono i nostri destini non le perdonerebbero passi falsi. Qui possono porsi per lei serissimi problemi col suo “alleato”, Salvini. A meno che i viceré e i colonnelli di quest’ultimo non le facciano il favore di sbarazzarsene. Salvini ha sbagliato tutto in campagna elettorale, battuto in ciò solo da Letta. Dovrebbero pagare entrambi, e salato, ma per Salvini non è affatto detto. Per la Meloni, però, non è soltanto questione politica, ma anche di numeri. Rispetto a Lega e Forza Italia Fratelli d’Italia avrà gruppi parlamentari sotto rappresentati rispetto al voto. La spartizione delle candidature nei collegi uninominali era avvenuta sostanzialmente sulla base dei risultati del ’18, dove FdI aveva poco più del 4%. Dunque, la Meloni ha sì stravinto il confronto interno, ma nient’affatto per quanto concerne la percentuale dei seggi di cui direttamente disporrà. Avrà sempre assoluto bisogno dell’appoggio degli alleati. L’uno, la Lega, in grande crisi “identitaria”, l’altro, Forza Italia, con una leadership che si muove apertamente in sintonia con la maggioranza politica che governa oggi l’Unione Europea. La concordia nel cosiddetto centro-destra durerà per quanto? Sarà l’ennesima vittoria di Pirro di cui è segnata la storia politica italiana degli ultimi trent’anni? Torneremo presto all’ammucchiata “di salute pubblica” con la Tecnica al potere? Lo imporrà il precipitare della situazione finanziaria, l’aumento dell’inflazione, la minaccia recessiva? Fallirà ancora una volta nel nostro Paese l’azione politica? Basteranno pochi mesi e i primi provvedimenti del Governo a darci la risposta.

Nessun commento:

Posta un commento