Ha scritto Umberto Galimberti in “L’economia ha un’anima nichilista” –
sul settimanale D del 16 di giugno 2018: (…). …forse il mercato, che ci visualizza
solo come produttori e come consumatori, quindi come funzionari delle merci, ha
bisogno della nostra depressione per poter funzionare, crescere, aumentare il
fatturato, fin dove? Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo ci
informa che noi occidentali, che siamo il 17 per cento della popolazione
mondiale, per mantenere l’attuale tenore di vita abbiamo bisogno dell’80 per
cento delle risorse della terra. È evidente che una simile sproporzione non può
durare a lungo, e ciò nonostante da ogni parte ci dicano che dobbiamo crescere
e per crescere dobbiamo aumentate i consumi.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
mercoledì 31 ottobre 2018
martedì 30 ottobre 2018
Terzapagina. 49 « Il populismo:un popolo, uno e indistinto».
Tratto da “La
Rete ci ha reso soli e il popolo non esiste più”, colloquio di Wlodek
Goldkorn con Ilvo Diamanti pubblicato sul settimanale L’Espresso del 30 di agosto
2018: (…). Dice Diamanti: «Lo Stato non si è mai fidato dei cittadini e i
cittadini hanno sempre ricambiato, non si sono mai fidati dello Stato». E
prosegue: «Rispetto al passato è mutata la situazione politica; oggi la
mancanza di mediazione, o meglio quello che noi politologi chiamiamo la disintermediazione
è nei fatti. (…). Mi permetta di fare il demagogo. Si è mai chiesto perché in
Italia la pressione fiscale è maggiore che altrove e per quale motivo il
sistema fiscale è meno sopportabile che altrove?»
lunedì 29 ottobre 2018
Riletture. 33 L´immagine dell´Italia nella tempesta dello spread.
I tratti storico-antropologici di
un popolo e delle classi dirigenti che esso esprime hanno da sempre condizionato
– non sempre al meglio - il divenire di quegli accadimenti e di quei fatti che
si suole dire definiscano la “Storia”. Considerazioni del 29 di ottobre dell’anno
2011 contenute ed espresse in “L´immagine
dell´Italia nella tempesta della crisi” di Alain Touraine, pubblicato sul
quotidiano la Repubblica: (…). Conosciamo, grazie allo scozzese Adam
Smith, fondatore della scienza economica nel XVIII secolo, l´importanza
decisiva della fiducia nell´economia di mercato. Se oggi l´Italia è costretta a
pagare per il suo debito un tasso d´interesse molto più elevato della Germania
(spread), è soprattutto perché sia i mercati, sia le istituzioni finanziarie
non hanno fiducia in Silvio Berlusconi (al tempo liquidato dai
cosiddetti “poteri forti” dell’Europa e non già dalle schede nelle urne. Ed oggi
in chi hanno fiducia quelle organizzazioni? N.d.r.): sanno che si mantiene al potere
ricorrendo a mezzi anomali per ottenere i voti che gli mancano nelle
consultazioni importanti; che è in aperto conflitto con la magistratura, la
quale dispone di un´indipendenza maggiore di quella dei Paesi vicini, e in
particolare della Francia; e che impedisce al presidente Napolitano di prendere
decisioni da lui giustamente ritenute necessarie per l´Italia. Lungi da me
l´idea di attribuire a un uomo, per quanto altolocato, le disgrazie di un
Paese. Ma il ruolo di Silvio Berlusconi è tanto importante e spettacolare che
si è costretti a vedere la sua presenza alla testa dell´Italia come un ostacolo
alla ripresa di un Paese la cui immagine è oggi peggiore della sua situazione
obiettiva. (…). Gli europei devono avere coscienza dell´importanza economica e
politica dell´Italia: e sono ben disposti a riconoscerla, ma alla principale
condizione che la sua voce non sia più quella dell´attuale presidente del
Consiglio dei ministri. L´Eurozona e tutta l´Unione europea stanno affrontando
pericoli che potrebbero essere mortali. Ciascun Paese, ciascun dirigente o
portavoce deve essere cosciente della loro gravità, e delle conseguenze
catastrofiche che comporterebbe un tracollo dell´euro. Questa situazione
conferisce una particolare responsabilità a chi parla e decide in nome del
proprio Paese. (…). Se è vero che tutti i Paesi devono affrontare con coraggio
le loro responsabilità, oggi è l´Italia – in quanto una delle economie più
forti – a poter esercitare la maggiore influenza, positiva o negativa, per il
semplice fatto del carattere eccezionale della personalità di Silvio
Berlusconi. Tutti gli europei, ma soprattutto quelli che più amano e ammirano
l´Italia e vogliono assolutamente darle fiducia, chiedono ai loro fratelli e
sorelle italiani di migliorare l´immagine del loro Paese in Europa e nel mondo,
ponendo in altre mani le decisioni più vitali, non solo per l´Italia ma per
tutta l´Europa.
domenica 28 ottobre 2018
Sullaprimaoggi. 33 «Al solito, Salvini vende fumo».
Tratto da “Salvirenzi”
di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 26 di ottobre 2018: (…). …leggere loro alcune frasi e (…) domandare
se le abbia pronunciate Di Maio oppure Salvini. Eccole. 1) “Gli immigrati vanno aiutati a casa loro.
Noi non abbiamo il dovere dell’accoglienza. Sarebbe un disastro politico,
economico e sociale”. I discepoli renziani non hanno dubbi: quasi tutti
rispondono “Salvini”, “quello che gli piaceva la camicia verde e l’ampolla con
l’acqua del Po”, “quello che è contro i migranti in modo più chiaro”, uno che
dice cose che “Renzi non direbbe mai”. Infatti la frase è di Renzi. 2) “Dobbiamo andare oltre i criteri di
Maastricht creando un deficit anche del 2,9%”. Il popolo dei leopoldi
s’indigna: “assurdo!”, “pazzesco!”, “un cretino!”, “coloro che non hanno a
cuore le sorti dell’Italia”, “questo è Salvini”, “no, Di Maio”, “tutti e due”,
“quelli che vogliono mandarci in bancarotta”. Infatti anche questa è di Renzi. 3) “Alziamo i pagamenti in contanti a 3 mila
euro”. I seguaci del rottamatore rottamato schiumano di rabbia: “È pur sempre
evasione fiscale, quindi Salvini”, “certo che è Salvini, perché comunque viene
dal centrodestra di Berlusconi dov’è prevista la possibilità di evadere il più
possibile”. Sventuratamente anche questa è di Renzi. 4) “Diamo all’Europa 20 miliardi l’anno e ne
riprendiamo solo 12: o l’Europa mantiene le promesse sui migranti, o toglieremo
i soldi all’Europa”. Gli apostoli del messia di Rignano non ci pensano su un
istante: “Un cretino, le cose non stanno così!”, “un attacco strumentale
all’Europa per spostare i problemi”, “una frase tipica di Salvini”,
“trattandosi di soldi tutti e due sparano a caso”, “quei due incompetenti con
cui non abbiamo nulla da spartire”, anzi no, “questo è Di Maio, io conosco bene
gli avversari”. Purtroppo è sempre Renzi. (…). “Se l’Europa boccia la manovra,
noi la ripresenteremo uguale. Bruxelles non è il maestro che fa l’esame, non ha
i titoli per intervenire”. Chi era: Salvini? Di Maio? Macché: ancora Renzi, il
16.10.2015. Lo stesso che ora dà dei “cialtroni che ci porteranno a sbattere” a
chi dice quel che diceva lui e fa molto meno di quel che voleva fare lui (il
2,9% di deficit-Pil i cialtroni se lo scordano). Per questo l’opposizione del
Pd non esiste: perché il Pd ha già fatto e detto tutto e, per quanti sforzi
facciano, i gialloverdi non sono ancora riusciti a eguagliarlo. L’altro ieri,
per dire, il Senato esaminava la legge leghista sulla legittima difesa. Il Pd
ha votato a favore di uno degli articoli principali, il 2 (e senza che nessuno
glielo chiedesse, essendo del tutto ininfluente per l’approvazione). Poi, come
i coccodrilli, ha iniziato a piagnucolare per non aver votato contro. Il guaio
è che l’art. 2 è pressoché identico a quello della legge sulla legittima difesa
del Pd approvata nel 2017 solo alla Camera e firmata da quel genio di David
Ermini (ora vicepresidente del Csm), che dava licenza di sparare ai ladri in
caso di “grave turbamento”, ma solo nelle “ore notturne”. La Lega,
perfidamente, ha lasciato il “grave turbamento” ed eliminato le “ore notturne”,
anche per l’oggettiva difficoltà di fissarne la decorrenza col mutare delle
stagioni, dell’ora legale e dell’illuminazione delle abitazioni (se tengo giù
le tapparelle, è buio anche di giorno). E il Pd, per coerenza, ha votato come
un anno fa, salvo promettere di non farlo più la prossima volta. Tanto la norma
passerà lo stesso anche senza questi peli superflui. Noi pensiamo della legge Salvini la stessa
cosa che pensavamo della legge Ermini: una boiata pazzesca. E non perché
spalanchi le porte al Far West o al fascismo, come ripetono i presunti
avversari di Salvini, suoi preziosissimi alleati a loro insaputa. Bensì perché
non serve a nulla, se non a incoraggiare la gente ad armarsi e sparare
nell’illusione di un’immunità da indagini, processi e condanne che non potrà
mai esserci. Se in casa mia viene trovato il cadavere di un uomo ammazzato da
un’arma che risulta mia, io verrò sempre indagato per appurare se la mia difesa
fosse legittima, cioè se mi stessi difendendo da un pericolo mortale o se, puta
caso, avessi invitato il tizio a cena per poi accopparlo e spacciarlo per un
ladro o un assassino. Nessuna legge potrà mai impedire al magistrato di indagare
sulle cause di una morte violenta. Nemmeno se ora si estende la legittima
difesa a “chi ha agito per la salvaguardia della propria o altrui incolumità in
condizioni di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”
allo scopo di “respingere un’intrusione nella sua proprietà”. Chi lo
stabilisce, se non il pm e il giudice, che chi ha sparato respingeva
l’intrusione, era in pericolo e in preda al grave turbamento? Di fatto,
cambierà poco o nulla, perché già oggi le indagini si fanno su chiunque spari
(a torto o a ragione), ma poi finisce imputato e condannato solo chi spara alla
schiena al ladro già in fuga e dunque inoffensivo. E sono casi rarissimi: fra
udienze preliminari e dibattimenti, 7 processi in tutta Italia nel 2013, zero
nel 2014, 4 nel 2015 e 4 nel 2016. Quindi, al solito, Salvini vende fumo. Ma
arriva sempre secondo.
sabato 27 ottobre 2018
Riletture. 32 Non c’è un prima, non c’è un dopo. È sempre la stessa storia.
“Forza Manette” è stato il titolo
dell’urlo (in forma scritta) lanciato da Marco Travaglio su “il Fatto
Quotidiano” del 27 di ottobre dell’anno 2016. “Forza Manette” lanciato
ed auspicato allora per “lor signori” della politica. Ma lo stesso urlo lo si
era sentito squarciare il silenzio nei giorni che hanno preceduto la data elettorale
del 4 di marzo 2018. Un tintinnar di manette che si è andato affievolendo una
volta che “lor signori”, vincitori di quella tenzone elettorale, si siano
assicurato lo scranno del potere. Di quel tintinnar non s’ode eco alcuna. Ecco,
non c’è un prima, non c’è un dopo. È sempre la stessa storia. Poiché quel
tintinnar buono per adescar consensi nelle urne non è convenuto ai grandi
elettori dei novelli reggitori della cosa pubblica. L’invereconda vicenda della
cosiddetta “legge di stabilità” ce ne offre una conferma. “Manette” addio per i
malfattori di ogni tipo, come prima auspicato e minacciato, dovendo dar di
conto “lor signori” proprio a coloro che ne hanno consentito il successo. Non
c’è un prima, non c’è un dopo. È sempre la stessa storia. Trascrivo quell’urlo:
Quattro
good news, tanto per gradire. 1) Come avevamo anticipato (…), il Pd e gli
alleati alfanian-verdiniani hanno salvato il senatore Albertini dalla condanna
a risarcire 35 mila euro al pm Robledo per una calunnia, regalandogli
abusivamente un’immunità parlamentare retroattiva che non gli spetta, perché
all’epoca dei fatti non era in Parlamento, ma solo sindaco, dunque sprovvisto
del privilegio che consente ai parlamentari di dire ciò che vogliono nell’esercizio
delle proprie funzioni (non in altre). Contro la palese violazione della
Costituzione, Robledo potrà chiedere ai giudici di sollevare alla Consulta il
conflitto di attribuzioni con il Senato, per vedere riconosciuti i suoi diritti
violati da una maggioranza-canaglia. 2) Come ampiamente previsto, il senatore e
padre costituente Denis Verdini ha visto annullare dalla Corte d’appello di
Roma “per intervenuta prescrizione” la sua condanna in primo grado a 2 anni per
corruzione nell’appalto della Scuola dei Marescialli di Firenze. Che sarebbe
finita così si sapeva già dal 2010, quando il reato fu scoperto. Siccome i
fatti risalgono alla metà del 2008, il calcolo era presto fatto: la
prescrizione sarebbe scattata dopo 7 anni e mezzo, cioè nel 2016. Ecco perché
la riforma della prescrizione, annunciata in pompa magna da Renzi due anni fa e
promessa dal ministro Orlando “entro l’estate” (questa), è appena finita sul
binario morto per ordine di verdiniani (ci mancherebbe), alfaniani e mezzo Pd. 3)
Intercettato dai giudici antimafia di Reggio Calabria, un imprenditore legato
alla cosca Aquino-Coluccio annuncia giulivo: “Noi ci siamo presi il 70% dei
lavori in Expo”. Col solito sistema dei subappalti, dalla solita cooperativa
rossa (di vergogna, si spera), gli uomini della ’ndrangheta hanno realizzato –
scrivono i giudici – “buona parte dei lavori del sito espositivo Expo 2015, ivi
compresi i padiglioni dell’Italia, della Cina, dell’Ecuador, le rampe di
accesso e tutta la rete fognaria”. Come volevasi dimostrare (almeno per chi
legge il Fatto), questo nascondeva l’imperituro evento di Expo, orgoglio e
vanto della Nazione, celebrato con fiumi di retorica da Napolitano, Mattarella,
Renzi e turiferari a mezzo tv e stampa. Questo avveniva in quella Milano che Raffaele
Cantone – si spera, pentito – riabilitò a “capitale morale d’Italia” a
differenza di Roma che “non ha gli anticorpi”. Figurarsi se Milano non li
avesse avuti: la ’ndrangheta, invece del 70%, si sarebbe pappata il 100% dei
lavori. E se queste cose si fossero sapute con sei mesi d’anticipo, secondo voi
il supercommissario Giuseppe Sala oggi sarebbe il sindaco di Milano o magari un
signore infrequentabile costretto a giustificare un gigantesco disastro
finanziario e pure criminale? 4) Ieri, tra Roma e Genova, doppia retata per gli
appalti della Salerno-Reggio, del People Mover di Pisa e del Terzo Valico
Genova-Milano: 31 arrestati e vari indagati per corruzione. Spiccano i nomi di
due figli d’arte: Giandomenico Monorchio, erede dell’ex ragioniere generale
dello Stato Andrea, e Giuseppe Lunardi, rampollo dell’ex ministro berlusconiano
delle Infrastrutture e Trasporti Pietro (quello che “con la mafia bisogna
convivere”). Ma soprattutto quello di Ettore Pagani, vicepresidente di Cociv
(Consorzio Collegamenti Integrati Veloci), ma anche ingegnere di Eurolink, la
società del consorzio guidato da Impregilo per il progetto definitivo del Ponte
sullo Stretto. È trascorso un mese esatto dalla visita del premier Renzi alla
Salini-Impregilo per festeggiare i 110 anni del gruppo, annunciare che il Ponte
si farà e dare una bella mano agli avvocati dell’impresa nel contenzioso con lo
Stato (l’Avvocatura pubblica sostiene che le penali dovute ammontano a 30
milioni, Salini&Renzi parlano di “miliardi”). Renzi aggiunse, irridendo al
no della Raggi alla candidatura olimpica di Roma, che “si devono bloccare i
ladri, non le grandi opere”. Supercazzola di rara insensatezza (i ladri li
bloccano le manette dei giudici, ma dopo che hanno rubato, mai prima), che fa
il paio con quella sul “Daspo per i corrotti” (mai visto) e con i gargarismi
del “noi abbiamo commissariato il Mose, nominato Cantone all’Anac e fatto Expo
senza scandali”. Infatti la ’ndrangheta ringrazia. E meno male che
Salini-Impregilo compiva gli anni il 27 settembre: un solo mese di ritardo e
Renzi avrebbe dovuto spegnere le 110 candeline praticamente da solo, o magari
portare la torta a qualche festeggiato nell’ora d’aria. Morale della favola.
venerdì 26 ottobre 2018
Riletture. 31 «La solitudine dell'indigeno italiano».
Tratto da “La
solitudine dell'indigeno italiano” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano
la Repubblica del 26 di ottobre dell’anno 2016: "Qui non c'è niente. Niente
per noi, che ci siamo nati: figurarsi per gli altri". (…). Quella frase
dimostra che dall'egoismo del niente può nascere una vera e propria guerra per
il nulla in cui viviamo. Che ci angoscia, ma che non vogliamo dividere con
nessuno. Sono parole sincere, fotografie brutali delle mille periferie italiane
quelle pronunciate al posto di blocco di Gorino. L'ospedale più vicino è a 60
chilometri, il medico viene in paese un'ora al giorno e se ne va, gli uomini
sono fuori in barca dal mattino presto fino al tardo pomeriggio perché vivono
di pesca, quell'ostello prima requisito poi restituito funziona anche da bar, è
l'unico centro di ritrovo del paese, ha qualche camera per i pochi turisti che
in stagione vogliono fermarsi per un giro sul delta. È una vita minima,
s'immagina di sacrificio, attorno alla casa, la famiglia e la pesca. Dovrebbe
farci riflettere il fatto che l'unica volta in cui il paese si sente comunità,
agisce insieme, trova un'espressione collettiva, è davanti alla notizia che
arriveranno dodici richiedenti asilo. (…). La superficie sottile della civiltà
italiana - la solidarietà cristiana, la fraternità socialista, il buon senso
compassionevole liberale - si sta sciogliendo nei punti più deboli della nostra
geografia sociale, i piccoli centri della lunga periferia italiana, i paesi di
montagna e di campagna, le isole ghettizzate all'interno delle grandi città.
Persone in buona parte anziane, estranee al circuito del consumo
multiculturale, frastornate dalla globalizzazione, con gli immigrati si trovano
nei giardini spelacchiati sotto casa un mondo che non hanno mai visitato e mai
conosciuto, senza che le comunità siano state preparate a gestire il fenomeno,
inquadrandolo nelle sue dimensioni, nelle prospettive, nel rapporto tra i costi
e i benefici. Si sentono esposti, si scoprono vulnerabili, diventano gelosi del
poco che hanno, egoisti di tutto: o appunto di niente, perché l'egoismo sociale
funziona anche come forma identitaria di riconoscimento sociale e di
auto-rassicurazione. Va così in scena una vera e propria lotta di classe in
formato inedito, che mette di fronte la modernità esausta e logorata della
democrazia occidentale con la primordialità dei mondi disperati che prendono il
mare per cercare sopravvivenza, e nient'altro. Gli ultimi si trovano davanti i penultimi,
che non vogliono concedere agli stranieri un millimetro di spazio sulla terra
che considerano loro.
giovedì 25 ottobre 2018
Lalinguabatte. 64 «Il mito della sicurezza» e la «morale eteronoma».
Ha scritto Nicolao Merker in “Filosofie del populismo” – Editore
Laterza, Biblioteca di cultura moderna (2009) -: “Per il populista il popolo non è
un vero interlocutore, non ha vera voce in capitolo. È perciò populista anche
chi del popolo diffida e lo considera una bruta massa indistinta che ostacola
l’emergere di rari spiriti superiori”. “Dio, patria e famiglia”. Con
una variante, forse non molto diffusa, di “Dio, patria, lavoro”, quest’ultimo
meno ricercato. Mi pare siano state da sempre le triadi preposte alla
formazione civile, allo sviluppo emozionale, delle generazioni giovani del bel
paese. Escludo che altre entità possano aver contribuito, o possano essere
state ammesse, almeno nel passato anche più recente, allo sviluppo della
educazione sentimentale dei giovani senza distinzione di generi.
mercoledì 24 ottobre 2018
Sullaprimaoggi. 32 Essere onesti? E perché mai?
Tratto da “Più
manette, più soldi” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano”
del 24 di ottobre 2018: (…). …un governo non dico onesto, ma almeno
interessato a fare cassa, avrebbe dovuto fare l’opposto: inserire
l’Anticorruzione e l’Antievasione nel decreto fiscale e posticipare l’eventuale
“pace fiscale” (così ciascuno avrebbe potuto leggere e capire quel che
scrivevano i tecnici del Mef). Perché una normativa severa e dunque dissuasiva
contro l’evasione e la corruzione (3-400 miliardi l’anno) porterebbe una
montagna di soldi in più del condonino. Quanto basterebbe a finanziare tutti i
redditi di cittadinanza, le riforme della Fornero e persino un primo taglio
delle tasse (a chi le ha sempre pagate).
lunedì 22 ottobre 2018
Riletture. 30 A proposito di antiche, pasticciate leggi finanziarie.
Perché meravigliarsi più di tanto per le proditorie
manovre - o sotto-manovre - del governo in carica in vista della legge finanziaria
al tempo del cosiddetto “cambiamento”? È invece confortante
e rassicurante andare a ri-leggere le cronache sulla “materia” riportate su “il
Fatto Quotidiano” del 22 di ottobre dell’anno 2014 a firma di Stefano Feltri - “Una manovra-pasticcio: Colle e Ue non si
fidano” –, cronache che ci confermano e ci rassicurano di una incontrovertibile
verità: la politica nel bel paese è sempre la stessa, non cambia proprio, con
buona pace per tutti. Poiché quelle cronache hanno a che fare con il tempo
politico del “#cambiareverso”, ovvero al tempo della “rottamazione” degli usi
e costumi di quella che allora veniva definita spregiativamente la vecchia
politica. Leggiamo quelle cronache con l’occhio vigile rivolto all’oggi per scoprire,
solo che ce ne fosse stato il bisogno, quel persistente permanere di usi e costumi
che ci confortano nella convinzione che nulla cambia nonostante l’acqua
continui a scorrere sotto i nostri ponti (senza allusione alcuna al disgraziato
ponte di Genova). Scriveva a quel tempo Stefano Feltri: Il parto della legge di Stabilità
è ogni giorno più travagliato: a quasi sei giorni dal Consiglio dei ministri
che ha definito la manovra da 36 miliardi, il governo ha mandato ieri al
Quirinale un testo ancora grezzo, mancava un dettaglio non irrilevante come la
bollinatura della Ragioneria generale dello Stato. Cioè la certificazione che
le coperture siano a posto. Il Colle ha diramato un comunicato in cui capo
dello Stato Giorgio Napolitano ha sottolineato che la legge di Stabilità sarà
“oggetto di un attento esame”, così attento che non è bastato un colloquio di
un’ora e mezza con il premier Matteo Renzi a chiarire i dubbi. Si replica oggi
con una colazione tra i due. Oggetto del confronto: la reazione della
Commissione europea alla legge di stabilità e la riunione del Consiglio cui
parteciperà Renzi domani. “La lettera all’Italia sulla legge di Stabilità non è
stata ancora inviata, ci sta lavorando la direzione generale Affari economici”,
ha detto il temuto commissario Jyrki Katainen. L’obiettivo ormai non più
nascosto del governo Renzi è evitare la bocciatura esplicita, che la
Commissione deve decidere entro due settimane dalla presentazione dei conti
(arrivati a Bruxelles il 15 ottobre, con la nota di aggiornamento al Def). Per
le richieste di correzione minori, c’è più tempo. E da novembre sarebbe la
nuova Commissione guidata da Jean Claude Juncker a pronunciarsi, considerata
più bendisposta. Il punto sensibile è il rinvio del pareggio di bilancio dal
2016 al 2017: l’Italia sostiene che ci sono le “circostanze eccezionali” che
giustificano il mancato rispetto del cosiddetto “obiettivo di medio termine”,
ma due giorni fa il presidente uscente della Commissione José Barroso ha detto
invece che all’Italia sarà comunque richiesto un aggiustamento da 0,5 punti di
Pil (circa 7,5 miliardi) nel 2015 invece che lo 0,1 offerto da Renzi e dal suo
ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
Secondo quanto risulta al Fatto, a Bruxelles ci sarebbe una soluzione di
compromesso pronta: un aggiustamento di 0,2-0,3 punti. Ma è un’ipotesi
elaborata dagli uffici tecnici, che ha bisogno di un via libera politico ancora
mancante. La direzione generale economia e finanza, guidata proprio da un
italiano, Marco Buti, ha elaborato la mediazione. Ma la copertura politica non
c’è perché a Bruxelles vogliono capire se l’Italia sta imbrogliando o no. A Katainen
e Barroso non è sfuggito il testo dell’audizione di Giuseppe Pisauro,
presidente dell’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio.
domenica 21 ottobre 2018
Sullaprimaoggi. 31 Manovre proditorie all’interno di un governo.
Tratto da “Contratto
o tutti a casa” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del
20 di ottobre 2018: (…). 1) Lunedì 15 ottobre, dal vertice politico di maggioranza con
Conte, Di Maio e Salvini, esce un mini-condono fiscale, che infatti il ministro
Tria ha stimato in un gettito irrisorio di 180 milioni.
2) Dopo il Consiglio dei ministri che ha
licenziato l’intera manovra, senza più entrare nei dettagli specialistici che
si ritenevano risolti nel vertice politico ed erano affidati a foglietti
volanti, dagli uffici tecnici del Mef esce un maxi-condono che fa rientrare
dalla finestra le schifezze richieste dalla Lega e cacciate dalla porta dal
M5S: sanatoria sui reati di frode e riciclaggio; scudo fiscale sui capitali
all’estero; soglia di 100 mila euro moltiplicata per 25, cioè per ciascuna
delle tasse evase (che sono 5: Irpef, Irpeg, Irap, Iva e imposta sui capitali)
e delle annualità condonabili (anch’esse 5).
3) Mercoledì 17 gli uffici tecnici del
Quirinale, che han ricevuto la bozza informale dal Mef, la restituiscono al
governo con un secco no alla depenalizzazione di riciclaggio e frode. (…). …conferma
Giorgetti a Repubblica: “Sulla non punibilità credo ci fossero delle
perplessità anche del Colle”. Le successive smentite della Presidenza della
Repubblica non smentiscono nulla, se non che Mattarella abbia avuto il testo
definitivo (infatti hanno ricevuto quello provvisorio i suoi tecnici: sennò
come avrebbero fatto a scoprire e a bocciare il colpo di spugna?).
4) Salvini&C., a furia di fare la spola
tra Roma e Arcore, pensano di essere ancora al governo con B. e rivendicano
tutt’e tre le porcate, anche quelle bocciate dagli uffici del Colle. Poi, vista
la reazione “alleata”, fanno mezza marcia indietro. E intanto lanciano oscuri
messaggi sul condono edilizio per Ischia infilata nel decreto Genova,
attribuendolo ai soli 5Stelle: nel qual caso sarebbe una porcata pentastellata
(anche se il ministro M5S dell’Ambiente Sergio Costa lo contesta), ma
facilmente eliminabile in Parlamento in sede di conversione del decreto. Ora, a
parte FI e i suoi house organ, che delibano i fetori dei condoni come le
persone normali lo Chanel n. 5, chi non vuole quelle tre porcate dovrebbe
tifare per chi tenta di spazzarle via. O almeno rispettare la verità dei fatti.
E distinguere fra il peccato veniale dei 5Stelle (colpevoli al massimo di
ingenuità e imperizia, per non aver controllato ciò che scrivevano i tecnici
del Mef, pur ritenuti inaffidabili) e quello mortale della Lega (che il condono
extra-large l’ha voluto fin dall’inizio e continua a rivendicarlo, in barba al
contratto, ai no dell’alleato e pure del Colle). Invece giornaloni e giornalini
sono spalmati a edicole unificate sulla versione di Salvini, beniamino di tutto
l’Ancien Régime: le grandi lobby (da Confindustria ad Autostrade, dal partito Rai
ai padroni dei giornali terrorizzati dai tagli dei fondi e delle pubblicità
degli enti pubblici) puntano su di lui per salvare i privilegi; FI, che solo
sul Carroccio può tornare al governo e, nell’attesa, proteggere la bottega
Mediaset; e il Pd, che vede nella Lega il nemico ideale e nel M5S il
concorrente più insidioso (senza contare che Renzi nel 2014 voleva condonare le
frodi fiscali sotto il 3% dell’imponibile, comprese quelle di B., poi autorizzò
i pagamenti in contanti fino a 3 mila euro, alzò le soglie dell’evasione
depenalizzata e ora se ne va in giro con Briatore). Quindi, fra Di Maio che
tenta di cancellare le porcate e Salvini che vuole mantenerle, scelgono tutti
il secondo. Sul Corriere, Polito el Drito arriva a scrivere che il vero
problema è il “rancore” dei 5Stelle (contro gli evasori e i riciclatori?). Pazienza
se i fatti, la logica, le dichiarazioni di Conte-Di Maio-Salvini-Tria nella
conferenza stampa di lunedì sera, il no del Colle (che a parti invertite
dominerebbe le prime pagine e invece viene nascosto o ignorato) e il Contratto
di governo portano nella direzione opposta. Oggi Conte, nel Cdm straordinario,
ha una sola via d’uscita: tornare al Contratto di governo. Che non lascia
spazio a equivoci: “È opportuno instaurare una pace fiscale con i contribuenti
per rimuovere lo squilibrio economico delle obbligazioni assunte e favorire
l’estinzione del debito mediante un saldo e stralcio dell’importo dovuto, in
tutte quelle situazioni eccezionali e involontarie di dimostrata difficoltà
economica. Esclusa ogni finalità condonistica”. Queste parole escludono condoni
su qualunque importo di fondi neri (anche sotto i 100 mila euro di imposta
evasa, figurarsi al di sopra), scudi fiscali e depenalizzazioni di reati
collegati: le situazioni eccezionali e involontarie, infatti, riguardano solo
chi al fisco dichiara tutto e poi non ha i soldi per pagare a causa della
crisi. Chi fa nero e/o esporta capitali i soldi li ha. E lo fa consapevolmente,
non involontariamente. Per commettere riciclaggio o frode, occorre il “dolo”,
cioè l’intenzione, altrimenti non c’è reato e non c’è bisogno di depenalizzare
alcunché: le depenalizzazioni servono a chi accumula volontariamente fondi neri
e/o li esporta all’estero e/o li fa reinvestire, non a chi non ha soldi e non
può pagare le tasse sui redditi che ha dichiarato. Dunque, a norma di
Contratto, dal decreto fiscale vanno cancellati le depenalizzazioni (come
chiede il Colle), lo scudo e il condono sull’evasione Irpef (anche sotto i 100
mila euro). Altrimenti si straccia il Contratto di governo. E il governo non
c’è più.
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