Da “Il
dovere di trovare la fiducia perduta” di Enzo Bianchi, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del primo di gennaio dell’anno 2015: Molti leggono la crisi attuale
come crisi di fiducia in campo finanziario, economico e politico ma, più in
profondità, a livello culturale ed etico. (…). Ritengo perciò che, all’apertura
di un nuovo anno, valga la pena riflettere ancora sulla fiducia: sentimento,
atteggiamento ed esperienza che appare decisiva nell’esistenza di ogni persona
così come nella vita sociale della polis. Non possiamo vivere senza porre la
fiducia in qualcuno né senza ricevere fiducia da qualcuno, dagli altri. Ognuno
di noi è nato perché sentiva questa spinta ad avere fiducia nella vita, in chi
lo portava in grembo, in chi lo poteva accogliere. E ciascuno è venuto al mondo
proprio grazie alla fiducia originaria posta nei genitori o in chi ci ha
accompagnato nella nascita. Parimenti le nostre storie d’amore sono possibili
solo quando uno sa mettere la fiducia in un altro, in un’altra e da questi
riceverla. La fiducia è la realtà che rende possibile il vivere e il vivere in
relazione: nell’amicizia, nell’amore, nel rapporto maestro-discepolo, nella
relazione medico-paziente... Se una persona non riesce a fidarsi di nessuno, è
condannata all’isolamento, imprigionata in una situazione mortifera. È proprio
la fiducia che può creare il legame sociale e generare la comunità: a livello
politico la mancanza di fiducia genera una stanchezza nella democrazia e quindi
ne mina la credibilità, aprendo lo spazio alla barbarie. Se la fiducia oggi
difetta lo si deve in particolare a un triplice disincanto, sul piano
economico, politico e identitario. Il senso del vivere insieme è compromesso
dalla logica del mercato che privilegia l’interesse particolare e nega
l’istanza di solidarietà; la vita politica offre il triste spettacolo di uno
scollamento rispetto ai cittadini e di una autoreferenzialità elettiva che
genera diffidenza e inaffidabilità; l’identità collettiva è smarrita e
regredisce in un appiattimento su comunanze di tipo tribale. Dobbiamo allora
porci una domanda: come mai siamo precipitati in questa situazione in cui si
afferma che è meglio diffidare, diffidare sempre, diffidare di chiunque? Quali
sono i fattori che hanno minato la fiducia che si era creata sulle macerie
della seconda guerra mondiale? Quella fiducia sociale che ci aveva dato la
possibilità di una convivenza capace di assumere un progetto comune e di
condividere una speranza? Tra i fattori decisivi va annoverata l’illegalità
crescente che si è espansa come un’epidemia, dalla quale nessun potere e gruppo
sociale è restato immune. L’illegalità macroscopica, quasi sempre impunita, ha
autorizzato un’illegalità quotidiana e minuta, che sembra rispondere al “così
fan tutti”. Questa illegalità ha minato il senso di sicurezza e il bisogno di
protezione dei cittadini, immettendo in loro una sfiducia e tentandoli,
seducendoli fino a condurli a non darsi pena della collettività, a scambiare
l’etica con il “fare i moralisti”, a lasciar correre... Insieme ai fattori
ricordati di autoreferenzialità e di mancanza di senso del bene comune e del
servizio alla polis, l’illegalità ha reso inaffidabili molti soggetti politici
e le stesse istituzioni di rappresentanza democratica. I cittadini si sentono
sempre più lontani dalla politica e finiscono per non partecipare più
all’edificazione della polis che sembra invece sequestrata dai partiti, da
forze o gruppi di potere sovente nascosti e dunque viene valutata come non
possibile, ormai preda dei corrotti. Qualcuno sostiene che viviamo già
nell’epoca della post-democrazia e, a causa di questa debolezza della politica,
si affermano il populismo, il sorgere del “salvatore” di turno, la
smobilitazione dei corpi sociali, il conformismo e la degradazione dell’etica incapace
di competere con illusioni che catturano le masse. La consapevolezza di essere
cittadini di una polis comune ha ceduto il passo alla rassegnazione di essere
consumatori in un mercato dopato, in cui la libera concorrenza è divenuta corsa
alla sopraffazione, al dominio del più forte o del più furbo. E in questo
precipitare della qualità della convivenza politica, vanno in frantumi e sono
calpestate la solidarietà, l’attenzione ai deboli e alle vittime della storia. Così
i cittadini-consumatori continuano a credere ad annunci e promesse dei soggetti
politici, nonostante non se ne vedano le condizioni e tanto meno i segnali di
attuazione. Paure e illusioni sono fabbricate un giorno, esasperate quello
successivo e dimenticate o mutate il giorno dopo ancora. Le persone sono sempre
meno capaci di critica, il dibattito ragionato viene considerato una perdita di
tempo e sostituito da urla tra sordi, l’incalzare di sondaggi di ogni tipo e
qualità ha rimpiazzato il faticoso delinearsi di una “opinione pubblica”: così
si passa d’inganno in inganno, perdendo sempre più il contatto con la realtà.
Fino a quando? Sì perché, come ci insegna la storia, a un certo momento
sopraggiunge un punto di rottura in cui all’incapacità di indignarsi e di
impegnarsi segue la reazione irrazionale di chi si nutre di violenza. Allora,
che fare? Si tratta ora più che mai di rischiare la fiducia a partire dalle
nostre relazioni personali, di ribadire la necessità della fiducia come
fondamento della vita sociale. “Camminando si apre cammino”, così avendo
fiducia si fa crescere la fiducia. (…). …l’assuefazione alla sfiducia nelle
istituzioni, negli altri, nel futuro non fa che asfaltare la strada barbarie e
alla violenza. Sta a noi aprire un percorso diverso, resistendo, mettendo
fiducia in noi stessi, esercitandoci con convinzione ad avere fiducia negli
altri e a non tradire la loro, a partire da chi ci sta accanto. Il primo passo
per amare gli altri come se stessi consiste proprio nell’avere fiducia negli
altri almeno come in se stessi. La fiducia va cercata alla sorgente: nelle
modalità dei nostri rapporti con noi stessi, con gli altri, con il futuro, con
la storia, con il fatto stesso di vivere. Sì, la fiducia nella vita è ancora
possibile, è un dovere e una promessa di cui siamo debitori verso gli altri e
verso noi stessi.
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