28 di ottobre dell’anno 1922: una sventurata e
tragicissima (per l’Italia, poi) “grande sfacchinata” a Roma. Il cavaliere
d’Italia Mussolini Benito al re (pag. 127): “Maestà vi porto l’Italia di
Vittorio Veneto” ed era tutto finito prima ancora che il primo fascista
entrasse in Roma. Stavano tutti fuori, ancora. Avevano vinto. Ma prima di
rimandare tutti a casa era pure giusto che li si facesse almeno arrivare a
Roma, a fare una sfilata e potersi credere che era merito loro e l’avevano
conquistata con le armi, non con le manovre di corridoio; se no che erano
venuti a fare? E quando il 31 ottobre sono entrati a fare la sfilata e la
colonna che veniva dagli Abruzzi agli ordini di Bottai, nel passare per le strade
di San Lorenzo s’è messa a sparare per aria, allora gli operai e i ferrovieri
di san Lorenzo gli hanno risparato addosso dalle finestre e ci sono stati morti
e feriti. Ma solo là. Per tutto il resto niente. È stata solo una grande
sfacchinata. Il cavaliere d’Italia Mussolini Benito al re (pag. 129): “Maestà,
vi porto l’Italia di Vittorio Veneto” e la marcia su Roma era bella e finita. Mio
zio Adelchi ha tirato una palla di schioppo a una folaga che si trovava a
passare mentre erano attendati a Settebagni vicino Roma – in mezzo alla
campagna – il pomeriggio del 29 che era appena spiovuto. E se la sono fatta
allo spiedo insieme a un paio di polli che mio zio Turati aveva rimediato non
si sa dove. Non si è mai capito se li avesse comprati o rubati in un pollaio lì
vicino. Però i soldi dai fratelli se li è fatti dare: “Io li ho pagati”. (…). Il
giorno appresso hanno sfilato in quarantamila, preso il potere armati di soli
schioppi – “Varda (guarda n.d.r.) là, xè il Colosseo; varda là San Piero” – e
poi ripreso il treno e via per l’Altitalia. Brani tratti da “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi
(2010, edizioni Mondadori).
Da ”I
cristiani devono condannare il fascismo anche dal pulpito” di Maurizio
Viroli - professore emerito di Teoria politica all’Università di Princeton e
all’Università della Svizzera Italiana a Lugano -, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 4 di settembre 2017: (…). è certo, (…) che un fascista non può
essere cristiano, se essere cristiano vuol dire vivere l’ insegnamento di
Cristo. Il cristianesimo afferma che esiste un solo Dio, ama la libertà
politica e morale, predica la carità, la pace, la fratellanza degli esseri
umani, l’ uguale dignità di tutti; il fascismo eleva lo stato totalitario a
divinità da adorare, detesta la libertà politica e morale e la vuole piegata
all’ esigenza superiore della disciplina imposta con la forza, disprezza la
carità (leggete cosa scriveva Giovanni Gentile), ama la guerra come esperienza
mistica nella quale eccelle la forza degli individui e dei popoli, disprezza i
deboli, farnetica di razze superiori (destinate a comandare) e razze inferiori
(destinate a obbedire). Se il fascismo è anticristiano, segue che dovere dei
cristiani è combattere il fascismo con tutte le loro forze come fecero le
migliore coscienze cristiane negli anni del regime. (…). Cristo ha cacciato i
mercanti dal tempio a frustate. Mi pare fuor di dubbio che i mercanti siano
meno detestabili dei fascisti. (…). Imparate, amici cristiani, dalla storia. Il
23 agosto del 1923 i fascisti assassinarono don Giovanni Minzoni, parroco di
Argenta. Il suo Cristo stava dalla parte degli uomini che chiedevano giustizia.
Nessuno, tanto meno i fascisti, poteva dargli lezioni di patriottismo. Servì
nella Prima Guerra Mondiale come cappellano militare, e nonostante la terribile
prova continuò a intendere la parola di Cristo come un insegnamento di libertà
e di democrazia. A guerra finita, intervenne alle onoranze ai caduti con la sua
medaglia d’argento al valore sul petto, non per alimentare lo spirito di
vendetta, ma per rendere santo il loro sacrificio. Proprio perché era vero
cristiano e vero patriota, Don Minzoni era antifascista. Era la sua coscienza
cristiana ad imporgli di stare dalla parte della libertà, senza incertezze. Per
queste sue idee i fascisti lo massacrarono. Papa Pio XI , se avesse avuto un
briciolo di coscienza cristiana, avrebbe dovuto presenziare al funerale di don
Minzoni e lanciare la scomunica sugli assassini e sui mandanti. Invece, non si
fece vivo neppure l’arcivescovo di Ravenna, monsignor Antonio Lega. Mandò a
rappresentarlo un suo segretario. So bene che non siamo nel 1922, e che non
esiste un pericolo imminente di eversione fascista. So anche che il nuovo
fascismo potrebbe rapidamente rafforzarsi sfruttando la diffusa sfiducia nel
parlamento e nella classe politica, l’odio verso i migranti, il razzismo, il
desiderio di avere un capo che comandi senza limiti, la frustrazione di tanti
giovani per la propria condizione sociale, la convinzione che i grandi valori
politici siano ormai una zavorra del passato, la quasi totale perdita di
memoria storica. In Italia non si può scherzare con i fascisti e considerarli
dei poveri imbecilli. Dall’intimidazione alla violenza il passo è breve.
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