Da “Tira una
brutta aria sulla nostra democrazia” di Ilvo Diamanti, pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 22 di luglio dell’anno 2013: (…). …la "normalità
deviata" che ha contaminato le nostre istituzioni e la nostra classe
politica tende a degenerare. Diventa "normalità" etica e civile.
Stato d'animo generale e generalizzato. Opinione Pubblica, sancita dai sondaggi
che ancora vengono condotti, nel torrido clima estivo. (D'altronde, quest'anno
la crisi ha ridotto notevolmente la quota di popolazione che va in ferie.) (…).
Perché, nonostante tutto: meglio la stabilità. Considerata un "valore in
sé". Che va oltre i comportamenti "deviati" dei leader politici
e istituzionali. D'altronde, vent'anni di berlusconismo hanno mitridatizzato
l'etica pubblica dei cittadini. Ormai poco sensibili - e quasi indifferenti - a
scandali e processi. Compresi quelli ancora pendenti e imminenti. È questo il
rischio maggiore che vedo, nell'Italia dei nostri tempi. L'assuefazione
all'anormalità politica e istituzionale. Che ha come principale - e quasi unica
- soluzione la sfiducia politica e istituzionale. Quel clima d'opinione che si
traduce nel "non voto". Oppure viene intercettato, in alcuni momenti,
da attori politici, oppure anti-politici, come il M5S. Usati, a loro volta,
dagli elettori come veicoli della sfiducia, piuttosto che come garanti delle
regole. L'assuefazione all'anormalità politica e istituzionale, d'altronde,
alimenta il disincanto se non l'indifferenza verso la democrazia. In
particolare, rafforza l'abitudine a fare a meno dei vincoli e delle garanzie
che contrassegnano le democrazie rappresentative. A partire dai princìpi. Per
primo, il rapporto diretto tra volontà degli elettori, espressa attraverso il
voto, e composizione del governo. Tuttavia, da due anni, il Paese è governato
da esecutivi sostenuti da maggioranze "non politiche". Cioè, da
larghe intese imposte - e, comunque, giustificate - dall'emergenza. Dove convergono e coabitano
gli antagonisti di sempre. Dove si perdono le distinzioni antiche e recenti.
Non solo fra pro e anti-berlusconiani, ma fra destra e sinistra. D'altronde, se
da due anni il Pd sta in una maggioranza insieme al centrodestra di Berlusconi,
è difficile discutere di destra e sinistra. Non solo nei termini sintetizzati
da Norberto Bobbio in un notissimo saggio del 1994. Anno della discesa in campo
di Berlusconi. (…). Il problema è che l'assenza di competizione e di
alternativa politica narcotizza il sentimento democratico. Ci abitua a governi
"tautologici": in nome della governabilità. Governi di tutti e dunque
di nessuno. Indifferenti ai verdetti elettorali. Alle alternative - a cui gli
italiani sono poco avvezzi. Visto che nella prima Repubblica, quindi per oltre
45 anni, non c'è stata alternanza. Stesse forze al governo - Dc e alleati
- e all'opposizione - Pci e sinistra. Così,
poco a poco, ci si assuefà. A una democrazia-per-così-dire. Non si tratta
neppure più della post-democrazia, ridotta al rito elettorale, cui fa
riferimento Colin Crouch. Perché, nella post-Italia, descritta da Berselli
giusto 10 anni fa, anche il rito elettorale è divenuto indifferente e
irrilevante. La polemica politica e fra politici esiste solo nei talk
televisivi. La partecipazione dei cittadini diventa poco influente e rilevante.
Emerge ed è visibile solo attraverso alcune esplosioni di protesta
"localizzate", su problemi territorialmente definiti (come quella dei
No Tav, in Val di Susa). È una democrazia "eccezionale", dove
l'eccezione è la regola. Dove, per l'Opinione Pubblica, l'anormalità diventa
normale. Dove i casi di questi giorni, di queste settimane, di questi anni non
suscitano scandalo e tanto meno indignazione. Abbassano appena gli indici del
consenso al governo e al premier. Senza comprometterli. Si traducono, al
massimo, in un'onda anomala del voto o del "non voto". Mentre gli
"anticorpi della democrazia", come li ha definiti Giovanni Sartori,
finiscono liquefatti nel "senso comune". Assai più diffuso e
influente, in Italia, del "senso civico". Per questo conviene
preoccuparsi. Io, almeno, mi preoccupo. Sulla nostra democrazia
rappresentativa: tira una brutta aria.
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