Ha scritto Alice Oxam in “Diario di un’americana a Roma” – pagg. 327; Editori Riuniti; Prima
edizione il 23 di aprile dell’anno 2007; € 8,00 -: “29 settembre 2001. Di che cosa
parlare se non di Berlusconi? Che opposizione stiamo facendo? Certo non bisogna
chiederlo ai due senatori Ds. Sono troppo occupati. Stanno lavorando sulla loro
mozione al congresso. Altri stanno elaborando il lutto. Io non vedo
l’opposizione al governo Berlusconi. C’è una società civile che aspetta qualche
risposta da sinistra. Non un silenzio totale. Ma non si rendono conto che la
solitudine porta un rigetto totale della politica?”. Quando la storia
banalmente si ripete. Diamo per largamente acquisito, se non per scontato, ché
sarebbe troppo l’ardire, che la politica sia l’arte suprema degli animali umanizzati.
Solo essi ne posseggono le chiavi. Non è dato ad alcun altro gruppo di animali non
umani di fare politica. L’arte della politica ha consentito agli animali umani
un poderoso salto di qualità: abbandonare clave e randelli ed affidarsi ad essa
per risolvere i contenziosi aperti nei gruppi degli animali umani. L’arte della
politica: ché se non la si fosse inventata, staremmo ancora a randellarci
vicendevolmente per ogni banalità del vivere quotidiano. Se non avessimo avuto
bisogno e necessità dell’arte della politica, sarebbe stato forse più comodo
affidare la conduzione della cosa pubblica ai faccendieri, ai sensali, ai
saltimbanchi, ai piazzisti, che nell’arte di far intravvedere il bianco nel
nero ed il nero nel bianco sono tuttora insuperabili. Ed invece no: è stata
necessaria ben altra cosa affinché gli animali umani, zoologicamente parlando,
divenissero appena più consapevoli della loro condizione privilegiata. Poiché
l’arte della politica non è solo condurre sapientemente la cosa pubblica,
realizzare il realizzabile, manufatti e leggi e quant’altro; è qualcosa di più
nobile, di più alto, che non si concilia con l’animalità come stadio ultimo
dell’esistenza. Solo essa consente il superamento della ferinità latente nel
gruppo degli animali umani, quando essa però si dispone ad essere anche maestra
di vita. Di vita dignitosamente vissuta. Di vita esemplarmente vissuta. Ecco,
all’arte della politica non può essere sottratta la prerogativa, cancellato l’imprescindibile
compito, di mostrare la giustezza e la compiutezza del vivere. Oggigiorno corre
voce, amplificata su tanti grandi media, come una indiscutibile voce del
padrone, che quest’aspetto sia superfluo, insignificante per la maggioranza
degli animali umani divenuti, grazie all’arte della politica, elettori. Sarà
vero? Il silenzio oggigiorno assordante e preoccupante delle piazze e delle
folle sembra avvalorare un tale assurdo assunto. È stata l’arte della politica,
con le sue idee e le sue filosofie, le sue lotte, le sue vittorie e le sue
sconfitte, a riscattare la condizione nuova e privilegiata di elettori,
condizione privilegiata che oggigiorno viene quasi disconosciuta e barattata,
preferendo inconsapevolmente una condizione nuova più comoda o accomodante di
spettatori inerti ed imbolsiti, chiamati all’occorrenza solamente ad esprimere
un plauso ed un assenso - o un dissenso minoritario –, ed operando così una
cesura mortale, per la vita di una democrazia compiuta, tra l’insopprimibile
aspetto etico, che l’arte della politica deve necessariamente conservare, per
giustificare il suo primato tra le arti degli animali umani, e l’operare che
anche un faccendiere, o un leguleio, purché onesti, saprebbero portare dignitosamente a termine.
Ove si parla, ma non poi tanto, nel bel paese e dintorni, dell’etica nelle
democrazie. Ne scriveva saggiamente, dell’etica della e nella democrazia, il
politologo Carlo Galli in un Suo editoriale pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” il 22 di giugno dell’anno 2009 con il titolo “L'etica della democrazia”:
(…). La
liberaldemocrazia europea ha risolto la millenaria questione del rapporto fra
morale e politica privatizzando la morale e giuridificando la politica? Per
nulla. Infatti, come è assurdo immaginare una democrazia viva e vitale in una
società di persone rispettose della legge ma tutte e sempre moralmente abiette,
così è impensabile che un grande governante sia anche radicalmente e
sistematicamente immorale nella vita privata. In realtà è evidente che la
liberaldemocrazia per essere vitale deve negare tanto la piena sovrapposizione
fra politica e morale quanto la loro totale separatezza, tanto il moralismo
quanto il cinismo, e deve esigere che fra politica e morale si istituisca una
qualche relazione. Questa - non formalizzabile in norme di legge eppure, per
una sorta di istinto, chiara alle pubbliche opinioni informate - consiste in
una sorta di analogia, ovvero in una vicinanza o almeno in una non radicale
contrapposizione, fra il modo in cui un uomo di potere tratta coloro che gli
sono vicini (la sua morale) e il modo in cui governa i cittadini, e risponde a
loro (la sua politica). La legittimazione dei leader, insomma, non sta solo
nell´aver vinto le elezioni, ma nel saper rispettare in ogni circostanza e in
ogni momento il fine ultimo - politico e insieme morale - della democrazia,
l´ethos democratico: la libertà degli individui, la dignità dei cittadini,
l´umanità delle persone. Decadenza c´è quando di questa analogia - civile, e
non fanatica - né i politici né i cittadini sentono la necessità. Orbene,
a quale punto basso, anzi bassissimo si sia schiantata la cosiddetta democrazia
nel bel paese – senza etica e responsabilità - ce ne fornisce un affresco in
una cronaca fresca, anzi freschissima, alla vigilia delle elezioni regionali
siciliane, Diego Bianchi – in arte Zoro – nella Sua rubrica settimanale del 29
di settembre sul settimanale “il Venerdì” che ha per titolo “La politica è opportunismo parola
(pubblica) di ministro”: “Nel 2015 abbiamo detto di sì alla legge
sullo ius soli. In questo momento, a pochi mesi dalle elezioni politiche,
affrontare e approvare una legge di questo genere è inopportuno perché siamo
troppo a ridosso delle urne. Una cosa giusta fatta al momento sbagliato
potrebbe diventare sbagliata. Rischia di fare un regalo enorme alla Lega e agli
estremisti. Fra 6 mesi c’è il nuovo parlamento, in 6 mesi non cambia il mondo.
Se la sbrigano il nuovo governo e il nuovo parlamento”. Parole e musica di Angelino
Alfano, ministro degli Esteri, dal palco della festa nazionale dell’Unità di
Imola con Giusi Nicolini (l’accogliente ex sindaco di Lampedusa n.d.r.).
(…). Succede così che un ministro formalmente tra i più autorevoli del governo
in carica dica in pubblico quel che un politico, a prescindere dalla carica del
momento, dovrebbe aver pudore di dire anche al tavolo di un bar per timore di
essere sentito. Quella che potrebbe sembrare una pratica arguta sancisce di
fatto la fine della politica intesa come capacità di guadagnare consenso su ciò
che si ritiene giusto, appunto. Non si tratta di spregiudicatezza, ma di
ignavia. Esaltare pubblicamente l’opportunismo, la furbizia, la convenienza e
il delegare a chi verrà problemi troppo grossi a all’apparenza impopolari per
essere risolti, è soprattutto diseducativo. Diseducativo, ma molto italiano.
Sono i nostri valori da sempre, in fondo, o perlomeno alcuni dei quali andiamo
più fieri. Nessuno, notoriamente, se la cava come noi. Chi vuol diventare
italiano, o almeno essere percepito come tale e integrarsi davvero, ne
facessero tesoro. E come per rincalzo Curzio Maltese, a sottolineare
l’inadeguatezza della politica de’ noantri e quel dato antropologico che ne
connota l’amara esistenza e sopravvivenza, ha scritto, sullo stesso numero de’
“il Venerdì” – con titolo “Un’altra
riforma della scuola? San Tommaso protegga gli studenti” –, che: Soltanto
un Paese da sempre amante di finte rivoluzioni poteva esprimere un fenomeno
come i 5 Stelle, il più vasto e il più innocuo fra i cosiddetti movimenti
antisistema comparsi sulla scena delle democrazie in crisi. È chiaro che i veri
poteri nazionali ed europei non hanno nulla da temere da questa invenzione
spettacolare di un comico oramai settantenne e un po’ stanco dello scherzo,
pronto adesso a passare il bastone del comando a un azzimato trentenne nominato
leader per meriti televisivi (…) e visibilmente entusiasta di essere ammesso
nei club che contano, da Cernobbio in giù o in su. Alle prime prove dei fatti,
l’intransigente programma ambientalista si è mostrato assai trattabile, il
“cemento zero” nelle città ha previsto per esempio le opportune deroghe per
l’abuso di necessità, lo stadio, l’inceneritore e i centri commerciali di
necessità. Del resto ognuno in Italia ha diritto alla sua finta rivoluzione.
Abbiamo avuto il federalismo immaginario della Lega, oggi ultranazionalista,
quindi la mai pervenuta rivoluzione liberale di Berlusconi. Da ultimo la
stratosferica riscrittura globale della Costituzione da parte di Renzi, che da
vero pseudorivoluzionario ha giurato vittoria o morte e poi ci ha ripensato e
ha preferito una lunga digestione. Alla fine muoiono tutti democristiani. È
giusto che anche gli italiani esclusi da
questi rutilanti giochi, perché distanti, schifati o “né di destra né di
sinistra” si svaghino un poco con un altro carnevale ribelle dove mandano alla
ghigliottina sagome di cartapesta. Alla gente senza fantasia, la maggioranza,
piace l’immaginazione al potere. Peccato che a volte non rimanga tale. (…).
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