"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 16 ottobre 2017

Cronachebarbare. 46 “La democrazia della spregiudicatezza e della ignavia”.



Ha scritto Alice Oxam in “Diario di un’americana a Roma” – pagg. 327; Editori Riuniti; Prima edizione il 23 di aprile dell’anno 2007; € 8,00 -: “29 settembre 2001. Di che cosa parlare se non di Berlusconi? Che opposizione stiamo facendo? Certo non bisogna chiederlo ai due senatori Ds. Sono troppo occupati. Stanno lavorando sulla loro mozione al congresso. Altri stanno elaborando il lutto. Io non vedo l’opposizione al governo Berlusconi. C’è una società civile che aspetta qualche risposta da sinistra. Non un silenzio totale. Ma non si rendono conto che la solitudine porta un rigetto totale della politica?”. Quando la storia banalmente si ripete. Diamo per largamente acquisito, se non per scontato, ché sarebbe troppo l’ardire, che la politica sia l’arte suprema degli animali umanizzati. Solo essi ne posseggono le chiavi. Non è dato ad alcun altro gruppo di animali non umani di fare politica. L’arte della politica ha consentito agli animali umani un poderoso salto di qualità: abbandonare clave e randelli ed affidarsi ad essa per risolvere i contenziosi aperti nei gruppi degli animali umani. L’arte della politica: ché se non la si fosse inventata, staremmo ancora a randellarci vicendevolmente per ogni banalità del vivere quotidiano. Se non avessimo avuto bisogno e necessità dell’arte della politica, sarebbe stato forse più comodo affidare la conduzione della cosa pubblica ai faccendieri, ai sensali, ai saltimbanchi, ai piazzisti, che nell’arte di far intravvedere il bianco nel nero ed il nero nel bianco sono tuttora insuperabili. Ed invece no: è stata necessaria ben altra cosa affinché gli animali umani, zoologicamente parlando, divenissero appena più consapevoli della loro condizione privilegiata. Poiché l’arte della politica non è solo condurre sapientemente la cosa pubblica, realizzare il realizzabile, manufatti e leggi e quant’altro; è qualcosa di più nobile, di più alto, che non si concilia con l’animalità come stadio ultimo dell’esistenza. Solo essa consente il superamento della ferinità latente nel gruppo degli animali umani, quando essa però si dispone ad essere anche maestra di vita. Di vita dignitosamente vissuta. Di vita esemplarmente vissuta. Ecco, all’arte della politica non può essere sottratta la prerogativa, cancellato l’imprescindibile compito, di mostrare la giustezza e la compiutezza del vivere. Oggigiorno corre voce, amplificata su tanti grandi media, come una indiscutibile voce del padrone, che quest’aspetto sia superfluo, insignificante per la maggioranza degli animali umani divenuti, grazie all’arte della politica, elettori. Sarà vero? Il silenzio oggigiorno assordante e preoccupante delle piazze e delle folle sembra avvalorare un tale assurdo assunto. È stata l’arte della politica, con le sue idee e le sue filosofie, le sue lotte, le sue vittorie e le sue sconfitte, a riscattare la condizione nuova e privilegiata di elettori, condizione privilegiata che oggigiorno viene quasi disconosciuta e barattata, preferendo inconsapevolmente una condizione nuova più comoda o accomodante di spettatori inerti ed imbolsiti, chiamati all’occorrenza solamente ad esprimere un plauso ed un assenso - o un dissenso minoritario –, ed operando così una cesura mortale, per la vita di una democrazia compiuta, tra l’insopprimibile aspetto etico, che l’arte della politica deve necessariamente conservare, per giustificare il suo primato tra le arti degli animali umani, e l’operare che anche un faccendiere, o un leguleio, purché onesti,  saprebbero portare dignitosamente a termine. Ove si parla, ma non poi tanto, nel bel paese e dintorni, dell’etica nelle democrazie. Ne scriveva saggiamente, dell’etica della e nella democrazia, il politologo Carlo Galli in un Suo editoriale pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” il 22 di giugno dell’anno 2009 con il titolo “L'etica della democrazia”:
(…). La liberaldemocrazia europea ha risolto la millenaria questione del rapporto fra morale e politica privatizzando la morale e giuridificando la politica? Per nulla. Infatti, come è assurdo immaginare una democrazia viva e vitale in una società di persone rispettose della legge ma tutte e sempre moralmente abiette, così è impensabile che un grande governante sia anche radicalmente e sistematicamente immorale nella vita privata. In realtà è evidente che la liberaldemocrazia per essere vitale deve negare tanto la piena sovrapposizione fra politica e morale quanto la loro totale separatezza, tanto il moralismo quanto il cinismo, e deve esigere che fra politica e morale si istituisca una qualche relazione. Questa - non formalizzabile in norme di legge eppure, per una sorta di istinto, chiara alle pubbliche opinioni informate - consiste in una sorta di analogia, ovvero in una vicinanza o almeno in una non radicale contrapposizione, fra il modo in cui un uomo di potere tratta coloro che gli sono vicini (la sua morale) e il modo in cui governa i cittadini, e risponde a loro (la sua politica). La legittimazione dei leader, insomma, non sta solo nell´aver vinto le elezioni, ma nel saper rispettare in ogni circostanza e in ogni momento il fine ultimo - politico e insieme morale - della democrazia, l´ethos democratico: la libertà degli individui, la dignità dei cittadini, l´umanità delle persone. Decadenza c´è quando di questa analogia - civile, e non fanatica - né i politici né i cittadini sentono la necessità. Orbene, a quale punto basso, anzi bassissimo si sia schiantata la cosiddetta democrazia nel bel paese – senza etica e responsabilità - ce ne fornisce un affresco in una cronaca fresca, anzi freschissima, alla vigilia delle elezioni regionali siciliane, Diego Bianchi – in arte Zoro – nella Sua rubrica settimanale del 29 di settembre sul settimanale “il Venerdì” che ha per titolo “La politica è opportunismo parola (pubblica) di ministro”: “Nel 2015 abbiamo detto di sì alla legge sullo ius soli. In questo momento, a pochi mesi dalle elezioni politiche, affrontare e approvare una legge di questo genere è inopportuno perché siamo troppo a ridosso delle urne. Una cosa giusta fatta al momento sbagliato potrebbe diventare sbagliata. Rischia di fare un regalo enorme alla Lega e agli estremisti. Fra 6 mesi c’è il nuovo parlamento, in 6 mesi non cambia il mondo. Se la sbrigano il nuovo governo e il nuovo parlamento”. Parole e musica di Angelino Alfano, ministro degli Esteri, dal palco della festa nazionale dell’Unità di Imola con Giusi Nicolini (l’accogliente ex sindaco di Lampedusa n.d.r.). (…). Succede così che un ministro formalmente tra i più autorevoli del governo in carica dica in pubblico quel che un politico, a prescindere dalla carica del momento, dovrebbe aver pudore di dire anche al tavolo di un bar per timore di essere sentito. Quella che potrebbe sembrare una pratica arguta sancisce di fatto la fine della politica intesa come capacità di guadagnare consenso su ciò che si ritiene giusto, appunto. Non si tratta di spregiudicatezza, ma di ignavia. Esaltare pubblicamente l’opportunismo, la furbizia, la convenienza e il delegare a chi verrà problemi troppo grossi a all’apparenza impopolari per essere risolti, è soprattutto diseducativo. Diseducativo, ma molto italiano. Sono i nostri valori da sempre, in fondo, o perlomeno alcuni dei quali andiamo più fieri. Nessuno, notoriamente, se la cava come noi. Chi vuol diventare italiano, o almeno essere percepito come tale e integrarsi davvero, ne facessero tesoro. E come per rincalzo Curzio Maltese, a sottolineare l’inadeguatezza della politica de’ noantri e quel dato antropologico che ne connota l’amara esistenza e sopravvivenza, ha scritto, sullo stesso numero de’ “il Venerdì” – con titolo “Un’altra riforma della scuola? San Tommaso protegga gli studenti” –, che: Soltanto un Paese da sempre amante di finte rivoluzioni poteva esprimere un fenomeno come i 5 Stelle, il più vasto e il più innocuo fra i cosiddetti movimenti antisistema comparsi sulla scena delle democrazie in crisi. È chiaro che i veri poteri nazionali ed europei non hanno nulla da temere da questa invenzione spettacolare di un comico oramai settantenne e un po’ stanco dello scherzo, pronto adesso a passare il bastone del comando a un azzimato trentenne nominato leader per meriti televisivi (…) e visibilmente entusiasta di essere ammesso nei club che contano, da Cernobbio in giù o in su. Alle prime prove dei fatti, l’intransigente programma ambientalista si è mostrato assai trattabile, il “cemento zero” nelle città ha previsto per esempio le opportune deroghe per l’abuso di necessità, lo stadio, l’inceneritore e i centri commerciali di necessità. Del resto ognuno in Italia ha diritto alla sua finta rivoluzione. Abbiamo avuto il federalismo immaginario della Lega, oggi ultranazionalista, quindi la mai pervenuta rivoluzione liberale di Berlusconi. Da ultimo la stratosferica riscrittura globale della Costituzione da parte di Renzi, che da vero pseudorivoluzionario ha giurato vittoria o morte e poi ci ha ripensato e ha preferito una lunga digestione. Alla fine muoiono tutti democristiani. È giusto che anche  gli italiani esclusi da questi rutilanti giochi, perché distanti, schifati o “né di destra né di sinistra” si svaghino un poco con un altro carnevale ribelle dove mandano alla ghigliottina sagome di cartapesta. Alla gente senza fantasia, la maggioranza, piace l’immaginazione al potere. Peccato che a volte non rimanga tale. (…).

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