La “sfogliatura” di oggi è
del 2 di marzo dell’anno 2010. Sette anni per il ritorno di un “leader vecchio”
– non anagraficamente parlando, che non ce ne importa in fico secco - del quale
sembrava ce ne fossimo liberati, come in un tragicomico sogno. O incubo.
Scrivevo quel 2 di marzo: Sono andato a
vedere “Invictus”. Mi ha salvato
l’oscurità accogliente della sala cinematografica. Poiché la visione di questo
ultimo lavoro di Clint Eastwood toglie letteralmente il fiato. E sì che ci si è
abituati al Suo nuovo ruolo di grande regista. Straordinario Clint in questo
Suo “Invictus”, così come lo era stato nel Suo “Million dollar baby”, o ancora nel Suo “Gran Torino”. Una visione mozza-fiato dicevo, dai ritmi
incalzanti, che in più di una occasione spinge l’emozione a livelli tali da
farti sentire i lucciconi raccogliersi per scendere copiosi, se non si avesse
l’accortezza di tirare su col naso. Poiché in “Invictus” si parla di un grande “leader
vecchio” dei tempi nostri. Ma di un “leader vecchio” che ha dato dignità e
speranza ad un intero popolo. Senza distinzione alcuna. Ad un intero
continente. Quel “leader vecchio”, la cui vita politica il grande Clint ha
trasposto per noi sullo schermo, è Nelson Mandela. Perché ne scrivo? Solo per
esprimere l’amarezza al pensare il contesto politico, il clima sociale che
domina sovrano, incontrastato, irruento, in preda alla perenne isteria, con la
pratica costante della caccia ad improbabili nemici, al clima insopportabile
che domina nelle contrade del bel paese. Fortunato quel popolo che abbia avuto
un leader di quella statura! Miserevole la vita politica e sociale del bel
paese al ritrovarsi “un leader vecchio” come il signor B. Seppur avanti negli
anni quando è andato al potere Nelson Mandela, giovine è stato il Suo animo e
la Sua straordinaria intelligenza politica, da riuscire a comporre sapientemente
e sagacemente un inestricabile, avvelenato groviglio di pre-giudizi, di
interessi contrapposti e di ataviche incomprensioni e contrapposizioni
razziali. Fortunato quel popolo! La gerontocrazia del bel paese ci ha fornito
ben altro personale politico. Che i miei lucciconi, a stento trattenuti, non
siano a causa di un malessere, oramai diffuso, che attanaglia la vita sociale e
politica del bel paese? È triste giungere ad invidiare un paese lontano, per aver
esso avuto la fortuna di avere un leader vecchio che ha tutti uniti in una Sua
profetica visione del futuro del Suo paese! Senza nemici da abbattere! E dopo
aver trascorso ben 27 anni nelle patrie galere! Straordinario Morgan Freeman
nella parte del leader sudafricano. Morgan Freeman ha toccato, in questa
occasione, vertici altissimi nella recitazione, così come aveva fatto in quella
deliziosa commedia – accanto alla straordinaria Jessica Tandy - che è stata “A spasso con Daisy”. Gli chiede un
intervistatore su di un supplemento del quotidiano “la Repubblica”: - Qual
è la differenza tra un adulto e un bambino? - Che l'adulto è pieno di
pregiudizi, il bambino ancora no.
- Se la sua vita fosse un film lo dirigerebbe
lei? - Se no, chi? Solo il mio amico Clint potrebbe rendere la mia vita
interessante al cinema. (…)
- Un suo sogno? - Un presidente bianco
del Sudafrica, che riesca a convincere il suo elettorato nero che è l'uomo
giusto per arrivare a una vera eguaglianza nel paese.
- Nelson Mandela per lei è...? - Una
figura leggendaria che mi ha voluto come amico e suo interprete. Il più saggio
- e astuto - leader del movimento per i diritti umani. (…). Di un leader vecchio, ma non anagraficamente
soltanto, ne ha scritto Aldo Schiavone - professore ordinario di Diritto romano
presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Firenze e dall’anno 2005
professore ordinario di Diritto romano presso l'Istituto Italiano di Scienze
Umane - sul quotidiano “la Repubblica”. Del Suo interessante pezzo, “Un leader vecchio” per l’appunto, di
seguito ne trascrivo le parti più salienti. Per rifletterci meglio su, finché
si è in tempo: (…). …la sua immagine (dell’egoarca
di Arcore n.d.r.) non appartiene al futuro d'Italia (…). Per riuscirvi non vi è che una
sola strada. Mostrare - non solo intellettualmente, ma nella pratica sociale - quanto
siano invecchiati, datati, irrimediabilmente del secolo scorso, tutti gli
elementi che hanno a suo tempo fatto nascere un corto circuito che blocca il Paese,
e non lo fa crescere. È vecchia la tradizione dell'anticomunismo, che è stata
il sale della ricetta berlusconiana, e che è ravvivata solo dalla vischiosità
della memoria politica italiana e dai pasticci culturali della sinistra degli
anni Novanta. È vecchia la retorica dell'antipolitica, in una stagione in cui
tutto il mondo si interroga sulla forma di un nuovo rapporto fra politica ed
economia, tra governance sia nazionale, sia mondiale e (seconda)
globalizzazione (Tremonti ne sa bene qualcosa). È vecchio il civettare continuo
con un certo sovversivismo antistatalista, quando è evidente che di Stato c'è
più che mai bisogno. È vecchia la suggestione di un modello di illimitato
individualismo acquisitivo - ricchezza e piaceri, di tutto di più - quando
l'intero occidente è alla ricerca di una nuova misura fra consumi, desideri e
cura di sé. È vecchia la sregolatezza liberista, mentre dovunque si chiedono
più diritto, più norme, più legame sociale. È vecchia la vocazione moderata,
quando i grandi partiti conservatori, in Europa e in America, stanno scegliendo
altre strade. Ed è insopportabilmente vecchio - sì, irrimediabilmente anni
Novanta - quel mettere continuamente in scena se stesso (i suoi problemi, le
sue persecuzioni, il suo giro di amicizie), in una sorta di stato d'eccezione
personale e permanente, di identificazione fra sé e lo Stato che monopolizza il
dibattito pubblico, distogliendoci da quel che più dovrebbe starci a cuore: il
futuro del Paese e la qualità delle scelte strategiche da cui dipende il nostro
destino. (…).
Nessun commento:
Posta un commento