Da “La
vittoria dei pluricratici” intervista di Stefano Benni a Cornelius Noon - professore
alla Trans Allegheny University di Weston in West Virginia -, pubblicata su “il
Fatto Quotidiano” del 29 di ottobre dell’anno 2016: Il primo capitolo del suo
controverso libro (“Pluricracy”, stampato dalla Hydra Press n.d.r.) si
chiama: “Il cadavere delle democrazie”. Un po’ forte, non crede? «Niente
affatto. Le democrazie non esistono più, anche se il pensiero politico si
rifiuta di ammetterlo. Per anni, nell’ambitus della differenza tra democrazia e
dittatura, è nata e ha prosperato l’illusione di una forma politica “migliore”
o “meno peggio” delle altre. L’illusione è caduta, ma la parola democrazia
viene ancora abbondantemente usata anche se questa forma di governo, nel senso
di “governo del popolo” o di “volontà dei più” non ha più nessun riscontro
nella realtà. La pluricrazia è la forma di governo, anzi la forma di
occupazione del pianeta che l’ha sostituita. Gli alieni sono scesi sulla terra
e siamo noi».
Come dobbiamo intendere il suo termine
“pluricrazia”? «Sarebbe più corretto dire system of pluricracies o SOP, secondo
l’orrenda sigla coniata dai miei divulgatori. Una forma di potere globale non
eletta e non elettiva, con fini e mezzi diversi dalla democrazia. Potremmo dire
che è parassitaria della democrazia, anche se per i greci il termine
“parassita” aveva un significato diverso da quello moderno. Le democrazie
rimandavano a una forma di Stato che accoglieva le richieste e i bisogni dei
cittadini, prometteva di proteggerli e pur con mille imperfezioni, dava alle
diverse morali, e alle contrapposte esigenze, una risposta unica, o ritenuta
unica. Ora tutti possono vedere che in ogni parte del mondo sono nate forme di
potere-occupazione, strutturate come veri apparati statali, con parlamenti,
gerarchie, forze militari, costituzioni interne. Non si ispirano a nessuna idea
di democrazia e fanno a meno di lei senza sforzo».
Potrebbe farci qualche esempio? «La
tecnocrazia, la plutocrazia finanziaria più o meno mafiosa, la teocrazia,
persino la farmacocrazia e le ludocrazie-onagrocrazie culturali. Agiscono tutte
con progetti, scopi e morali proprie. Preferiscono a volte operare in una
finzione di democrazia, o allinearsi a una dittatura, ma la loro ideologia è
quanto di più lontano ci possa essere dal rispetto del volere popolare. Il
consumatore, il cliente, il connesso, il degente, lo spettatore, il fanatico
sono i loro sudditi, non il cittadino. Li chiamano talvolta poteri forti ma
sono piuttosto poteri folli, che disprezzano la vecchia ratio del bene comune.
Anche se talvolta scelgono un volto per apparire, preferiscono essere
invisibili. Ascoltano solo voci selezionate da loro: la banca dati, l’audience,
il sondaggio, il call center hanno sostituito la piazza. Recentemente ho
sentito il termine social-democrazia, col trattino, per celebrare il web.
Invenzione dolce e consolatoria. Il web è un’oligarchia, anzi ha creato gli
ultimi monarchi. Steve Jobs è l’ultimo dei semi-dei prometeici».
Uno dei suoi concetti più dibattuti è quello
di Stato-schermo. Quindi lo Stato esiste ancora? «Anche un anarchico non può
fare a meno di una bandiera, diceva De Selby. Lo Stato è uno schermo sul quale
le pluricrazie proiettano la loro immagine in modo rassicurante. Ma lo Stato
non ha più nessun contenuto, è fatto di trame scritte altrove, di recite dove
ruotano i cast di maggioranza e opposizione, di attori brillanti o tragici. (…).
Ogni vera decisione è presa dal SOP, che la trasferisce allo Stato-schermo
perché la trasmetta ai cittadini. Le pluricrazie sanno bene che cose come il
voto, la legge, l’esercito, i confini, la bandiera e la Nazionale di calcio
sono rassicuranti. Essere in balia dell’informe spaventerebbe. Si accetta che
la squadra del cuore venga comprata da un miliardario russo o da uno sceicco,
ma guai a cambiare i colori della maglia. Bisogna avere uno schermo su cui
proiettare lamenti e rabbia, nell’illusione di essere considerati. L’ultima
forma della democrazia è la frenocrazia, la possibilità per ognuno di lagnarsi
e dare la colpa a qualcuno della propria infelicità. Ma è un Paraclausithyron,
un lamento a una porta chiusa».
Lei è totalmente pessimista. Ma è possibile
il progresso o la pace con le pluricrazie? «Il progresso di tutti non esiste
più, esiste soltanto il progressivo rafforzamento delle pluricrazie. In quanto
alla pace la guerra moderna non è più tra Stati, basta vedere la frammentazione
del conflitto mediorientale per rendersene conto. È un continuo scontro tra
avidità contrapposte, ammantato di motivazioni religiose, storiche o etniche,
più complesso e imprevedibile delle guerre del passato. Uno Stato potrebbe
volere la pace, ma lo spingeranno in guerra i suoi petrolieri o i produttori di
armi, i suoi servizi segreti deviati o un gruppo religioso bramoso di anime e
di territorio, un impero mafioso, o un’azienda che ha bisogno di materie prime
e nuovi mercati. È più facile immaginare una guerra nucleare tra Google e
Microsoft, o tra AT&T e Verizon, o tra Hollywood e Bollywood, che tra Usa e
Russia».
E le dittature? Neanche le dittature
esistono più. Sono film un po’ più pulp, schermi in cui ha grande importanza il
primattore, una figura unica di leader, con l’aggiunta degli effetti speciali
di un poderoso apparato militare e un controllo dei media più spietato. Ma
nessun dittatore può permettersi di andare contro il SOP, nessun tiranno ha più
l’esclusiva della tortura, o della censura. Per restare sul suo trono deve
piegarsi a una o più pluricrazie, spesso è soltanto un componente del loro
consiglio di amministrazione.».
Quindi lei non ha soluzioni? «No, e se le
avessi me le avrebbero già prese con la forza. Le pluricrazie hanno vinto. Non
so se troveranno una forma di convivenza o distruggeranno il pianeta nella
battaglia per la supremazia. Quello che è certo è che non lasceranno più spazio
a nessuna forma democratica che non sia secondaria e sottomessa. Il parassita
ha divorato l’ospite. Solo la nascita di una nuova coscienza della libertà, una
totale disconnessione della nostra vita dal sistema pluricratico potrebbe
salvarci, ma io non spero più. Singoli gruppi possono inserirsi negli spazi
vuoti dell’invasione del SOP, ma questi spazi sono sempre più stretti e
stritolanti»
Si dice che lei sia consigliere di Bill Gates e di Putin. Ma che consigli potrebbero avere da lei? «Sono calunnie. Io riesco a malapena a consigliare qualche libro ai miei alunni. Sono un pensatore, e come tutte le forme di intelligenza autonoma, sono destinato a scomparire. Ho deciso di lasciare qualcosa di scritto perché per un attimo potrebbe intralciare le pluricrazie e costringerle a uno sforzo per disinnescare il mio discorso. Ma entro pochi mesi, il mio pensiero sarà ingoiato dal loro magma, oppure in nome delle mie parole nascerà una pluricrazia perversa».
Lei detesta, ricambiato, quasi tutti i suoi
colleghi. Ma nella sua teoria si è ispirato a qualcuno? «La mia non è teoria, è
opsis. All’inizio ho seguito con interesse De Selby, Deleuze, Jankelevith e
Starobinski, ma anche loro sono rimasti prigionieri del democentrismo. Penso
che la scomparsa di Laurel e Hardy, e poi il grido di Bacon abbiano annunciato
il declino del pensiero occidentale. Ma la data che segna la fine dell’illusione
democratica è la morte di John Lennon. Voi italiani siete adoratori della
parola “Vip” ma contate meno di un miliardario cinese».
E la Cina? «Finirà in pezzi. (…).».
Un’ultima domanda : il dramma dei migranti? «Non
si “emigra” più, si fugge e basta, Al SOP di tutto questo non frega nulla, le
pluricrazie non hanno né patria né confini né ricordi. A loro non interessa la
sofferenza degli individui, ma quella dei bilanci. Le pluricrazie rendono
invivibili i Paesi con sfruttamento e guerre costringendo la gente a fuggire,
poi costringono gli Stati-schermo e i volonterosi a occuparsene. Sono agenzie
turistiche sataniche.
Una parola di speranza? «La chieda alle
pluricrazie, ne hanno di diverse e molto seducenti»
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