Da “Renzi e
quel ponte che collega soltanto Alfano al governo” di Alberto Statera,
pubblicato sul settimanale “A&F” del 5 di ottobre dell’anno 2015: Il
Ponte e il ponticello è la tragicommedia che è andata in scena negli ultimi
giorni. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha resuscitato la
rappresentazione iconografica del Ponte sullo Stretto di Messina dicendo, come
se parlasse di una costruzione in mattoncini di Lego, “Voglio provare davvero a
vedere se si può fare”. Quasi nelle stesse ore, Olbia finiva sotto l’acqua a causa
un ponticello sul Rio Siligheddu appena ricostruito tale e quale a quello che
nel 2013 fu spazzato via dall’alluvione che fece tredici morti. Questa volta il
nuovo ponticello, che frenava il deflusso delle acque, è stato abbattuto per
evitare danni maggiori. L’episodio illustra bene lo stile di governo che è
andato consolidandosi negli ultimi mesi, che vede il presidente del Consiglio
sordo ad ogni opinione dei suoi ministri e dei suoi grand commis, blindato tra
gli unici tre collaboratori che hanno qualche voce in capitolo: Luca Lotti,
Marco Carrai e Maria Elena Boschi. Il ministro dei Trasporti e dei Lavori pubblici
Graziano Delrio, che ormai non riesce più a nascondere la sua irritazione verso
il capo, aveva appena detto che il Ponte non è prioritario e il nuovo
presidente dell’Anas Gianni Armani che ben altre sono le priorità, a cominciare
dalla conclusione dei lavori per la Salerno-Reggio Calabria e dal collegamento
con Palermo. La sortita di Renzi si deve quindi esclusivamente a uno dei soliti
giochetti politici. Nello specifico, un favore a quel grande statista che si è
rivelato
il ministro dell’Interno e capo dell’Ncd, che nel 2016 deve affrontare le
elezioni in Sicilia. L’incubo del Ponte aleggia da secoli fin dai tempi delle
guerre puniche, ne parla già Plinio il vecchio verso il 50 dopo Cristo, e su
nei secoli fino a Mussolini, che non amava i siciliani e al capo della polizia
Carmine Senise ripeteva: “E’ tempo che finisca questa storia dell’isola, dopo
la guerra farò costruire un ponte tra il continente e la Sicilia”. L’icona alla
grandeur di un paese sfibrato dalla politica e dal malaffare tornò alla grande
con Berlusconi e ora, dopo il decreto del governo Monti che lo bloccò, con
Renzi. Il quale sfiora la pochade quando dice che vuole davvero vedere se si
può fare. Ma come? Gli studi e i progetti durano da decenni, con un costo di
almeno mezzo miliardo, gran parte degli esperti di economia dei trasporti
dicono che l’opera non è prioritaria e lui, con Alfano, vuole davvero vedere?
Come se non bastasse il guaio delle follie contrattuali che costeranno qualcosa
come 700 milioni per rifondere la Salini-Impregilo, vincitrice dell’appalto nel
2005. Poi ci sono i ponticelli, migliaia di ponticelli sparsi in tutta Italia
che provocano tragedie come quelle di Olbia e della Liguria. Sul dissesto
idrogeologico si sprecano lacrime di coccodrillo ogni volta che, sempre più
spesso, c’è un disastro dovuto al dissesto idrogeologico, ma langue la pulizia
degli argini dei fiumi, mancano gli interventi nelle zone franose, la
manutenzione minima che un territorio come l’Italia richiede. “Ci rimbocchiamo
le maniche e sistemiamo tutto”, aveva detto col tono velleitario che gli è
proprio il presidente del Consiglio poche settimane fa, quando si boccheggiava
per il caldo. Una “rivoluzione copernicana”, disse. Promise nove miliardi e
7.000 cantieri in partenza. Cadute le prime foglie e consumate le prime
alluvioni pare siano arrivati 50 milioni. Ma non riusciamo a liberarci della
metafora di grandeur, che fa dell’Italia l’eterna Italietta.
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