"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 15 marzo 2017

Scriptamanent. 80 “Il populismo della paura”.



Da “Il populismo della paura” di Roberto Toscano, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 15 di marzo dell’anno 2016: (…). Populismo? Certo, se per politica populista intendiamo il dare risposte semplici a problemi complessi e dire alla gente quello che la gente vuole sentire, non quello che è giusto dire. (…). Il populismo è sempre esistito, e si può anzi dire che costituisca una componente di ogni ricerca del consenso. Va anche aggiunto che i politici con tasso di populismo uguale a zero non hanno mai avuto molto successo, mentre lo stesso non si può certo dire degli iper-populisti, disinvoltamente incuranti sia della coerenza che della logica, ma spesso vincenti. E allora ha più senso passare dalla forma al contenuto. Il populismo che in tutta Europa, e non solo in Germania, è diventato un serio fattore è un populismo molto specifico: il populismo della paura. Paura d’invasione da parte di centinaia di migliaia di persone che vengono a rubarci il lavoro in tempi di stentata crescita economica e a competere sul terreno dei benefici sociali in un momento in cui il welfare tende ad essere ridotto. La paura non ha solo una natura economica, ma tocca la sfera dell’identità culturale (gran parte dei migranti sono musulmani) e della sicurezza (quanti terroristi possono infiltrarsi fra i migranti?). Tutti problemi reali ai quali andrebbero date risposte serie in termini sia di razionalità politica sia di sostenibilità economica, ma senza dimenticare chi siamo come europei. O forse verrebbe da dire come credevamo di essere, visto che in quasi tutti i paesi dell’Unione sembra aumentare una deriva xenofoba che minaccia di distruggere la nostra identità molto di più che non la comparsa del velo islamico nelle nostre strade o di minareti nei nostri paesaggi. Il populismo della paura parte dai problemi reali per passare a proposte del tutto fantasiose. «Chiudere le frontiere»: come se l’esperienza non avesse abbondantemente dimostrato che i movimenti di popolazione possono essere regolati, non totalmente impediti, e che non si è ancora inventato un confine davvero invalicabile. «Proibire l’ingresso dei musulmani»: dimenticando che in Europa già ci sono milioni di musulmani come prodotto dell’eredità coloniale (Regno Unito, Francia) o delle esigenze economiche (Germania), tanto che sarebbe giusto parlare non solo di migranti musulmani, ma anche di “musulmani europei”. «Sospendere Schengen»: una prospettiva che minaccerebbe di essere fatale per l’Unione Europea, e che per noi italiani risulterebbe particolarmente negativa, dato che ci troveremmo nelle condizioni in cui si trova la Grecia, dove sono bloccati migliaia di rifugiati senza sbocco. (…). Risposte semplici (e insensate) a problemi complessi. Ma i dirigenti politici che cavalcano la paura, anzi la stimolano sistematicamente, hanno un’agenda che va oltre il problema delle migrazioni.
Hanno una strategia politica molto più ambiziosa, e - pur con tutte le differenze che li caratterizzano - condividono un’ideologia di fondo: quella della “democrazia illiberale”. Un sistema politico dove il popolo viene consultato, ma dove il potere, ottenuta la legittimazione elettorale, chiude gli spazi del pluralismo e impone l’omogeneità definendo quella che deve essere l’identità della nazione. Le democrazie illiberali già esistono: la Turchia di Erdogan e la Russia di Putin, per esempio. E non è un caso che il Front National di Marine Le Pen abbia la simpatia (e anche l’appoggio materiale) di Mosca, e che Salvini, da noi, simpatizzi apertamente con le posizioni della Russia - dove si è riesumata la vecchia identità (Russo = Ortodosso) della Russia zarista. È l’opposto di quel “patriottismo costituzionale” che si pensava caratterizzasse irreversibilmente l’Europa: una comune e forte appartenenza, come cittadini, aperta a una pluralità di origini etniche, fedi, tendenze politiche. È una regressione politico-culturale che avanza accompagnata da una retorica che non ha problemi di credibilità e nemmeno teme il ridicolo, come non lo teme il Ministro degli esteri polacco Waszczykowski, secondo cui bisogna respingere un mondo fatto di «una nuova mescolanza di culture e razze, un mondo di ciclisti e vegetariani». Purtroppo, non basterà una risata per fermarli.

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