"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 26 marzo 2017

Sfogliature. 75 “Reichlin, la sinistra e la barba di Grillo “



Ha lasciato scritto Alfredo Reichlin in un Suo editoriale che è dell’anno 2007, editoriale raccolto e trascritto in questa datata “sfogliatura”: Basta dare uno sguardo d’insieme a questi anni per accorgersi che alla chiacchiera infinita sul riformismo è corrisposto, nella sostanza, una brutale e profonda redistribuzione del lavoro e della ricchezza quale da tempo non appariva così ampia. Basti pensare allo sconvolgimento dei prezzi relativi e al divario tra i salari e gli altri redditi. E questi sono stati anche gli anni in cui si è consumata una grande sconfitta culturale ed etico-politica della sinistra democratica. Il ‘berlusconismo’ non è stato una parentesi, ha permeato il sentire di quella che se non è la maggioranza del Paese poco ci manca. Era giusto l’anno 2007. È stato questo il “sentire” dell’Uomo che ci ha appena lasciati. Un “sentire” – dieci anni appena indietro - che andava oltre il tornaconto politico immediato per divenire un “sentire” profetico, come solamente i grandi della politica ne sono capaci. Ci lascia così un “gigante” della politica nella mani di “nani e nanerottoli”, incapaci di qualsivoglia analisi che non sia finalizzata alla occupazione del potere per il potere. Oggigiorno  quei “nani e nanerottoli” della politica “gridata” e ridotta a “slide”, slogan e proclami si ingegnano ad intravvedere nel “populismo”,  a loro dire avanzante e trionfante, il pericolo per la democrazia. La responsabilità è tutta ed interamente da ascriversi alla loro nefasta azione, permeata dall’inconcludenza e dalla improvvisazione, senza un briciolo di analisi, senza un tentativo di mediazione nello scenario sociale, azione di una politica mediatizzata ed imbarbarita. Il “deserto dei tartari” dei “nani e nanerottoli” dal quale maldestralmente minacciano l’arrivo dei “barbari” è stabilmente occupato dalle loro tragiche, insignificanti figure. Alfredo, ti sia lieve la terra. La “sfogliatura” è di martedì 25 di settembre dell’anno 2007:
“Dietro la barba di Grillo” è il titolo di un interessante editoriale di Alfredo Reichlin pubblicato sul quotidiano “l' Unità”, che di seguito riporto in parte. È il tentativo, come tanti altri, di far rientrare dalla finestra spalancata sulla piazza vociante la riflessione e l’analisi, gli unici strumenti capaci di evitare il melmoso spettacolo di questi giorni. Un dato di fatto è incontrovertibile: se la metà dell’elettorato – pronta a divenire la nuova maggioranza parlamentare secondo i sondaggisti più accreditati - che si specchia e si pasce nella sedicente “Casa delle (il)libertà” non avverte nessun disturbo interiore, ovvero alle parti basse, essendo la cosiddetta ‘ggente, la cui sensibilità è allocata nella pancia, ‘ggente alla cui acculturazione ed educazione la destra impresentabile del bel paese ha dedicato decenni e decenni di attenta attività psico-pedagogica, con gli straordinari risultati che oggigiorno essa raccoglie, dicevo, per l’altra metà dell’elettorato del bel paese è mancato l’esempio dagli uomini della propria parte, lo stimolo a vedere ed a credere in una politica fatta di cose chiare, senza ombra alcuna, con una perfetta coincidenza tra il dire e il fare. Ecco, i pedagoghi della sinistra del bel paese sono decenni che si concedono una strana libertà, quella di rinunciare a proporsi come esempi di vita politica esemplare; ché anzi, hanno riprodotto il peggio che la politica mestierante del bel paese ha saputo inventare e mettere in pratica. Ed allora il malpancismo, che è quasi tutto da una parte, trova nella disillusione e nella disperazione fughe in avanti il cui unico sbocco potrebbe inverarsi in una soluzione traumatica e fuori dal tempo per le stesse istituzioni democratiche, così faticosamente conquistate nei decenni trascorsi. Alfredo Reichlin scrive: Non mi piace Grillo ma non mi piace nemmeno come la politica sta rispondendo sia a chi la critica sia a chi la infanga. (…). Grillo lasciamolo stare. Questo guitto è la febbre, non la malattia. La malattia è il vuoto di governo creato dal crollo del grande compromesso politico e sociale sul quale era stata edificata la prima repubblica. E che dopotutto, fu la variante italiana del famoso compromesso democratico tra la socialdemocrazia e il capitalismo nazionale che si affermò nell’Europa avanzata. Quel vuoto noi non l’abbiamo riempito. Questa è la malattia. È il fatto che tutti i tentativi compiuti in questi 15 anni per porre lo sviluppo del paese su nuove basi sono falliti. Le colpe della destra sono pesantissime. Ma noi non siamo innocenti e il prezzo che paghiamo è così pesante perché il paese è cresciuto, ha da molto tempo bisogno di una nuova guida ma ha la sensazione (…) che ‘è troppo grande il contrasto tra ciò che si fa e ciò che si dice’. (…). È vero che ciò non è avvenuto solo in Italia, né per colpa della sinistra. È su scala mondiale che la rivoluzione conservatrice ha imposto la sua ormai lunga egemonia. Le polemiche, le grida, il pettegolezzo giornalistico non spiegano nulla. Le arroganze di una certa ‘casta’ esistono ma il fatto decisivo è che una politica senza grandi ambizioni ideali e con scarsi poteri autonomi perché sottomessa al potere globale della oligarchia economica dominante non poteva che esprimere un sistema politico rissoso e impotente, frammentato in una ventina di partiti. Certo che la sinistra è stata, ed è, diversa e migliore. Ma in quelle condizioni non potevamo che produrre quei ‘compromessi al ribasso’ di cui parlano gli economisti: cioè anche cose buone ma frammiste a mezze soluzioni, rinvii, cedimenti alle corporazioni. È chiaro che questo insieme di compromessi al ribasso non poteva reggere alle nuove sfide del mondo. Le quali - non dimentichiamolo - non sono solo economiche ma culturali e morali. Perché questa, vivaddio, è la mondializzazione; è una cosa che cambia non solo l’economia ma le menti, e perfino l’antropologia frammista com’è alla rivoluzione della scienza. Il che cambia il rapporto con il tempo e la natura e quindi l’idea che gli uomini hanno di sé e del futuro. (…). È in questa logica che io sollevo un interrogativo. Che è questo. Il paese ha bisogno di un nuovo ceto politico portatore in qualche modo di una visione del futuro italiano più giusta e più moderna. Ma (ecco l’interrogativo) come è possibile avere questa nuova visione se non si parte dal fatto che il sistema politico messo in piedi 15 anni fa dopo il crollo dei grandi partiti e l’avvento del bipolarismo è fallito non solo e non tanto per ragioni morali (la ‘casta’) quanto perché il suo disegno riformista era debole, meschino? Era incapace di guidare una società in tumultuoso cambiamento perchè non sapeva (o non voleva) contrastare quel drammatico fenomeno, che - attenzione - non è l’estensione del mercato quale strumento essenziale dello scambio economico ma la trasformazione della società in società di mercato: l’Italia dei coriandoli di cui parla De Rita. Io credo che sta qui la ragione di fondo per cui la politica non è riuscita a governare. Perché era debole? Sì, certo. Ma era debole non perché priva di strumenti (abbiamo governato tutto) ma perché non in grado di garantire diritti e doveri uguali per ogni cittadino (quale che sia il potere di acquisto). Era debole perché non riusciva a far rispettare quei patti non scritti per cui in un qualsiasi paese ci sono i ricchi e ci sono i poveri, ma quel paese può stare insieme perché la legge è uguale per tutti e i ricchi pagano più tasse dei poveri (e non viceversa come in Italia). (…).

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