Da “I
palazzi della politica si riprendono il potere” di Zygmunt Bauman,
pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 29 di marzo dell’anno 2014: Noi
europei del Ventesimo secolo ci troviamo sospesi tra un passato pieno di orrori
e un futuro distante pieno di rischi. Non possiamo sapere cosa ci aspetterà in
futuro. A oggi ogni soluzione che concordiamo di fronte al succedersi di sfide
e dissensi emana un’aria di temporaneità. Sembra essere, e il più delle volte
dimostra infatti di essere, valida «sino a nuova comunicazione», con una
clausola ad hoc che ne rende possibile la revoca, così come ad hoc sono le
nostre divisioni e coalizioni, fragili e incerte. (…). Senza dubbio l’attuale,
incoerente struttura istituzionale dell’Unione Europea - nella quale le regole
senza politica promosse da Bruxelles contrastano con la politica senza regole
per cui il Consiglio europeo è famoso, mentre il Parlamento è tutto chiacchiere
e poco potere - alimenta simultaneamente entrambe queste tendenze. Ottant’anni
fa Edmund Husserl ammoniva: «Il pericolo più grave che minaccia l’Europa è la
sua stanchezza». Nel corso degli ultimi cinquant’anni i processi di
deregolamentazione originati, promossi e controllati dai governi statali che si
sono uniti volontariamente (o sono stati indotti a farlo) alla cosiddetta
“rivoluzione neo-liberale” hanno prodotto una separazione sempre più acuta e
crescenti probabilità di separazione tra il potere (ovvero, la capacità di
fare) e la politica (ovvero, l’abilità di decidere cosa deve essere fatto). I
poteri un tempo racchiusi nella cornice dello Stato-nazione sono per lo più
evaporati e sono finiti in una terra di nessuno, quella dello “spazio dei
flussi” (secondo la definizione data da Manuel Castells), mentre la politica
resta, come in passato, ancorata e confinata al territorio. Tale processo tende
a essere sempre più intenso e autoindotto. I governi nazionali, ormai privi di
potere e sempre più deboli, sono obbligati a cedere una ad una le funzioni un
tempo considerate monopolio naturale e inalienabile degli organi politici dello
Stato, per affidarle alle cure di forze di mercato già “deregolamentate”,
sottraendole così all’ambito della responsabilità e del controllo da parte
della politica. Ciò provoca il rapido dissolversi della fiducia popolare nei
confronti dell’abilità dei governi di fronteggiare con efficacia le minacce
alle condizioni di vita dei loro cittadini. Questi credono sempre meno che i
governi siano capaci di tener fede alle loro promesse. Per dirla in breve: la
nostra crisi attuale è innanzitutto e soprattutto dovuta a una crisi
dell’azione di governo - benché in definitiva sia una crisi di sovranità
territoriale. Gli europei, così come la maggior parte degli altri abitanti del
pianeta, stanno attualmente attraversando una crisi della “politica così come
la conosciamo” e al tempo stesso sono costretti a trovare o inventare soluzioni
locali a sfide globali. Gli europei, come la maggior parte degli abitanti del
pianeta, ritengono che le modalità attualmente impiegate per “fare le cose” non
funzionino a dovere, mentre all’orizzonte ancora non si vedono modalità
alternative ed efficaci (una situazione che il grande filosofo italiano Antonio
Gramsci definì come stato di “interregno” - ovvero una situazione nella quale
il vecchio è già morto o sul punto di morire, ma il nuovo non è ancora nato).
I loro governi, come tanti altri al di fuori dell’Europa, si trovano di fronte a un dilemma irrisolvibile. Tuttavia, a differenza della maggioranza degli abitanti del Pianeta, il mondo degli europei è un edificio a tre - non a due - piani. Tra i poteri globali e le politiche nazionali c’è infatti l’Unione Europea. L’intrusione di un anello intermedio nella catena di dipendenza confonde la divisione, altrimenti palese, tra “noi” e “loro”. Da quale parte sta l’Unione europea? Da quella della “nostra” politica (autonoma), o del “loro” potere (eteronimo)? Da un lato, l’Unione è considerata uno scudo protettivo che difende l’aggregato dei singoli Stati. Dall’altro, appare come una sorta di quinta colonna dei poteri globali, un satrapo degli invasori stranieri, un “nemico interno” e un avamposto di forze che cospirano per erodere e in definitiva annullare la possibilità che nazione e Stato mantengano la propria sovranità. Una percezione, questa, che viene spregiudicatamente e slealmente sfruttata dalle sirene dei neonazionalisti, (…). I neonazionalisti presentano il sogno della sovranità nazionale/ territoriale come cura di tutti i mali causati, secondo loro, dalla realtà odierna. Proprio come il resto del Pianeta, l’Europa oggi è una discarica dei problemi e delle sfide generate a livello globale. Tuttavia, a differenza del resto del Pianeta, l’Unione europea è anche un laboratorio, forse unico, nel quale ogni giorno si progettano, discutono e collaudano nuove proposte per far fronte a quelle sfide e a quei problemi. Mi spingerei sino a suggerire che questo è un fattore (forse l’unico) che rende l’Europa, il suo retaggio e il suo contributo al mondo straordinariamente significativi per il futuro di un pianeta oggi di fronte a una seconda e cruciale trasformazione della convivenza umana nella storia moderna - e cioè del passaggio incredibilmente faticoso dalle “totalità immaginate” degli Stati-nazione alla “totalità immaginata” dell’umanità. Questo processo, che è ancora agli inizi e che, se il pianeta e i suoi abitanti sopravvivranno, è destinato a proseguire, l’Unione europea incarna un’opportunità molto concreta. Tuttavia, l’obiettivo non è facile da raggiungere. Non c’è alcuna garanzia di successo e sottoporrà la maggior parte degli europei, hoi polloi, e dei loro leader eletti, a una forte frizione tra priorità contrastanti e scelte difficili. L’idea dell’Europa forse era e rimane un’utopia. Ma è stata e rimane un’utopia attiva, che si sforza di fondere e consolidare azioni altrimenti disconnesse e multidirezionali. Un’utopia la cui attività dipenderà, in definitiva, dai suoi attori.
I loro governi, come tanti altri al di fuori dell’Europa, si trovano di fronte a un dilemma irrisolvibile. Tuttavia, a differenza della maggioranza degli abitanti del Pianeta, il mondo degli europei è un edificio a tre - non a due - piani. Tra i poteri globali e le politiche nazionali c’è infatti l’Unione Europea. L’intrusione di un anello intermedio nella catena di dipendenza confonde la divisione, altrimenti palese, tra “noi” e “loro”. Da quale parte sta l’Unione europea? Da quella della “nostra” politica (autonoma), o del “loro” potere (eteronimo)? Da un lato, l’Unione è considerata uno scudo protettivo che difende l’aggregato dei singoli Stati. Dall’altro, appare come una sorta di quinta colonna dei poteri globali, un satrapo degli invasori stranieri, un “nemico interno” e un avamposto di forze che cospirano per erodere e in definitiva annullare la possibilità che nazione e Stato mantengano la propria sovranità. Una percezione, questa, che viene spregiudicatamente e slealmente sfruttata dalle sirene dei neonazionalisti, (…). I neonazionalisti presentano il sogno della sovranità nazionale/ territoriale come cura di tutti i mali causati, secondo loro, dalla realtà odierna. Proprio come il resto del Pianeta, l’Europa oggi è una discarica dei problemi e delle sfide generate a livello globale. Tuttavia, a differenza del resto del Pianeta, l’Unione europea è anche un laboratorio, forse unico, nel quale ogni giorno si progettano, discutono e collaudano nuove proposte per far fronte a quelle sfide e a quei problemi. Mi spingerei sino a suggerire che questo è un fattore (forse l’unico) che rende l’Europa, il suo retaggio e il suo contributo al mondo straordinariamente significativi per il futuro di un pianeta oggi di fronte a una seconda e cruciale trasformazione della convivenza umana nella storia moderna - e cioè del passaggio incredibilmente faticoso dalle “totalità immaginate” degli Stati-nazione alla “totalità immaginata” dell’umanità. Questo processo, che è ancora agli inizi e che, se il pianeta e i suoi abitanti sopravvivranno, è destinato a proseguire, l’Unione europea incarna un’opportunità molto concreta. Tuttavia, l’obiettivo non è facile da raggiungere. Non c’è alcuna garanzia di successo e sottoporrà la maggior parte degli europei, hoi polloi, e dei loro leader eletti, a una forte frizione tra priorità contrastanti e scelte difficili. L’idea dell’Europa forse era e rimane un’utopia. Ma è stata e rimane un’utopia attiva, che si sforza di fondere e consolidare azioni altrimenti disconnesse e multidirezionali. Un’utopia la cui attività dipenderà, in definitiva, dai suoi attori.
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