Da “Il
populismo della paura” di Roberto Toscano, pubblicato sul quotidiano la Repubblica
del 15 di marzo dell’anno 2016: (…). Populismo? Certo, se per politica
populista intendiamo il dare risposte semplici a problemi complessi e dire alla
gente quello che la gente vuole sentire, non quello che è giusto dire. (…). Il
populismo è sempre esistito, e si può anzi dire che costituisca una componente
di ogni ricerca del consenso. Va anche aggiunto che i politici con tasso di
populismo uguale a zero non hanno mai avuto molto successo, mentre lo stesso
non si può certo dire degli iper-populisti, disinvoltamente incuranti sia della
coerenza che della logica, ma spesso vincenti. E allora ha più senso passare
dalla forma al contenuto. Il populismo che in tutta Europa, e non solo in
Germania, è diventato un serio fattore è un populismo molto specifico: il
populismo della paura. Paura d’invasione da parte di centinaia di migliaia di
persone che vengono a rubarci il lavoro in tempi di stentata crescita economica
e a competere sul terreno dei benefici sociali in un momento in cui il welfare
tende ad essere ridotto. La paura non ha solo una natura economica, ma tocca la
sfera dell’identità culturale (gran parte dei migranti sono musulmani) e della
sicurezza (quanti terroristi possono infiltrarsi fra i migranti?). Tutti
problemi reali ai quali andrebbero date risposte serie in termini sia di
razionalità politica sia di sostenibilità economica, ma senza dimenticare chi
siamo come europei. O forse verrebbe da dire come credevamo di essere, visto
che in quasi tutti i paesi dell’Unione sembra aumentare una deriva xenofoba che
minaccia di distruggere la nostra identità molto di più che non la comparsa del
velo islamico nelle nostre strade o di minareti nei nostri paesaggi. Il
populismo della paura parte dai problemi reali per passare a proposte del tutto
fantasiose. «Chiudere le frontiere»: come se l’esperienza non avesse
abbondantemente dimostrato che i movimenti di popolazione possono essere
regolati, non totalmente impediti, e che non si è ancora inventato un confine
davvero invalicabile. «Proibire l’ingresso dei musulmani»: dimenticando che in
Europa già ci sono milioni di musulmani come prodotto dell’eredità coloniale
(Regno Unito, Francia) o delle esigenze economiche (Germania), tanto che
sarebbe giusto parlare non solo di migranti musulmani, ma anche di “musulmani
europei”. «Sospendere Schengen»: una prospettiva che minaccerebbe di essere
fatale per l’Unione Europea, e che per noi italiani risulterebbe
particolarmente negativa, dato che ci troveremmo nelle condizioni in cui si
trova la Grecia, dove sono bloccati migliaia di rifugiati senza sbocco. (…). Risposte
semplici (e insensate) a problemi complessi. Ma i dirigenti politici che
cavalcano la paura, anzi la stimolano sistematicamente, hanno un’agenda che va
oltre il problema delle migrazioni.
Hanno una strategia politica molto più ambiziosa, e - pur con tutte le differenze che li caratterizzano - condividono un’ideologia di fondo: quella della “democrazia illiberale”. Un sistema politico dove il popolo viene consultato, ma dove il potere, ottenuta la legittimazione elettorale, chiude gli spazi del pluralismo e impone l’omogeneità definendo quella che deve essere l’identità della nazione. Le democrazie illiberali già esistono: la Turchia di Erdogan e la Russia di Putin, per esempio. E non è un caso che il Front National di Marine Le Pen abbia la simpatia (e anche l’appoggio materiale) di Mosca, e che Salvini, da noi, simpatizzi apertamente con le posizioni della Russia - dove si è riesumata la vecchia identità (Russo = Ortodosso) della Russia zarista. È l’opposto di quel “patriottismo costituzionale” che si pensava caratterizzasse irreversibilmente l’Europa: una comune e forte appartenenza, come cittadini, aperta a una pluralità di origini etniche, fedi, tendenze politiche. È una regressione politico-culturale che avanza accompagnata da una retorica che non ha problemi di credibilità e nemmeno teme il ridicolo, come non lo teme il Ministro degli esteri polacco Waszczykowski, secondo cui bisogna respingere un mondo fatto di «una nuova mescolanza di culture e razze, un mondo di ciclisti e vegetariani». Purtroppo, non basterà una risata per fermarli.
Hanno una strategia politica molto più ambiziosa, e - pur con tutte le differenze che li caratterizzano - condividono un’ideologia di fondo: quella della “democrazia illiberale”. Un sistema politico dove il popolo viene consultato, ma dove il potere, ottenuta la legittimazione elettorale, chiude gli spazi del pluralismo e impone l’omogeneità definendo quella che deve essere l’identità della nazione. Le democrazie illiberali già esistono: la Turchia di Erdogan e la Russia di Putin, per esempio. E non è un caso che il Front National di Marine Le Pen abbia la simpatia (e anche l’appoggio materiale) di Mosca, e che Salvini, da noi, simpatizzi apertamente con le posizioni della Russia - dove si è riesumata la vecchia identità (Russo = Ortodosso) della Russia zarista. È l’opposto di quel “patriottismo costituzionale” che si pensava caratterizzasse irreversibilmente l’Europa: una comune e forte appartenenza, come cittadini, aperta a una pluralità di origini etniche, fedi, tendenze politiche. È una regressione politico-culturale che avanza accompagnata da una retorica che non ha problemi di credibilità e nemmeno teme il ridicolo, come non lo teme il Ministro degli esteri polacco Waszczykowski, secondo cui bisogna respingere un mondo fatto di «una nuova mescolanza di culture e razze, un mondo di ciclisti e vegetariani». Purtroppo, non basterà una risata per fermarli.
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