Da “La
democrazia deve chiedere l'esilio di Dio” di Paolo Flores D’Arcais,
pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 9 di marzo dell’anno 2015: La laicità
è diventata una questione di vita e di morte, alla lettera. Costituisce, non a
caso, la questione cruciale della democrazia. Anche se lo avevamo dimenticato,
se avevamo dato la laicità per acquisita, al punto che anche il pensiero
"laico" prestigioso ne teorizzava il superamento come inveramento
(l'immancabile Aufhebung hegeliano): la società post-secolare. (…). Non la
guerra santa tra religioni, (…), ma la guerra del Sacro contro l'autosnomos, il
"darsi da sé la legge", la sovranità di Homo sapiens su sé stesso,
che sostituisce su questa terra l'eterosnomos, la sovranità di Dio, come fonte
di legittimità nel dettare gli ordinamenti, i valori, i diritti e i doveri di
ciascuno. Una guerra che divide il laico intransigente dal laico accomodante
assai più che il credente dal non credente, ed evidenzia i due grandi
"partiti" storici che percorrono l'Occidente, quello della coerenza o
dell'ipocrisia rispetto al disincanto e alla sua logica. La laicità è un corollario
del disincanto, e la libertà fino all'irrisione di ogni potere è il corollario
di entrambi, lo svolgimento pieno dell' autosnomos, il cui culmine è dunque
quello libertario (e libertino) che proclama: ni Dieu ni maître. Se la
religione nella sfera pubblica è addirittura un valore agra giunto, (…),
l'"argomento Dio" deve avere piena legittimità nella discussione
politica, nei comizi elettorali, nei dibattiti televisivi. Di conseguenza,
questo stesso argomento ha pieno titolo per risuonare nelle aule parlamentari
quale motivazione per avanzare, approvare, rifiutare una proposta di legge.
Sarebbe paradossale e incongruo che una giustificazione valida per decidere,
nel dialogos tra cittadini, chi scegliere quali rappresentanti della propria
sovranità, fosse poi bandita dal confronto con cui i "deputati" di
quella stessa sovranità arrivano a decretare la legge. Se però la volontà di
Dio costituisce una buona ragione democratica per statuire le misure normative
che vincolano tutti i cittadini, a maggior ragione varrà come motivo da
invocare nelle aule dei tribunali e nelle relative sentenze, con cui si applica
la norma generale e astratta alle fattispecie concrete dei casi singoli. Ma c'è
qualcuno, che si proclami laico (e non importa con quali aggettivi limitativi),
disposto ad ammettere che si condanni o assolva un imputato perché "Dio lo
vuole"? Le pretese teocratiche ne sarebbero perfettamente soddisfatte.
La sfera pubblica è una e indivisibile, anche e proprio per la ricchezza e la pluralità delle sue articolazioni, che la rendono una complessità circolare di ambiti comunicanti. Se il nomos di Dio è ammissibile in uno di essi non può essere escluso dagli altri. L'alternativa perciò è secca. O l'esilio di Dio dall'intera sfera pubblica, o l'irruzione del Suo volere sovrano — dettato come sharia o altrimenti decifrato — in ogni fibra della vita associata. Aut aut. Ecco perché è inerente alla democrazia l'ostracismo di Dio, della sua parola e dei suoi simboli, da ogni luogo dove protagonista sia il cittadino: scuola compresa, e anzi scuola innanzitutto, poiché ambito della sua formazione. Al fedele restano chiese, moschee, sinagoghe, e la sfera privata "in interiore homine". Il "darsi da sé la legge", anziché obbedire a quella eterna di Dio, che fa di Homo sapiens il creatore e signore della norma, possiede una logica incontenibile. Una volta assunta, cioè scatenata dai ceppi dell' eteros divino, deve incarnarsi progressivamente nelle successive conquiste storiche di universalizzazione dell' autos umano: dalla laicità di "etsi Deus non daretur" per i sovrani, che per i sudditi suona "cuius regio, eius religio", alla spartizione di sovranità con parlamenti rappresentativi censitari, alla "liberté" intrecciata a "égalité" e "fraternité" del primo suffragio "universale", alla sua implementazione con il voto alle donne. Oppure regredire e dileguare nella restaurazione di etero- nomia del Sacro. Fino alla feccia, eventualmente: la teocrazia. Ma quale eteros, se l'Unico Dio è diventato plurale? Dopo che i monoteismi hanno soppiantato i tolleranti pantheon "pagani", ibridabili e interscambiabili, la volontà di Dio, per funzionare da ordinatore sociale, deve essere Una. Il Nomos cui si deve obbedienza, per essere da tutti riconosciuto quale fonte tranquillizzante di senso e di sicurezza, deve essere incontrovertibile, dunque necessariamente Uno. L'eresia, se non viene cancellata sul nascere dal rogo e si afferma come interpretazione alternativa, lo mina irrimediabilmente. L'Altro e Alto, se non resta Uno, se ormai scisso, diventa polemos, consegnato a un'ordalia interminabile. Ma il giudizio di Dio è visibile solo come verdetto del campo di battaglia. Per non distruggere nelle guerre di religione le società che deve governare, la sovranità del Nomos divino deve dunque essere neutralizzata. L'istinto di sopravvivenza ha forzato l'Europa dei sovrani ad accogliere l'empia invasione della laicità, che vedrà infine i barbari — terzo stato e sanculotti — impadronirsi della sovranità tagliando la testa ai Sovrani. Una volta istituita la sfera pubblica in forma democratica, rilegittimarvi Dio vuole dire inocularvi il virus che rende incombente e in agguato l'intero percorso a ritroso, fino alla guerra civile di religione, potenziale e permanente. Perciò. La religione è compatibile con la democrazia solo se disponibile e assuefatta all'esilio di Dio dalle vicende e dai conflitti della cittadinanza, solo se pronta a praticare il primo comandamento della sovranità repubblicana: non pronunciare il nome di Dio in luogo pubblico. La religione è compatibile con la democrazia solo se addomesticata, cioè convertita all'autonomia assoluta della norma civile rispetto alla legge religiosa. Solo se persuasa che la sanzione spirituale del peccato non può pretendere il soccorso del braccio secolare che lo renda reato. Di più, la religione deve accettare la libertà del peccato come diritto di ogni cittadino: il peccato mortale garantito e protetto dalla legge, se così ha deciso la sovranità dell' autosnomos. Accettare e interiorizzare. Le religioni compatibili con la democrazia sono dunque religioni docili, che hanno rinunciato a ogni fede militante (di sharia e martiri o di legionari di Cristo e altre comunioni e liberazioni) che intenda far valere nel secolo la morale religiosa. Sono religioni sottomesse, che hanno interiorizzato l'inferiorità della "legge di Dio" rispetto alla volontà sovrana degli uomini su questa terra. Sono religioni riformate, perché avvezzano il fedele a una vita serenamente scissa tra l'ordinamento della salvezza e l'ordinamento della convivenza, tra l'obbedienza personale ai comandamenti divini e la doverosa promozione della libertà di ciascun altro di violarli.
La sfera pubblica è una e indivisibile, anche e proprio per la ricchezza e la pluralità delle sue articolazioni, che la rendono una complessità circolare di ambiti comunicanti. Se il nomos di Dio è ammissibile in uno di essi non può essere escluso dagli altri. L'alternativa perciò è secca. O l'esilio di Dio dall'intera sfera pubblica, o l'irruzione del Suo volere sovrano — dettato come sharia o altrimenti decifrato — in ogni fibra della vita associata. Aut aut. Ecco perché è inerente alla democrazia l'ostracismo di Dio, della sua parola e dei suoi simboli, da ogni luogo dove protagonista sia il cittadino: scuola compresa, e anzi scuola innanzitutto, poiché ambito della sua formazione. Al fedele restano chiese, moschee, sinagoghe, e la sfera privata "in interiore homine". Il "darsi da sé la legge", anziché obbedire a quella eterna di Dio, che fa di Homo sapiens il creatore e signore della norma, possiede una logica incontenibile. Una volta assunta, cioè scatenata dai ceppi dell' eteros divino, deve incarnarsi progressivamente nelle successive conquiste storiche di universalizzazione dell' autos umano: dalla laicità di "etsi Deus non daretur" per i sovrani, che per i sudditi suona "cuius regio, eius religio", alla spartizione di sovranità con parlamenti rappresentativi censitari, alla "liberté" intrecciata a "égalité" e "fraternité" del primo suffragio "universale", alla sua implementazione con il voto alle donne. Oppure regredire e dileguare nella restaurazione di etero- nomia del Sacro. Fino alla feccia, eventualmente: la teocrazia. Ma quale eteros, se l'Unico Dio è diventato plurale? Dopo che i monoteismi hanno soppiantato i tolleranti pantheon "pagani", ibridabili e interscambiabili, la volontà di Dio, per funzionare da ordinatore sociale, deve essere Una. Il Nomos cui si deve obbedienza, per essere da tutti riconosciuto quale fonte tranquillizzante di senso e di sicurezza, deve essere incontrovertibile, dunque necessariamente Uno. L'eresia, se non viene cancellata sul nascere dal rogo e si afferma come interpretazione alternativa, lo mina irrimediabilmente. L'Altro e Alto, se non resta Uno, se ormai scisso, diventa polemos, consegnato a un'ordalia interminabile. Ma il giudizio di Dio è visibile solo come verdetto del campo di battaglia. Per non distruggere nelle guerre di religione le società che deve governare, la sovranità del Nomos divino deve dunque essere neutralizzata. L'istinto di sopravvivenza ha forzato l'Europa dei sovrani ad accogliere l'empia invasione della laicità, che vedrà infine i barbari — terzo stato e sanculotti — impadronirsi della sovranità tagliando la testa ai Sovrani. Una volta istituita la sfera pubblica in forma democratica, rilegittimarvi Dio vuole dire inocularvi il virus che rende incombente e in agguato l'intero percorso a ritroso, fino alla guerra civile di religione, potenziale e permanente. Perciò. La religione è compatibile con la democrazia solo se disponibile e assuefatta all'esilio di Dio dalle vicende e dai conflitti della cittadinanza, solo se pronta a praticare il primo comandamento della sovranità repubblicana: non pronunciare il nome di Dio in luogo pubblico. La religione è compatibile con la democrazia solo se addomesticata, cioè convertita all'autonomia assoluta della norma civile rispetto alla legge religiosa. Solo se persuasa che la sanzione spirituale del peccato non può pretendere il soccorso del braccio secolare che lo renda reato. Di più, la religione deve accettare la libertà del peccato come diritto di ogni cittadino: il peccato mortale garantito e protetto dalla legge, se così ha deciso la sovranità dell' autosnomos. Accettare e interiorizzare. Le religioni compatibili con la democrazia sono dunque religioni docili, che hanno rinunciato a ogni fede militante (di sharia e martiri o di legionari di Cristo e altre comunioni e liberazioni) che intenda far valere nel secolo la morale religiosa. Sono religioni sottomesse, che hanno interiorizzato l'inferiorità della "legge di Dio" rispetto alla volontà sovrana degli uomini su questa terra. Sono religioni riformate, perché avvezzano il fedele a una vita serenamente scissa tra l'ordinamento della salvezza e l'ordinamento della convivenza, tra l'obbedienza personale ai comandamenti divini e la doverosa promozione della libertà di ciascun altro di violarli.
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