"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 25 gennaio 2017

Scriptamanent. 66 “La linea d’ombra del comando”.



Da “La linea d’ombra del comando” di Barbara Spinelli, pubblicato sul quotidiano la Repubblica, del 25 di gennaio dell’anno 2012: Ci viene spesso dalle esperienze di mare, perché il mare ha baratri imprevisti e quindi ferree leggi, la sapienza del comando. Quest'arte ruvida, che in democrazia è sempre guardata con un po' di diffidenza, quasi fosse arte legale ma non del tutto legittima.
C'è diffidenza perché l'immaginario democratico è colmo di miraggi: là dove governa il popolo ognuno è idealmente padrone di sé, e fantastica di poter fare a meno del comando. Nella migliore delle ipotesi parliamo di responsabilità, che del comando è la logica conseguenza, in qualche modo l'ornamento. Ma la responsabilità è obbligo di ciascuno, governanti e governati. Il comando ha un ingrediente in più, un occhio in più: indispensabile. Ancora una volta dal mare, dunque, ci giunge in questi giorni un esempio di cosa sia questo mestiere che impaura ed è al contempo profondamente anelato: il mestiere di guidare gli uomini nelle situazioni-limite, quando tutto, salvezza o disastro, dipende da chi è al comando, sempre che qualcuno ci sia. (…). Ma in Italia la questione è incandescente, perché sono in tanti a reagire alla (…) severità dello Stato con la fuga o lo scompiglio. Non che sia mancata, per anni, la voce dei padroni. Ma non era intimazione, la loro: era intimidazione, al tempo stesso strillata e sterile. Abbiamo udito l'urlo di chi s'indigna e l'urlo di chi dall'alto dei propri scranni insulta, lancia ukase, grida menzogne per difendere gli interessi propri o dei propri clan. Per oltre un decennio abbiamo vissuto in mezzo a indistinte cacofonie: (…), con le rivolte antistataliste che straripano, la potenza accumulata dalla cultura dell'urlo. (…). Chi ha letto Joseph Conrad sa le grandezze e i segreti fardelli del comando. Quasi tutti i suoi romanzi ruotano attorno a questa vocazione, che mette alla prova e decide chi sei, se vali oppure no. Anche qui, niente di eroico. Ecco il protagonista di Tifone: «Il capitano MacWhirr, del piroscafo Nan-Shan, aveva, per quanto concerne l'aspetto esteriore, una fisionomia che rispecchiava fedelmente l'animo suo: non presentava alcuna distinta caratteristica di fermezza o di stupidità; non aveva caratteristiche pronunciate d'alcun tipo; era soltanto comune, insensibile e imperturbabile». Il comando non è solo imperio della legge, rule of law. C'è un elemento aggiuntivo, che nasce dal carisma (la gravitas degli antichi latini) che il comandante possiede o non possiede. In democrazia è dura arte anche per questo, perché la gravitas ha qualcosa di aristocratico, di insensibile: la schiviamo, se possibile. Invece ce n'è bisogno, perché sempre possiamo incrociare una crisi, un'emergenza, ed è qui che servono le forze congiunte del comando, dell'imperio della legge e del carisma. Torniamo ancora a Conrad, quando narra la nostra Linea d'ombra: d'un colpo scorgiamo innanzi a noi «una linea d'ombra che ci avverte che la regione della prima giovinezza, anch'essa, la dobbiamo lasciare addietro». Il protagonista del racconto affronta a quel punto la massima prova esistenziale: l'esercizio del comando. Alcuni soccombono: è il caso di Lord Jim, che tutta la vita pagherà il prezzo – in dolore, rimpianto, vita d'angoscia – del peccato originale commesso quando abbandonò la nave. La linea d'ombra, in Italia, è come se non la scorgessimo mai. C'è qualcosa di ostinatamente minorenne, nel nostro rapporto con l'autorità, la legge, lo Stato. Stentiamo a capire una cosa, dell'ordine dato in nome del bene pubblico: il comando è quello che ci protegge dall'esplosione dell'urlo scomposto, dal caos propizio allo Stato d'eccezione. Fu con l'urlo che Hitler s'affacciò al mondo: la democrazia di Weimar non era stata capace di comando. Kurt Tucholsky, scrittore veggente, descrisse fin dal '31 quel che nel futuro dittatore più spaventava: «Non l'uomo in sé, che non esiste. Ma il rumore, che egli scatena». Stentiamo a capire soprattutto in Italia, perché siamo da poco una nazione e ogni comune, ogni corporazione, usa urlare più che dirigere. Fellini descrisse questa cacofonia anarcoide – era il '79, dilagava il terrorismo – nell'apologo Prova d'Orchestra. Il tema cruciale era il comando: in che condizioni è esercitato, come degenera in urlo, e perché degenera. L'Italia benpensante accolse il film con enorme diffidenza, sospettò nell'autore buie propensioni fascistoidi. Fellini le aveva messo davanti uno specchio, perché contemplasse i suoi vizi, e gli italiani voltarono la faccia sdegnati. Il film non perse mai da noi un odore di zolfo che altrove non ebbe. «Tutto è prova d'orchestra», disse il regista. E sulla pellicola capimmo perché la prova falliva: ogni violinista, flautista, clarinettista, pensava agli affari suoi, alcuni addirittura erano armati e ciascuno aveva a fianco un sindacalista tutore. (…). Non dimentichiamo la fine del film di Fellini: il direttore d'orchestra che non ha saputo comandare esplode in urla scomposte, mescolando vocaboli italiani e parole d'ordine naziste. «Estrema pazienza e estrema cura», questo il comando secondo Conrad: oltrepassata la linea d'ombra, sempre possiamo mancare la prova, sottrarci al dovere di portare la nave sana e salva in porto. (…).

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