Da “L’eurozona
in dieci anni sparirà se ora non siamo capaci di agire”, intervista di
Carlos Yarnoz al ministro francese titolare dell’Economia Emmanuel Macron, pubblicata
sul quotidiano la Repubblica del 10 di luglio dell’anno 2015: (…). Dopo
11 mesi al ministero dell’Economia, e con i suoi 37 anni di età, pensa che
continuerà a far politica? «Mi piace quello che faccio, che è cambiare tante
cose. Questa tappa mi dà l’opportunità di cambiare linee di lavoro, di
riformare e di tentare anche una rinnovazione ideologica della sinistra in
Europa. Mi interessa un’apertura, una modernizzazione, una trasformazione
ideologica della sinistra».
Qual è oggi il ruolo di questa sinistra? «Essere
di sinistra, essere socialdemocratico, significa essere in grado di
modernizzare l’economia dando importanza alla giustizia sociale. Nel caso della
Francia apportare investimenti adeguati, mantenere l’occupazione, eliminare i
blocchi».
Il Partito socialista sta cambiando? «È
quello che spero».
Da socialdemocratico a social-liberale? «Io
spero che si trasformi in socialdemocratico ».
I suoi critici dicono che lei è liberale. «Le
etichette contano poco, mi lasciano indifferente. E io mi assumo le
responsabilità fino in fondo. Non bisogna stare nell’ambiguità. Il liberalismo
politico è un elemento della sinistra. La sinistra è il partito
dell’emancipazione e della libertà, in coordinamento con la solidarietà.
Altrimenti, la sinistra si trasforma in un partito conservatore».
Come descriverebbe la situazione in Europa? «L’Europa
vive un momento di verità storica. Nei nostri Paesi, perché dobbiamo fare
riforme. Per noi stessi e per l’Europa. In Francia certamente. Senza una
Francia forte, non ci sarà una politica europea costruttiva di livello. È il
momento della verità perché la zona euro mette a nudo le ambiguità che furono
accettate dieci anni fa».
Le ambiguità della moneta unica. «Sì,
abbiamo condiviso una moneta mentre le divergenze economiche si allargavano. Le
nostre economie si sono allontanate, così come i nostri popoli. Dopo il no di
Francia e Olanda alla Costituzione europea, dieci anni fa, non ci sono stati
progressi significativi nell’Unione Europea. La crisi greca è il sintomo di un
problema molto più profondo. Il sintomo che la zona euro non ha i mezzi per
arrivare fino in fondo. Non ha creato i meccanismi di solidarietà che devono
accompagnarsi a una zona monetaria. È un progetto politico che ha finito per
essere solo un’area valutaria. Abbiamo messo in grande pericolo l’Eurozona.
L’uscita dall’euro della Grecia non sarebbe solo un errore economico, ma anche
politico. Non fare tutto il possibile perché la Grecia resti nella zona euro
equivale ad accettare una retrocessione dell’Europa».
E Syriza come ha gestito il problema? «In
Francia c’è una visione romantica. Il discorso della solidarietà dev’essere
accompagnato da quello della responsabilità. Dobbiamo affrontare le radici,
l’origine del problema della moneta unica. Per questo ho fatto delle proposte
insieme al ministro tedesco Sigmar Gabriel. Abbiamo proposto dei percorsi.
Soprattutto c’è bisogno di un programma di convergenza dell’economia, del
fisco, del mercato del lavoro, c’è bisogno di un modello sociale, di politiche
di solidarietà».
La Francia oggi esercita il peso che le
spetta nell’Unione Europea? «La Francia deve giocare un ruolo storico. Dobbiamo
avanzare. Dobbiamo costruire con altri Paesi un progetto rinnovato, che vada
oltre la crisi greca».
E quale dev’essere, ora, la soluzione per la
Grecia? «Un compromesso. Con riforme ambiziose da parte della Grecia, ma senza
distruggere l’economia del Paese, che ha sofferto molto per colpa dell’austerità.
La Grecia deve approfondire le sue riforme strutturali. Più competitività non
significa più austerità. E sarà necessario alleggerire il peso del debito per
non affogare l’economia greca. E anche investimenti importanti, perché saranno
fondamentali per sostenere la crescita».
Lei ha puntato subito sulla necessità di non
rompere il dialogo e non pretendere un nuovo Trattato di Versailles con Atene. «Abbiamo
scartato subito questo rischio e ho detto che bisognava tenere aperta la porta
della negoziazione, del dialogo. È necessario per Tsipras e per l’Europa. Ha
vinto il no e Tsipras non è stato arrogante. Tsipras si è comportato
intelligentemente proponendo di tornare al tavolo delle trattative. È
importante riannodare il dialogo».
Ma lei è stato anche molto critico con
Syriza. «Sì. La sfida oggi consiste nell’aiutare la Grecia senza generare in
altri Paesi che hanno fatto sforzi, come la Spagna o il Portogallo,
l’impressione che tutto è più facile se si fa la voce grossa. È una cosa molto
importante per me, e per questo ho usato parole dure con Syriza, che non sempre
si è mostrata pienamente cooperativa. So già che quello che dico a molti non
piace, ma credo che abbia commesso un errore di fondo. Qualcuno pensa che per
difendere la Grecia nell’euro si debba giudicare Tsipras un eroe straordinario.
Non è così ».
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