"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 31 gennaio 2017

Cronachebarbare. 42 “I mediocri sono al potere”.



Del tempo dei “mediocri” al potere ce ne rendeva una plastica, pietosa rappresentazione il compianto Alberto Statera che sul settimanale “A&F” del 10 di aprile dell’anno 2016 andava scrivendo nel Suo intramontabile, magistrale come sempre, “pezzo” che ha per titolo “Renzi e la scelta di una squadra senza qualità”: È di pessimo gusto maramaldeggiare, come alcuni stanno facendo, su Federica Guidi che si è dimessa da ministro dello Sviluppo economico per la desolante vicenda del petrolio in Basilicata. Ma la sua vicenda è la storia di un modo di governare invalso negli ultimi due anni con il governo di Matteo Renzi. Non il governo dei migliori, ma il governo delle personalità deboli, inadeguate, incapaci, incolte di politica, scelte appunto per la loro mediocrità. Fantasmi che affollano il personale deserto decisionale del premier senza reali deleghe, affollato però spesso in ruoli ambigui da vecchi sodali, parenti e affini toscani, fino a costruire una torre barocca di inefficienza.  (…). Ma, (…), il problema non è tanto la Guidi, quanto il ruolo generalmente docile, a dir poco, di gran parte dei ministri della repubblica in carica. Fino a pochi giorni fa se telefonavi al ministero dello Sviluppo economico per qualunque cosa ti sentivi rispondere di rivolgerti a palazzo Chigi. E chi credete che si sia occupato direttamente di Alitalia, Ilva, Sblocca Italia e degli altri dossier importanti? Non certo l’ex ministro dell’Industria. L’unico ministro che all’atto dell’insediamento ebbe uno sprazzo di sincerità fu Marianna Madia, classe 1980, che – forse aiutata da qualcuno nella scelta delle parole – certificò: “Porto in dote la mia straordinaria incompetenza”. Si è visto che aveva ragione. Quanto a Maria Elena Boschi se ne è parlato pure troppo, per lei bastano perciò due parole pronunciate da Massimo Cacciari a chi gli chiedeva un giudizio: “Sarò misericordioso”. E tacque. Tra gli ectoplasmi ministeriali non si può non citare Stefania Giannini. Ma anche per evitare accuse di sessismo, la lista si può ben allungare al maschile: per cominciare, da Gian Luca Galletti, ministro dell’Ambiente, dal ministro dei Beni Culturali Enrico Franceschini, succube di Salvo Nastasi, vice segretario generale di Renzi a palazzo Chigi e commissario per Bagnoli, che il premier avrebbe voluto sindaco di Napoli. E che dire del ministro dell’Interno Angelino Alfano? Viene in mente Diego Della Valle che una volta disse: “Ho incontrato cinque ministri, di cui due bravi e tre emeriti deficienti.” Le riunioni del Consiglio dei ministri, se si potesse origliare, devono essere uno spettacolino da non perdere: cinque minuti e via. Il presidente pontifica, il povero Galletti prova quasi sempre a dire qualche parola, ma viene subito zittito. E tutti a casa. Povera Guidi, stavolta è toccata a lei, ma il problema è un altro: se una squadra senza un leader non è un bene – ha segnalato Eugenio Scalfari – un leader senza squadra è peggio. Per non dimenticare mai ad imperitura memoria quel ministro della istruzione, della università e della ricerca – l’avvocato Mariastella Gelmini - che al tempo andato dell’egoarca di Arcore era riuscita a scavare con i fondi del suo ministero – e ne menava vanto sulla Rete: “Alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso attraverso il quale si è svolto l’esperimento, l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro”, riportato su “La Stampa” del 24 di settembre dell’anno 2011 - un tunnel dalla Svizzera del Cern – l’acceleratore di particelle – al Gran Sasso giusto per rendere più veloce quell’accelerazione. Cose da matti? No, da inadeguati. O da “mediocri”? E poi c’è stato il pietoso caso del Giuliano Poletti che la dice tutta sulla inadeguatezza del personale politico al tempo dei “mediocri” al potere. Ma dov’è che la inadeguatezza di quella “accozzaglia”, così accuratamente e colpevolmente scelta, si salda con la mediocrità dei restanti esseri umani? È pur certo che al potere “tout court”, come il “potere” vissuto nel ventennio dell’egoarca di Arcore sino al “potere” imposto dall’uomo venuto da Rignano sull’Arno, circondarsi di inadeguati ma ancor più di “mediocri” è stato funzionale ed ha rappresentato l’esatta immagine della mediocrità che sembra universalmente dominare e che è molto utile al “mediocre” dominante. È per tale motivo che i Poletti e soci – ed in passato i già nominati - trovano gli spazi per occupare indebitamente gli scranni del “potere” del “mediocre-capo” di turno.
Ha sostenuto in “Tutto il potere ai mediocri” – pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 20 di gennaio 2017 - il filosofo canadese Alain Deneault che «non c’è stata nessuna presa della Bastiglia, niente di paragonabile all’incendio del Reichstag, e l’incrociatore Aurora non ha ancora sparato un solo colpo di cannone. Eppure di fatto l’assalto è avvenuto, ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere». Alla domanda dell’intervistatrice Anais Ginori “In quale momento storico ha inizio la Mediocrazia?” il filosofo ha risposto: «È interessante vedere quando nasce la parola. Una prima descrizione degli esseri mediocri è fatta da Jean de La Bruyère nel Settecento. Nella sua galleria di caratteri descrive Celso, un uomo che ha scarsi meriti e non possiede abilità particolari ma riesce a farsi strada tra i potenti grazie alla conoscenza di intrighi e pettegolezzi. Nell’Ottocento il mediocre ha nuove pretese: non è solo in cerca di favoritismi e compiacenze, ma tenta di essere protagonista nel mondo politico, culturale, scientifico. È in quel momento che appare il termine mediocrazia. Ne parla ad esempio il poeta Louis Bouilhet citato da Gustave Flaubert, denunciando la “cancrena” della società». Ed è a questo punto dell’interessantissima intervista che ho cercato la risposta al mio dilemma, ovvero in qual punto l’inadeguatezza scivoli e si assimili alla “mediocrità”. Chiede l’intervistatrice: “Il mediocre è un uomo senza qualità?”. Il filosofo ha così risposto: «Non per forza. Mediocre è chi tende alla media, vuole uniformarsi a uno standard sociale. In breve: è il conformismo. Robert Musil diceva: “Se la stupidità non somigliasse così tanto al progresso, al talento, alla speranza o al miglioramento, nessuno vorrebbe essere stupido”. Esistono mediocri di talento. Un tecnico delle luci di una tv commerciale può essere bravo e dedito quanto uno del Piccolo di Milano. Anzi, spesso serve ancor più impegno, dedizione. La Mediocrazia riconosce alcuni meriti, ma solo alcuni». E così mi sono arrovellato al fine di dipanare l’intricata matassa. Andando sul sito www.etimo.it – Dizionario etimologico online - alla parola “mediocre” ho trovato: “lat. Mediocrem da medius (che è in mezzo); che è di mezzo tra gli estremi; che sta fra il molto e il poco, fra il grande e il piccolo, fra il buono e il cattivo; dicesi piuttosto di proprietà astratte che non di quantità o di sito”. È quanto è bastato che leggessi per capire che al “potere dei mediocri” sono bastevoli, anzi ne avanza pure, “il poco, il piccolo, il cattivo”. Non ci resta che godere del rimanente della intervista:
È un golpe invisibile, senza dover sparare un colpo. «L’ingranaggio sociale si è attivato con la prima rivoluzione industriale. Karl Marx l’aveva intuito. Il capitale ha reso i lavoratori insensibili al contenuto stesso del lavoro. La mediocrazia è l’ordine in funzione del quale i mestieri cedono il posto a una serie di funzioni, le pratiche a precise tecniche, la competenza all’esecuzione pura e semplice. Il lavoro diventa solo un mezzo di sostentamento, con una progressiva perdita di soggettività. Una situazione che provoca malessere sociale».
Negli anni Ottanta la fine ideologie e il trionfo del neoliberismo segnano una nuova svolta: è così? «Già prima, nel Dopoguerra, si sviluppa il concetto di governance con la comparsa di grande aziende e multinazionali, poi mutuato da alcuni leader politici come Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Nella governance la misura dell’efficacia è la salute del settore economico e finanziario. Così muore la politica, cancellata dai diktat manageriali. Basta osservare il linguaggio nel dibattito pubblico. Non parliamo più di popolo ma di società civile, i cittadini diventano partner, riprendendo appunto un lessico del settore privato anche nella politica e le relazioni sociali. E oggi vediamo Emmanuel Macron che si vanta di essere pragmatico, sentiamo parlare di realismo da parte di Manuel Valls. Nel 2012 François Hollande si è fatto addirittura eleggere con lo slogan di “Presidente normale”».
Perché ha deciso di scrivere un libro su questo tema? «Abbiamo davanti problemi troppo gravi: il riscaldamento climatico, l’inquinamento atmosferico, il crollo delle istituzioni pubbliche. Ci sono tante e tali minacce che non possiamo accontentarci di affidare il potere a capetti senza visione e senza convinzioni. Siamo a una svolta, un momento in cui la gente soffre nel doversi piegare a norme sbagliate. Le nostre società sono piene di persone che finiscono in depressione, vanno avanti con gli psicofarmaci. Ci sentiamo oppressi da strutture sociali vessatorie, alienanti. Siamo sottoposti a una dittatura soft della norma, dello standard unico. E se non ci adeguiamo veniamo rigettati, espulsi. In sintesi: la governance è la teoria, la mediocrazia è la modalità. E l’estremo centro è l’ideologia».
L’estremo centro? Che intende? «La mediocrazia fa sì che non ci sia più molta differenza tra Donald Trump e Alexis Tsipras. In ogni caso si applica un solo programma: sempre più capitali per le multinazionali e i paradisi fiscali, meno diritti per i lavoratori, meno soldi per il servizio pubblico. Queste scelte vengono presentate come ineluttabili e soprattutto come ragionevoli. Chi non si vuole allineare viene trattato da irragionevole, pericoloso, non realista. L’estremo centro cancella la distinzione tra destra e sinistra, si presenta come visione unica ed esclusiva, esprimendo intolleranza per tutto ciò che tenta di rappresentare un’alternativa. E non può essere messo in discussione anche se è distruttore dal punto di vista ambientale, socialmente iniquo e intellettualmente imperialista».
Non esiste nessuna alternativa, come diceva Thatcher? «L’alternativa che si profila in questo momento all’estremo centro è il ritorno a metodi di governo violenti, brutali, una sorta di ritorno alle origini dello Stato primitivo. E quello che vediamo con i vari Trump, Le Pen. È una differenza di tono, di immagine. In Canada abbiamo avuto come premier Stephen Harper, che era più a destra di certi Repubblicani americani, e ora abbiamo il giovane liberal Justin Trudeau. Ma è un cambio apparente. Uno è arrabbiato, l’altro sorride sempre. Alla fine il programma, e gli interessi rappresentati, sono gli stessi».
Lei denuncia l’ascesa degli “esperti” nel mondo accademico e nei media. Cosa rimprovera loro esattamente? «L’esperto è una figura centrale della mediocrazia: si sottomette alle logiche della governance, sta al gioco, non provoca mai scandalo, insegue obiettivi. È la morte dell’intellettuale, (…). Si tratta di un sofista contemporaneo, retribuito per pensare in una certa maniera, che lavora per consolidare poteri accademici, scientifici, culturali. I veri intellettuali seguono interessi propri, curiosità non dettate a comando, possono uscire dal gioco. Un giovane ricercatore universitario ha davanti a sé un bivio. Se vuole essere semplicemente un esperto ha buone possibilità di fare carriera, ottenere una cattedra, finanziamenti. Se ha il coraggio di restare un intellettuale puro avrà un futuro molto più incerto. Magari non finirà assassinato come Rosa Luxembourg o incarcercato come Antonio Gramsci, ma non è più certo di poter diventare un professore come Saïd o Noam Chomsky. Ha buone chances di restare precario tutta la vita».
Quali sono le reazioni possibili per combattere la mediocrazia? «(…). C’è chi rifiuta le facezie e le aberrazioni della società contemporanea e si mette in disparte: è l’uomo che dorme, come diceva Georges Perec. Esiste il mediocre per difetto, che subisce tutte le menzogne, soffre in silenzio ma si consola quando vince la sua squadra del cuore o può progettare una vacanza al mare. La vera piaga è il mediocre zelante, maestro del compromesso: il presente gli somiglia, il futuro gli appartiene. Poi c’è il mediocre per necessità, consapevole della situazione ma che tiene famiglia, non può permettersi il lusso di uscire dai ranghi. E infine ci sono i fustigatori della mediocrazia: sono pochi, ma possono tentare di allearsi con i mediocri in disparte e quelli per necessità. La loro unione può portare alla nascita di movimenti come Occupy o le Primavere arabe. Nonostante mille difetti queste insurrezioni tentano di sovvertire le fondamenta delle istituzioni mediocratiche. E magari altri mediocri, fiutando il vento, potrebbero allora decidere di unirsi a loro per conformismo. È già successo. L’abbiamo visto negli anni Sessanta e Settanta, quando molte persone sono diventate fintamente di sinistra».

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