Da “Chi ha
paura delle tigri di carta?” di
Umberto Eco, riportato in “Pape Satàn Aleppe” – “La nave di Teseo” Editrice
(2016), pagg. 469, € 20 – alle pagine 374-376: Agli inizi degli anni Sessanta
Marshall McLuhan aveva annunciato alcuni cambiamenti profondi nel nostro modo
di pensare e di comunicare. Una delle sue intuizioni era che stavamo entrando
in un villaggio globale e certamente nell’universo di Internet si sono avverate
molte delle sue previsioni. Ma, dopo aver analizzato l’influenza della stampa
sull’evoluzione della cultura e della nostra stessa sensibilità individuale con
“La galassia Gutenberg”, McLuhan aveva annunciato, con “Understanding Media” e
altre opere, il tramonto della linearità alfabetica e il predominio
dell’immagine - ciò che, ipersemplificando, i mezzi di massa avevano tradotto
come “non si leggerà più, si guarderà la tv (o le immagini stroboscopiche in
discoteca)”. Mcluhan muore nel 1980, proprio mentre
stanno facendo il loro ingresso nel mondo di tutti i giorni i personal computer
(ne appaiono modelli poco più che sperimentali alla fine dei Settanta, ma il
mercato di massa inizia nel 1981 con il Pc Ibm), e se fosse vissuto qualche
anno in più avrebbe dovuto ammettere che, in un mondo apparentemente dominato
dall’immagine, si stava affermando una nuova civiltà alfabetica: con un
personal computer o sai leggere e scrivere, o non combini un gran che. È vero
che i bambini d’oggi sanno usare un iPad anche in età prescolare, ma tutta
l’informazione che riceviamo via Internet, e-mail e Sms, sono basati su
conoscenze alfabetiche. Col computer si è perfezionata la situazione
preconizzata nel “Nostra Signora di Parigi” di Hugo dal canonico Frollo il quale,
indicando prima un libro e poi la cattedrale che vedeva dalla finestra, ricca
di immagini e altri simboli visivi, diceva «questo ucciderà quello». Il
computer certamente si è dimostrato strumento da villaggio globale con i suoi
link multimediali, ed è capace di far rivivere anche il “quello” della
cattedrale gotica, ma si regge fondamentalmente su principi neo-gutenberghiani.
Ritornato
l’alfabeto, con l’invenzione degli e-book si è però profilata la possibilità di
leggere testi alfabetici non sulla carta ma su uno schermo; da cui una nuova
serie di profezie sulla scomparsa del libro e del giornale (in parte suggerita
da alcune flessioni nelle vendite). Così uno degli sport preferiti di ogni
giornalista privo di fantasia è da anni domandare a uomini di penna come vedono
la scomparsa del supporto cartaceo. E non basta sostenere che il libro riveste
ancora un’importanza fondamentale per il trasporto e la conservazione
dell’informazione, che abbiamo la prova scientifica che sono meravigliosamente
sopravvissuti libri stampati cinquecento anni fa, mentre non abbiamo prove
scientifiche per sostenere che i supporti magnetici attualmente in uso possano
sopravvivere più di dieci anni (né possiamo verificarlo, dato che i computer di
oggi non leggono più un floppy disk degli anni Ottanta). Ora
però ecco alcuni avvenimenti sconcertanti di cui hanno dato notizia i giornali,
ma di cui non abbiamo ancora colto il significato e le conseguenze. Ad agosto
Jeff Bezos, quello di Amazon, si è comprato il “Washington Post” e, mentre si
conclama il declino del quotidiano di carta, Warren Buffett di recente ha
collezionato ben 63 quotidiani locali. Come osservava recentemente Federico
Rampini su “Repubblica”, Buffett è un gigante della Old Economy e non è un
innovatore, ma ha un acume raro per le opportunità d’investimento. E pare che
verso i quotidiani si muovano anche altri pescecani della Silicon Valley.
Rampini
si chiedeva se il botto finale non lo faranno Bill Gates o Mark Zuckerberg
comprandosi il “New York Times”. Anche se questo non avverrà, è chiaro che il
mondo del digitale sta riscoprendo la carta. Calcolo commerciale, speculazione
politica, desiderio di preservare la stampa come presidio democratico? Non mi
sento ancora di tentare alcuna interpretazione del fatto. Mi pare però
interessante che si assista a un altro ribaltamento delle profezie. Forse Mao
aveva torto: prendete sul serio le tigri di carta.
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