"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 18 gennaio 2017

Scriptamanent. 63 “Alienazione e lavoro”.



Da “Perché insieme al lavoro si perde l’identità” di Umberto Galimberti, sul settimanale “D” del 18 di gennaio dell’anno 2014: Scriveva il filosofo Günther Anders: «La vera domanda non è cosa possiamo fare noi con la tecnica, ma che cosa la tecnica può fare di noi». Siamo nell'età della tecnica, anche se la maggior parte delle persone non ne è del tutto consapevole e pensa di vivere ancora in un mondo umanistico, dove l'uomo è il soggetto e il responsabile delle proprie decisioni e delle proprie azioni. (…). …l'età umanistica è definitivamente conclusa. La tecnica non è l'insieme degli strumenti, come solitamente si crede. Questa semmai è la tecnologia. La tecnica è la forma più alta di razionalità raggiunta dall'uomo, più alta ancora della razionalità dell'economia, che soffre ancora di una passione umana, la passione per il denaro, da cui la tecnica è esonerata. La razionalità della tecnica è stata definita "strumentale" perché consiste nel raggiungere il massimo degli scopi con l'impiego minimo dei mezzi. A questa razionalità sono sottomessi, per usare un'espressione hegeliana, sia il "signore" sia il "servo", che non sono più due volontà contrapposte, perché hanno entrambi come controparte la razionalità del mercato. Questa è la ragione per cui non si dà più lotta di classe e tantomeno rivoluzioni. In un sistema regolato dalla razionalità tecnica l'identità di ciascuno è data dal proprio ruolo. Non è un caso che quando incontriamo una persona sappiamo qualcosa di lui non quando ci dice il suo nome, ma quando ci dà il suo biglietto da visita in cui è scritta la sua funzione. Infatti tra i valori della tecnica, oltre all'efficienza e alla produttività, troviamo la funzionalità, cioè l'idoneità di una persona a ricoprire al meglio la funzione che gli è stata assegnata, finché quella funzione è ritenuta indispensabile.
Inseriti come siamo in apparati tecnici, che sono tanto le fabbriche quanto gli uffici, la scuola, gli ospedali, che hanno in vista solo le "funzioni" previste dalla razionalità tecnica e non le "persone" con le loro identità, inclinazioni, vocazioni e aspirazioni, le persone che non si attagliano perfettamente con efficienza e produttività alle funzioni per le quali sono previste (funzioni che vengono sempre modificate o soppresse in base alle esigenze della razionalità del mercato) vengono dimesse, ricollocate o sottodimensionate. E siccome l'esclusione degli apparati tecnici equivale a un'esclusione sociale, è ovvio che le persone finiscono col trovare la propria identità nel ruolo che stanno svolgendo, dove un riconoscimento in carriera rafforza la loro identità così come un ridimensionamento la indebolisce. Persino la nostra libertà finisce col dipendere dal ruolo, perché più libero sarà chi ha più competenza nei vari ruoli in termini di mansioni e di linguaggi. Così la "libertà personale", nell'età della tecnica si è ridotta a una "libertà di ruolo". Parola che deriva dal rotolo di pergamena sul quale l'attore leggeva la sua parte. Nell'età della tecnica il ruolo è la condizione della formazione dell'identità della persona. Crediamo di essere più liberi dei nostri predecessori che vivevano nell'età umanistica, invece siamo, a nostra insaputa e con la nostra adesione, in una condizione dove la nostra identità ci viene concessa dal ruolo che l'apparato tecnico d'appartenenza ci assegna. Altro che "società liquida" come dice Bauman: la nostra società è molto più cementata di quanto non fosse la società delle generazioni che ci hanno preceduto.

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