«Aspettando il “Big crunch”», testo di Dennis Overbye pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 22 di giugno dell’anno 2025: La fine sta arrivando, forse tra 100 miliardi di anni. È troppo presto per iniziare a dare di matto? «Ci sarà un ultimo essere senziente, ci sarà un ultimo pensiero», dice Janna Levìn, cosmologa del Barnard College, verso la fine di A Trip to Infinity, un nuovo documentario Netflix diretto da Jonathan Halperin e Drew Takahashi. Quando ho sentito questa affermazione durante una recente proiezione del film, mi si è spezzato il cuore. Era l'idea più triste e solitaria che avessi mai contemplato. Pensavo di essere consapevole e informato sulla nostra situazione cosmica: se ciò che pensiamo di sapere sulla fisica e la cosmologia è vero, la vita e l'intelligenza sono condannate. Ma questo era un punto di vista a cui non avevo mai pensato prima. A un certo punto nel futuro, in qualche parte dell'universo, ci sarà un ultimo essere senziente. E un ultimo pensiero. E quell'ultima parola, per quanto profonda o banale, svanirà nel silenzio insieme al ricordo di Einstein ed Elvis, Gesù, Buddha, Aretha ed Eva, mentre i resti dell'universo fisico continueranno a navigare separati per miliardi e miliardi e miliardi di anni. Quell'ultimo pensiero sarà una profonda perla di saggezza? Un'imprecazione? Come siamo finiti in questo pasticcio noi esseri umani? L'universo come lo conosciamo ha avuto origine in un'esplosione di fuoco 13,8 miliardi di anni fa e da allora continua a espandersi. Gli astronomi hanno discusso per decenni se avrebbe continuato ad espandersi all'infinito o se un giorno sarebbe collassato di nuovo in un big crunch. Tutto è cambiato nel 1998, quando gli astronomi hanno scoperto che l'espansione cosmica stava accelerando, spinta da una forza antigravitazionale che fa parte del tessuto dello spazio-tempo. Più l'universo diventa grande, più questa "energia oscura" lo spinge via. Questa nuova forza ha una sorprendente somiglianza con la costante cosmologica, una repulsione cosmica che Einstein aveva proposto come fattore di correzione nelle sue equazioni per spiegare perché l'universo non collassava, ma che in seguito aveva rifiutato come un errore. Ma la costante cosmologica si è rifiutata di morire. E ora minaccia di distruggere l'universo. Alla fine, se questa energia oscura prevarrà, le galassie lontane finiranno per allontanarsi così velocemente che non potremo più vederle. Più il tempo passa, meno sapremo dell'universo. Le stelle moriranno e non rinasceranno. Sarà come vivere all'interno di un buco nero rovesciato, che risucchia materia, energia e informazioni oltre l'orizzonte, senza mai tornare indietro. Peggio ancora, poiché pensare richiede energia, alla fine non ce ne sarà abbastanza nell'universo per sostenere un pensiero. Alla fine ci saranno solo particelle subatomiche che danzano a distanze intergalattiche l'una dall'altra in un silenzio oscuro, trilioni e trilioni di anni dopo che nell'universo ci fu luce o vita. E poi, altri innumerevoli trilioni di eoni, fino a quando non sarà più possibile contare gli anni, come ha descritto in modo così elegante e devastante Brian Greene, il famoso teorico e autore della Columbia University, nel suo recente libro Unti! the End o/Time (Fino alla fine del tempo). È difficile non voler urlare di fronte alla nostra insignificanza in tutto questo. L'universo come lo conosciamo oggi ha quasi 14 miliardi di anni, che sembrano tanti, ma sono solo una minuscola frazione dei trilioni e quadrilioni di anni di oscurità che ci attendono. Ciò significa che tutto ciò che è interessante nel nostro universo è accaduto in un breve istante, all'inizio. Un inizio promettente, seguito da un abisso eterno. Cosa facciamo con un universo come questo? Si potrebbe obiettare che è troppo presto per prevedere il futuro dell'universo. Nuove scoperte nel campo della fisica potrebbero fornire una via di fuga. Ma per ora, questo è ciò che ci aspetta. Tra un miliardo di anni circa, quando il Sole avrà fatto evaporare gli oceani, saremo fritti. Qualche miliardo di anni dopo, il Sole stesso morirà, bruciando la Terra e tutto ciò che rimarrà di noi. Non c'è scampo nello spazio. Le galassie stesse collasseranno in buchi neri. E i buchi neri finiranno per rilasciare tutto ciò che hanno imprigionato sotto forma di un sottile spruzzo di particelle e radiazioni, che saranno disperse dal vento prevalente dell'energia oscura. E così, proprio come c'è stato un primo essere vivente, da qualche parte, in qualche momento, che è emerso dallo splendido bagliore del Big Bang, ci sarà un ultimo essere vivente che morirà, un ultimo pensiero. Un ultimo essere senziente, come ha sottolineato la cosmologa Levin. È stata questa idea a scuotermi. Non mi era mai venuto in mente che un singolo essere avrebbe avuto l'ultima parola sull'esistenza, l'ultima possibilità di maledire o di essere grato. Parte del dolore sta nel fatto che nessuno saprà chi o cosa avrà avuto l'ultima parola, o cosa avrà pensato o detto. In qualche modo questa idea ha reso l'estinzione cosmica più personale, e mi sono chiesto come sarebbe stato. Forse, mentre tutta l'energia svanisce all'orizzonte, sarà come addormentarsi. O come Einstein che mormora le sue ultime parole in tedesco a un'infermiera che non conosceva la lingua. O il computer alla fine dei tempi nel classico racconto di Isaac Asimov “L'ultima domanda”, che finalmente scopre il segreto dell'universo e dichiara: «Sia la luce». Potrebbe essere una brillante intuizione sulla natura della teoria delle stringhe o il segreto finale sui buchi neri? Non vorrei perdermelo. Mi piace pensare che il mio ultimo pensiero sarebbe di amore, gratitudine o stupore, o che riguarderebbe il volto di una persona cara, ma temo che sarebbe un'imprecazione. Le persone più sagge di me, quando parlo di questo, mi chiedono perché non mi lamento dei miliardi di anni trascorsi prima della mia nascita. Forse è perché allora non sapevo cosa mi stavo perdendo, mentre ora ho avuto tutta la vita per immaginare cosa mi perderò. Se questo vi preoccupa, ecco una metafora incoraggiante tratta direttamente dalle equazioni di Einstein: quando ci si trova all'interno di un buco nero, la luce proveniente dall'universo esterno sembra accelerare mentre resti congelato. In linea di principio, potreste vedere tutta la storia futura della galassia o persino dell'intero universo sfrecciare davanti a voi mentre cadete verso il centro, la singolarità dove lo spazio e il tempo si fermano e voi morite. Forse la morte potrebbe essere così, una rivelazione di tutto il passato e il futuro. Piuttosto che lamentarsi della fine del tempo, la maggior parte dei fisici e degli astronomi con cui parlo dicono che questa idea è un sollievo. La morte del futuro li libera e permette loro di concentrarsi sulla magia del momento. Il grande astrofisico, filosofo e divulgatore dei buchi neri John Archibald Wheeler, dell'università di Princeton, diceva che il passato e il futuro sono finzione, che esistono solo nei manufatti e nell'immaginazione del presente. Secondo questo punto di vista, l'universo finisce con me, quindi in un certo senso ho l'ultima parola. «Niente dura per sempre» è una massima che vale per il mercato azionario e le stelle, così come per le nostre vite e i dipinti di sabbia buddisti. Un soffio di eternità può illuminare un'intera vita, forse anche la mia. Qualunque cosa accada nei secoli infiniti a venire, almeno noi siamo stati qui per la festa, per quel breve frammento di eternità in cui l'universo brulicava di vita e luce. Avremo sempre la Via Lattea.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
mercoledì 2 luglio 2025
MadreTerra. 48 Dennis Overbye: «Mi piace pensare che il mio ultimo pensiero sarebbe di amore, gratitudine o stupore, o che riguarderebbe il volto di una persona cara, ma temo che sarebbe un'imprecazione. Le persone più sagge di me mi chiedono perché non mi lamento dei miliardi di anni trascorsi prima della mia nascita».
Alzi
la mano chi, dopo quel che è accaduto ad Aurelia, non avrebbe immediatamente
mollato. Immaginatevi di essere una ragazza, poco più che ventenne, che per via
di quelle paure e quelle pulsioni interne dovute all'inazione per il clima,
oppure per l'ecoansia di cui soffre, dopo un lungo percorso finalmente si
decide e partecipa alla sua prima azione di Extinction Rebellion: passano pochi
minuti, lei sta semplicemente distribuendo volantini e viene subito fermata
dalle forze dell'ordine. Si becca un foglio di via dalla città in cui studia e
rischia una denuncia: «Sono andata nel panico» dice. In molti, forse, avrebbero
deciso di chiuderla lì, di smetterla di inseguire il sogno di poter cambiare le
cose. Invece no, Aurelia Cagnazzo, 24 anni, di Latina, non ha mollato: «Ho trasformato
il panico in rabbia e la rabbia in volontà e partecipazione». E così oggi è
ancora lì, tra le fila di Extinction Rebellion Torino, la città dove da cinque
anni studia Lettere e dove vorrebbe per ora continuare a vivere, sempre se un
domani non diventerà «una profuga ambientale», dice con un sorriso a metà,
perché in fondo il rischio lo sente davvero. Aurelia, prima ancora di essere
una attivista, come si definisce lei stessa è una persona «normale con una vita
normale». Fin da bambina però scalpitava per la necessità di impegnarsi in qualcosa.
«Sono cresciuta in una famiglia attenta ai temi ambientali, ma in realtà la
questione climatica l'ho scoperta solo nel tempo. Già a 10 anni, però, avevo
alcune idee chiare: per esempio a quell'età sono diventata vegetariana
iniziando un percorso ai tempi molto individuale, lontano dalla visione
sistemica che ho sviluppato adesso». Dal Lazio si è spostata in Piemonte per
studiare ed è al primo anno di università che si imbatte nei movimenti verdi:
«Era il periodo dei grandi scioperi per il clima, come quelli di Fridays For
Future. Era bello, c'erano le piazze piene, e io che avevo un percorso con
qualche passaggio nei collettivi partecipavo a quei cortei volentieri. Ma come
per i collettivi prima avevo sempre la sensazione di non sentirmi efficace, che
forse lo facevo per me, ma non per un riscontro sociale». In
lei però matura l'idea che proprio l'inefficacia dei governi nel gestire la
crisi climatica, che nel frattempo si fa sempre più visibile tra alluvioni e
ondate di calore, sia un tema da cui «ripartire», che possa davvero «unire le
persone». Per ogni unione, però, serve l'amore: il suo, da lì a poco, i sarà
per Extinction Rebellion. «Ho sempre avuto un legame con la natura, sono
cresciuta in una casa piena di animali e faccio attenzione alle questioni
ecologiche, però non sono quella che potrebbe vivere in una casa in campagna isolata
per sempre. Al contrario, mi piace ragionare sulla società, sui suoi equilibri
e sull'idea di combattere il continuo sfruttamento umano delle risorse, come
quello degli allevamenti intensivi o delle industrie che creano distruzione e
sono specchio di un sistema ingiusto dove la natura, gli animali e la Terra
sono trattati come territori da saccheggiare. Ma per poter sviluppare questi
temi, mi mancava il colore, o forse l'amore che ho poi provato per Extinction
Rebellion». L'amore si concretizza un paio di anni fa: «Avevo letto un articolo
in cui raccontavano il movimento e mostravano foto di persone in festa,
colorate, che si battevano per il clima. Un metodo di lotta nuovo, direi. Li
stavo seguendo da un po' a Torino finché un amico di Extinction Rebellion
Svezia mi ha invitato ad un aperitivo con ragazze e ragazzi del movimento.
All'inizio ero molto titubante, mi piaceva però la loro visione globale sulle
ingiustizie climatiche e sociali». Una prima "cotta", perché l'amore
vero scatta nella maniera più inaspettata. «La miccia direi che è stata la mia
prima azione: erano passate solo due settimane da quell'incontro e mi ero
convinta a dare una mano distribuendo volantini in piazza a Torino. Sono stata
fermata e mi sono presa un foglio di via. Davanti a quella conseguenza legale
la risposta di Extinction Rebellion è stata di grande accoglienza, mi hanno
aiutata a gestire la cosa, mi sono sentita tutelata e sostenuta. E allora, sapendo
di non essere una persona pericolosa, ho capito che quella repressione metteva
in luce che il sistema se la prendeva con le persone sbagliate e soprattutto
che la disobbedienza civile funziona, è capace di scoprire i nervi, di far
riflettere le persone sul clima. Era scattato l'amore, la voglia i di
impegnarmi ancora con Extinction Rebellion". Ovviamente però quando a
vent'anni si rischia una denuncia, all'inizio è dalla famiglia che ti rifugi.
«Con alti e bassi, come accade a tutti. Mia madre (…) viene da un passato nei
movimenti sociali: mi ha sempre detto che con la giustizia lei non aveva mai
avuto problemi, ma che dovevo capire cosa volevo e quanti rischi ero disposta a
prendermi. Alla fine, mi ha aiutata a comprendere
che volevo combattere per quello in cui credevo». Oggi Aurelia è impegnata
costantemente con Extinction Rebellion. Se fa l'attivista è sia perché «mi
piace il processo di chiamata alla partecipazione del movimento dove, dalle
riunioni ai ruoli, propone la società che vorrei: poche gerarchie e molte
responsabilità. Sia perché sono convinta che la disobbedienza civile aiuti le
persone a riflettere sulla crisi climatica». In quello che fa è determinata, ma
continua a soffrire di ecoansia, soprattutto se guarda avanti. «Non so
esattamente cosa sia, ma più che altro ho difficoltà ad immaginare il futuro: è
una grande nebulosa, fatta di instabilità politica e ambientale. Uscita dal
cinema, guardando "Siccità" di Virzì, continuavo a pensare quanta
fatica faremo nel tempo ad accedere alle risorse. In alcune parti del mondo è
già così. Anche qui inizia ad accadere: la neve ormai la producono i cannoni,
sia il Po che la Dora per la maggior parte del tempo sono in secca. Non credo
che dovrò aspettare molto: in cinque anni Torino - dove già ora l'estate è
invivibile - cambierà. In futuro forse anche io sarò una profuga ambientale». Eppure,
nonostante ansie e preoccupazioni, da quel giorno dei volantini, per Aurelia è
scattato anche altro, l'idea che l'incertezza sarà meno tale se trasformata in
impegno. «Sì, provo rabbia e preoccupazione, ma la sfida è trasformarle in
rumore e colore nelle strade per essere ascoltati, per far capire anche ad
altri per cosa lottiamo. Ripeto, siamo persone normali che però hanno fatto una
scelta: quella di non vivere nella paura e di fare qualcosa per un futuro
migliore. Come? Prendendo gli strumenti della democrazia e usandoli per coinvolgere
sempre più persone. (Tratto
da “Quando l’ecoansia si trasforma in
impegno”, conversazione curata da Giacomo Talignani pubblicata sul
periodico “Green&Blue” del 22 di aprile dell’anno 2024).
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