"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 24 luglio 2025

Lastoriasiamonoi. 81 Ernst Junger: «La creazione viene trasferita dall'eterno all'infinito, dall'uno alla statistica dei grandi numeri. Ciò che in essa è prodigio diviene zero».

Sopra, l'antico borgo di San Gregorio nel Comune di Capo d'Orlando (Sicilia). Foto di Massimo Collica.

24 luglio. Ci svegliammo meravigliosamente ritemprati nelle forze. Il pericolo c'era sempre, eravamo ignari della nostra posizione, molto istanti dalla terraferma, con cibo sufficiente per una quindicina di giorni, quasi non avevamo acqua, eravamo in balia dei venti e delle onde, e a bordo del più malandato relitto di tutti i mari. E ciò nonostante, le pene e i pericoli di gran lunga più terribili, dai quali ci eravamo provvidenzialmente liberati, ci inducevano quasi a considerare le nostre attuali sofferenze come cosa di poco conto - tanto sono relativi il bene e il male. (Tratto da “Le avventure di Arthur Gordon Pym” – 1838 – di Edgar Allan Poe).

StorieDall’Isole”. 1 “Quella sirena misteriosa”: Ero in Sicilia, nel giardino di una nobile villa. Gli eredi decaduti della gattopardesca aristocrazia facevano gli onori di casa come diversamente non avrei potuto aspettarmi.  Con cortesia magniloquente e prolissa parlavano, nel gesto formale di accogliere l'ospite, soltanto di sé. Uno dopo l'altro, davanti a una platea che in larga parte sarebbe stata anche curiosa d'altro - lo intuivo da qualche colpo di ventaglio, qualche sospiro, qualche sguardo al cielo - avevano tuttavia a cuore un'unica cosa. Dirsi e dire la magnificenza dei loro antenati dunque la loro, il privilegio di avere in sorte - in dote, come rendita - cotanta gloria. Privilegio qui, in questa occasione, democraticamente condiviso con un pubblico borghese. Che generosità. Ad un tratto, nel bel mezzo di questa rilevantissima esperienza antropologica che stavo gustando come un seminario sull'umano, è comparsa una giovane donna di abbacinante bellezza. Una bellezza - di gesti, di parola, di armonia - così assoluta e indiscutibile, un metro così implacabile dell'altrui modestia da risultare spaventosa. Difatti spaventava, ammutolendo uomini e donne folgorati dal desiderio e dall'inaccessibilità evidente della pretesa. Lei, scalza, camminando come al suono di una danza, si è avvicinata. L'uomo, il nobile erede, aveva appena presentato un'altra giovane donna come "la dottoressa" tal dei tali. Quando la statua, misteriosa sirena, si è manifestata nel suo campo visivo dopo un momento di rimbalzo dall'effetto su di lui prodotto, ha detto: «E questa è G.». La giovane donna ha sorriso, «Anche io sono una dottoressa», ha cantato parlando. Si è fatto silenzio. Si è di seguito da sola presentata, con semplicità e precisione: poco più che ventenne, storica dell'arte laureata in Italia e perfezionata all'estero, borsista di ricerca, curatrice di non ricordo quali e quante collezioni. Ero anche io abbacinata, distratta dalla sua persona e dunque parzialmente disattenta alle parole. Sono siciliana, ha anche detto - questo lo ricordo. La mia famiglia è di qui. G. ha poi svolto una serie di mansioni a lei assegnate, nella serata, sempre seguita dallo sguardo all'unisono della platea intera. La vera erede di principi e principesse che lì abitarono, ora fantasmi. La sera sono andata a cercare sue notizie su internet. Ha la pelle d'ebano, liscia e lustra come una pietra levigata, e parla con precisione e misura, di quanto vivere "in un contesto di razzismo sistemico" possa essere complicato, per una giovane donna siciliana che non riesce "a comprendere come una carnagione possa far pensare a una nazionalità diversa da quella italiana". Ho seguito le sue storie, i suoi progetti, i suoi scritti di studiosa e le sue foto di ragazza. L'allegria con gli amici, la sua passione, le statue i dipinti le collezioni d'arte, la sua fatica. Casa sua, il posto dove torna dai viaggi. Questo posto. Dove la semplice evidenza del suo esistere, del suo camminare magnetico tra due ali di persone, ammutolisce e sgomenta. Non mi è mai stata così chiara, G., la potenza dello sguardo intriso di razzismo. Hanno paura, soprattutto. È evidente. Lo sapevo ma l'ho visto. Grazie. So che non ti farai spaventare. Sei tu, la più potente.

StorieDall’Isole”. 2 “Il viaggio di Kristos”: Arkì somiglia agli avamposti descritti da Melville. Un'isola che «non è segnata in nessuna carta» perché «i luoghi veri non lo sono mai». Arkì è un'idea, un'astrazione, un minuscolo punto nel Dodecaneso. Ci vivono meno di 40 persone impegnate nella pesca, nella pastorizia e nella coltivazione ostinata che prova a farsi strada tra le rocce bruciate dal sole e dal vento. Gli uomini più vecchi di Arkì, i volti verghiani di cui a forza di affastellare le stagioni come grano e metterle in cascina non si distingue più l'età, ancora ricordano gli italiani che la occuparono in qualche fallimentare avventura espansionistica nei decenni in cui ci si affacciava dai balconi proprio come oggi si arringa il popolo dai 15 centimetri scarsi di un telefonino. Ad Arkì i telefoni prendono con fatica perché il tempo scorre più lentamente che altrove e alla lunga l'abitudine finisce per trasformarsi in indifferenza, pesca, pastorizia e ritmi indotti dal calare o dal sorgere del sole. Un paradiso. Una prigione. Un luogo in cui vivere e morire dimenticando il resto del mondo o una piattaforma da cui partire per scoprire cosa c'è al di là della linea dell'orizzonte anche se capire cosa sia davvero un orizzonte quando intorno si scorge solo l'acqua è una questione complessa. Un'isola è quel posto che si può considerare tale solo se si vede dal mare. Un'isola come Arkì è un'isola nell'isolamento. Negli 80, quando le fotografie erano già a colori, la scuola elementare aveva 12 bambini. Negli scatti i bambini sorridono dietro la bandiera nazionale. Oggi ne conta zero, quel numero e quel modello in cui secondo Junger: "La creazione viene trasferita dall'eterno all'infinito, dall'uno alla statistica dei grandi numeri. Ciò che in essa è prodigio diviene zero". Kristos Kobosos, l'ultimo studente dell'isola, ha avuto il coraggio di evadere dal proprio destino, essere l'eccezione, «fare un passo in più», spostarsi nella vicina Patmos, salutare suo padre Mihalis con una stretta di mano in cui il rimpianto per il passato e lo sguardo sul futuro somigliano a un passo omerico e dividere un dormitorio con un'altra quarantina di ragazzi e ragazze come lui per provare a essere quell'ottimo studente di Botanica o di Agraria che Maria, la sua insegnante, sognava diventasse. Prima degli anni trascorsi insieme, in una classe, da soli, Kristos aveva altri progetti: «Appartengo a una grande famiglia di 7 persone, ho 4 fratelli più grandi di me e voglio bene a mia madre e a mio padre. È un uomo forte ed è il più alto dell'isola. È moro e ha la faccia bruciata dal sole, occhi marroni e un bel sorriso ampio che spicca sempre sotto i suoi folti baffi. Come tutti in famiglia, come il bisnonno ed il nonno, mio padre è un pastore. In primavera, con il latte dei nostri animali, produce formaggio: da grande vorrei assomigliargli». È andata diversamente perché l'incontro tra Maria e Kristos e le parole della prima: «La vita non è solo una collina con le capre», hanno lentamente suggerito al ragazzo che un altro futuro, un futuro diverso da qualsiasi altro membro della sua famiglia fosse possibile. Kristos che all'inizio della propria parabola diceva soltanto «buongiorno» ha imparato che le parole, le stesse parole che nei film di Angelopoulos i poeti compravano al porto in cambio di un obolo per costruire il comune linguaggio della Nazione, valgono. La Grecia è un frammento di un discorso amoroso. Un grido che si perde nella distanza che la geografia ha imposto a un popolo che del viaggio e dell'incertezza ha fatto la propria Costituzione non scritta. La storia di Kristos, (…) mi è tornata in mente pensando alla Grecia. Ne sappiamo poco o niente. Un pareo, una taverna o un traghetto sul quale saliamo, come Kristos, per andare oltre, nascondendoci che presto e tardi torneremo nella nostra isola immobile.

N.d.r. I testi sopra riportati sono a firma, rispettivamente, di Concita De Gregorio e di Malcom Pagani e sono stati pubblicati sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 19 di luglio 2025.

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