"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 30 aprile 2024

MadeinItaly. 11 R.V.: «Ho imparato a trattare con i talebani che mettevano il Kalashnikov sul tavolo, ogni parola una minaccia. Figuriamoci se mi impressionano le chiacchiere della politica».


(…). …citazione di Thomas Mann, da Doctor Faustus: “Per chi è di idee progressiste la parola e il concetto di ‘popolo’ conservano un che di arcaicamente apprensivo. Egli sa che basta apostrofare la folla chiamandola ‘popolo’ per indurla a malvagità reazionarie… Lo strato arcaico c’è in ognuno di noi, e non credo sia la religione il mezzo più adeguato per tenerlo sotto chiave. A tale scopo servono la letteratura, la scienza umanistica, l’ideale dell’uomo libero e bello”. Quel libro è stato scritto negli ultimi due anni della Seconda Guerra, e pubblicato nel ’47. In quanto intellettuale e in quanto antinazista (esule negli Stati Uniti), Thomas Mann è ampiamente sospettabile di essere stato un radical chic ante litteram. Ma l’idea che solo letteratura e scienza umanistica possano salvare gli umani dal loro “strato arcaico” lo qualifica, più precisamente e con il senno di poi, come un rivoluzionario. E la sedicente Giorgia, ma già lo si sapeva, come una reazionaria, che dello “strato arcaico” ha fatto il suo motore politico. Chi vincerà? Golia, ovvero il populismo, o Davide, ovvero la democrazia? (Tratto da “Giorgia e Thomas Mann” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, 30 di aprile 2024).

«Vannacci, il nulla contundente che rischia di “grigliare” Salvini», testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 29 di aprile ultimo: Il cefalo Salvini naviga in superficie e ancora non lo sa, ma Roberto Vannacci, la nuova felpa elettorale della Lega, esperto pescatore di Versilia è pronto a cucinarselo sulla prossima brace di Bruxelles con il ricco contorno delle sue buie idiozie. Se incasserà tanti voti quanti libri veduti, e quante pernacchie ricevute, diventerà lui il generale della Lega, tanti saluti al cefalo che tornerà a spiaggiarsi come ai tempi comici del Papeete, estate 2019, senza neanche le pupe in tanga a saltellare sulle note dell’inno di Mameli. Se invece la sua incursione politica risulterà una grottesca esercitazione d’improperi senza incremento elettorale, bè, saranno i colonnelli della Lega, specialmente i veneti e i lombardi, a accendere sul pratone di Pontida il fuoco della congiura secessionista per fare la festa a quel che resterà di Salvini, un segretario pronto per il ripostiglio delle scope. E forse anche un ex ministro da incorporare ai 143 costosissimi progetti del Ponte sullo Stretto, destinati da mezzo secolo al macero. Dopo 250 mila libri venduti e altrettante interviste – ultimissime perle “le scuole separate per i disabili”, e “Mussolini statista” – Vannacci s’è finalmente sfilato la vestaglietta a fiori che esibiva lo scorso Capodanno a Viareggio, per indossare i panni del candidato alle prossime Europee. Circostanza che tutti i giornali analogici, digitali, televisivi, psicosociali, hanno collocato subito dopo la notizia del Papa al prossimo G7 a dire quanto le gerarchie della politica e del buon senso stiano annegando nel marasma dell’indistinto culturale. Candidato sicuro di sé oltre ogni ragionevole dubbio, il capomanipolo degli incursori, conquisterà il seggio per avere detto e scritto il nulla contundente che fiorisce tra i tavolini dei bar della Nazione, quando passa lo Spritz a innaffiare le chiacchiere che dal trifoglio del moderatismo conformista si voltano nella gramigna reazionaria con attitudini aggressive. Apre il catalogo “il sacro suolo della Patria”. “L’ho difesa sotto i colpi del mortaio e della mitraglia”. Nessun sacrificio è troppo grande, compreso quello della “leva obbligatoria” per gli smidollati ragazzi italiani “che non sanno cosa sia la vita”, avendo “rinunciato alla virilità”. Dopo la patria vengono il Dio degli eserciti e la famiglia della tradizione. Dunque cristiani sempre. E abbasso la cultura gender, gli uomini con le gonne, i trans, gli omosessuali, che “mi dispiace, ma non sono normali”, detto da uno che si definisce “un maschio testosteronico”. Segue un inchino a tutte le donne, ci mancherebbe, che devono fare le donne e possibilmente i figli. Guai alle femministe che “sono fattucchiere” di cultura “difforme” e che rivendicano l’aborto come un diritto, invece di riconoscerlo come “una infelice necessità”. Massima allerta sugli immigrati “che sono troppi”, disturbano l’unicità dei popoli che altrimenti “diventano paccottiglia”: “Quanti ne vogliamo, cinque milioni, dieci milioni, e poi?”. La paccottiglia comprende i neri di pelle, ovvio. “L’italiano è bianco, lo dice la statistica”. Quindi la nerissima Paola Egonu, è fuori dalla statistica anche se indossa la maglia di pallavolista nazionale: “I suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità”. Che invece scalda il cuore del generale – proprio come fa l’Aperol nello Spritz – dove sgocciola un intero sussidiario di antenati: “Ritengo che nelle mie vene scorra una goccia di sangue di Enea, Romolo, Giulio Cesare, Dante, Fibonacci, Lorenzo De’ Medici, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Mazzini, Garibaldi”. Anche se Giulio Cesare, Leonardo, Michelangelo – il generale non lo sapeva prima che l’avvertissero del misfatto – appartengono tutti a quelle “lobby gay” che tanto gli stanno sul testosterone. Militare di carriera figlio di militari, Roberto Vannacci nasce il 20 ottobre 1968 a La Spezia. Cresce a Ravenna. Ma specialmente a Parigi dove vede per la prima volta esseri viventi di colore nero rimanendo colpito dal “netto contrasto con il bianco dei loro bulbi oculari”. Passato lo stupore, “i neri smisero di incuriosirmi”, ricorda, anche perché “tra i marmocchi con cui mi arruffavo” nei cortili di Parigi, ce n’era più di qualcuno. Straniero tra gli stranieri “mi sono sempre considerato diverso rispetto al contesto nel quale vivevo”. Da lì, il crescente amor di patria: “Ero italiano e ne facevo un punto di orgoglio”. Indossa presto la divisa. Studia Scienze strategiche e Relazioni diplomatiche. Entra nei corpi speciali. Si laurea atleta di guerra. Va in missione in Somalia, Ruanda, Yemen, Costa d’Avorio, Iraq, Libano, Libia, Afghanistan, dove i nostri miliari, secondo i telegiornali italiani, fanno buona diplomazia, portano giocattoli e pennarelli ai bimbi indigeni. Scala la gerarchia fino alla nomina di generale della Brigata paracadutisti della Folgore, anno 2016. Tre anni dopo entra in urto con le gerarchie militari sul tema spinoso dei proiettili all’uranio impoverito, veleno per i soldati nei teatri di guerra. Vannacci non sta zitto, accusa l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone di avere mentito alla Commissione parlamentare presieduta da Gian Piero Scanu, deputato pd, minimizzando i danni dell’uranio sui fronti dell’Iraq e dei Balcani. Da qui la ruggine con lo Stato maggiore e pure con Guido Crosetto, che invece le armi le coccola da molto prima di fare il ministro della Difesa. Tra una guerra e l’altra si sposa con Camelia, ragazza rumena, fa due figlie, oggi adolescenti. Quando non gira il mondo, vive a Viareggio, patria della anarchia e opportunamente del carnevale in maschera. Va in palestra, prende il sole ai bagni Balena. Ha pochi amici, niente cene, niente salotti. Fino a un anno e mezzo fa non lo conosceva nessuno. Oggi – per colpa sua e nostra – traversa la Passeggiata a cavallo della sua fama. Tutti stupiti che dalla massima riservatezza, sia passato ai fuochi d’artificio di generale Tempesta. Dal silenzio, alla prosopopea che esibisce in tv. Lui fa gli occhi dell’uomo saputo: “Ho imparato a trattare con i talebani che mettevano il Kalashnikov sul tavolo, ogni parola una minaccia. Figuriamoci se mi impressionano le chiacchiere della politica”. Quelle ce le mette il povero Salvini, quando lo difende per difendere sé stesso. Al generale basta e avanza il Kalashnikov. A noi i popcorn.

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