"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 29 aprile 2024

MadeinItaly. 10 Tomaso Montanari: «Il francobollo di Giovanni Gentile non celebra il passato: indica un progetto politico».


(…). Il ministro per il Made in Italy Urso - tra una gaffe e un viaggio d’affari dai simpatici pasdaran iraniani - ha invocato «la memoria collettiva da ricomporre, per gli 80 anni dall’assassinio di Gentile come per i 100 da quello di Matteotti». Ecco: Gentile come Matteotti, e la memoria della nazione è ricomposta. Nossignori, non ci sto. Ho cognizioni insufficienti sul filosofo idealista, ho dubbi consistenti sul riformatore scolastico. Ma qui voglio ricordare “l’altro” Giovanni Gentile. L’interventista convinto sulla Prima guerra mondiale. L’estimatore di Mussolini, al quale il 31 maggio 1923 scrive «mi sono dovuto persuadere che il liberalismo… non è oggi rappresentato in Italia dai liberali, che sono più o meno apertamente contro di Lei, ma per l’appunto da Lei». Il solerte ministro della Pubblica Istruzione nel governo fascista tra il 1922 e il 1924, responsabile di persecuzioni politiche, licenziamenti e prepensionamenti forzosi contro gli insegnanti antifascisti. L’iscritto al Pnf, l’ideatore del Manifesto degli intellettuali fascisti e il fondatore dell’Istituto Nazionale Fascista di Cultura, nel 1925. Il promotore del “giuramento di fedeltà” al regime, obbligatorio per tutti i docenti universitari. Il direttore scientifico dell’Enciclopedia Italiana, che nel 1933 rassicura il Duce sul fatto che a nessun non iscritto al Pnf «è dato inserire una sola parola nel testo». L’organizzatore della Conferenza di Roma con il ministro tedesco Hans Frank, esponente di spicco del nazismo, cui il filosofo tributa pubblicamente la sua «piena adesione». L’osservatore silente sulle leggi razziali del 1938. E infine il fedele sostenitore della Repubblica di Salò nel novembre 1943, e l’ammiratore di Adolf Hitler, elogiato in un discorso ufficiale del 19 marzo 1944 come «Condottiero della Grande Germania». Sette gappisti lo attesero davanti alla sua villa fiorentina, giusto un mese dopo, e con le pistole nascoste dentro i libri lo freddarono per strada. Fu un delitto efferato e sbagliato, allora, tanto che il Cln toscano disapprovò l’agguato. Ma io oggi - a costo di deludere Urso e di tradire la “memoria collettiva” - il suo francobollo non lo compro. (Da “Quel francobollo io non lo compro” di Massimo Giannini, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 26 di aprile 2024).

“Il martire Giovanni Gentile: revisionismo da francobollo”, testo di Tomaso Montanari pubblicato si “il Fatto Quotidiano” di oggi, lunedì 29 di aprile 2024: A ottant'anni dalla morte è necessario, e importante, continuare a studiare la figura di Giovanni Gentile: filosofo, primo ministro della Pubblica istruzione del governo Mussolini e, lungo tutto il Ventennio, complessa figura di punta della cultura del regime fascista. Recentemente, su Jacobin, Andrea Mariuzzo ha ben argomentato intorno al fatto che "con tutte le sue sfaccettature, la vicenda di Giovanni Gentile è un esempio di come i protagonisti dei nodi più complessi e profondi della storia non siano addomesticabili a esercizi di celebrazione - né attraverso statue, né con più semplici francobolli - o di condanna". Eppure, oggi il primo governo della Repubblica guidato da un partito di matrice fascista lo celebra appunto con un francobollo. È il secondo dedicato a Gentile: il primo fu emesso, nel 1994, dal primo governo della storia repubblicana in cui sedessero ministri di matrice fascista. Oggi il governo Meloni lo fa ricordando esplicitamente, con una scritta sul francobollo stesso, Gentile anche come ministro, e dunque celebrando anche, indirettamente, il governo a cui apparteneva: quello nato dalla violenza della Marcia su Roma, e dal tradimento costituzionale del re Savoia. Il governo illustra il francobollo celebrativo definendo l'uccisione del gerarca un "assassinio" o un "omicidio": una scelta lessicale che secondo Casa Pound farebbe onore a chi la usa. Ma Gentile fu giustiziato da un partigiano che venne poi insignito della medaglia d'oro: ritenerlo un assassino significa ribaltare la storia, riassegnando i ruoli dei "buoni" e dei "cattivi". Come ha scritto lo storico Filippo Focardi, "considerato il ruolo di primo piano svolto da Gentile durante il fascismo e il suo impegno a favore della Repubblica sociale, la scelta dei partigiani di colpirlo non pare priva di motivazioni nel contesto della guerra civile allora in corso". Personalmente concordo, ma altri giudizi sono naturalmente possibili: quel che non dovrebbe essere possibile è che il governo della Repubblica assuma su questo nodo storico un suo punto di vista ufficiale, che peraltro coincide con quello fascista e repubblichino. Ma perché, invece, si espone a farlo? Per tentare di imporre (usiamo le parole che tutta l'estrema destra europea sottrae ad Antonio Gramsci) una "egemonia culturale", indicando Gentile come modello di intellettuale volontariamente asservitosi a un governo (e, ovviamente, non ad uno qualsiasi...). Gentile è una figura tragica di liberale che entra nel governo Mussolini ponendo l'ipocrita condizione che le libertà politiche non vengano toccate: e che, una volta inserito nella macchina del potere, accetta invece progressivamente ogni scelleratezza, dall'assassinio di Matteotti alle Leggi razziste, dall'alleanza con Hitler alla Repubblica Sociale. La figura ideale, dunque, da opporre agli intellettuali critici, non disposti ad accettare nomine in musei o biennali, non disposti a diventare costruttori e organizzatori del consenso al potere. Una figura terribilmente attuale ora che si tenta di mettere guinzaglio e museruola all'autonomia e alla libertà delle università. Subito dopo il celebre discorso del 3 gennaio 1925 in cui Mussolini si assume la responsabilità dell'assassinio di Giacomo Matteotti, un Gentile non più ministro, ma capo della commissione per la riforma fascista dello Stato, si scontra, in Senato, con l'ex rettore della Sapienza Sanarelli, il quale dice: "L'Università dovrebbe essere l'asilo inviolabile della cultura, del lavoro scientifico e dell'educazione nazionale, ma anche per questo la responsabilità, oltre che sulla politica generale del Governo, ricade anche personalmente sullo stesso ex ministro Gentile, che in un altro dei suoi infelicissimi discorsi da neofita del fascismo, pronunciato il 24 aprile 1924 all'Università di Genova, osò dire che  i professori devono entrare" nell'aula universitaria portandosi tutta la loro anima fascista per trasfonderla negli studenti". Per tutta risposta, il senatore Gentile grida: "E lo ripeto!". Sarà proprio Gentile (in un articolo del 1929 dal titolo Il fascismo e l'università) a lanciare l'idea del giuramento di fedeltà al fascismo dei professori universitari, quel giuramento che poi ebbe effettivamente luogo nel 1931, e fu rifiutato solo da 12 su 1.200 cattedratici circa. Ad alcuni di coloro che non giurarono (come ad altri colleghi antifascisti presenti, per esempio, nella Normale di cui fu direttore) Gentile offrì solidarietà personale e una limitata libertà, ma in pubblico continuò a sostenere la necessità di una piena genuflessione dell'università al potere fascista, lodando in più di un discorso le virtù persuasive del manganello. Ed è questo il punto: in un momento in cui il governo di matrice fascista occupa tv e cultura pubblica; censura, minaccia e querela gli intellettuali; manganella gli studenti, e avvisa i rettori che l'università non è zona franca, il francobollo di Giovanni Gentile non celebra il passato: indica un progetto politico.

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