“Guerra&Carnefici”. “Chi ha ucciso la pace in 12 mesi di guerra” di Barbara Spinelli pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 17 di febbraio 2023: Invece di insistere come ebeti su una distinzione del tutto scontata – il 24 febbraio 2022 ci fu un aggressore e un aggredito in Ucraina – converrebbe cominciare a porsi qualche domanda magari scomoda ma utile. La più ovvia concerne l’opportunità di inviare a Kiev armi sempre più offensive, che troncano ogni trattativa. La risposta a questa domanda è negativa: è ormai evidente che accrescere l’armamento ucraino non genera tregue, ma aumenta il numero di morti e la possibilità di un conflitto nucleare. Per le industrie belliche occidentali è una manna, ma non per i cittadini, né aggrediti ucraini né europei, che pagano il prezzo della guerra. La seconda domanda riguarda le ragioni del conflitto.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
venerdì 24 febbraio 2023
Memoriae. 35 “24.02.2022/24.02.2023 La guerra di Putin& Zelensky”
Sopra. Febbraio 2022. La cittadina ucraina Olena Kurylo. Oggi vive in Polonia.
Dopo i negoziati con Gorbaciov del 1991 e negli anni che
vanno dalla Rivoluzione delle Rose in Georgia nel 2003 a quella Arancione in
Ucraina del 2014, è stato fatto tutto il necessario, per rassicurare Mosca che
pure aveva sciolto l’Urss aprendosi all’Occidente? Niente affatto, visto che
dopo poco tempo l’Occidente decise, per volontà degli Stati Uniti e dell’Est
europeo, di espandere la zona di influenza Usa-Nato fino alle porte russe. La
menzogna più dura a morire è quella che ritrae Vladimir Putin nelle vesti di
zar imperiale. I veri imperiali sono gli occidentali, guidati da Washington. È
ormai palese che l’ottocentesca dottrina Monroe (nessuna interferenza è
tollerata nelle aree attorno agli Usa) si applica oggi all’Europa sino alle
frontiere russe. Non aver capito che tale estensione ha non solo infranto le
promesse fatte a Gorbaciov nel ’91, ma ha rappresentato una micidiale
provocazione è il peccato originale dell’Occidente. Mosca è l’aggressore e Kiev
l’aggredito, ma questo non implica che la guerra fosse “non-provocata” e
inevitabile. Terza domanda, legata alla seconda: i giornali europei mainstream
hanno fatto abbastanza per capire le radici della guerra cominciata nel 2014 in
Donbass, ben prima del febbraio 2022? La risposta è no. I media scritti e
parlati non fanno il loro mestiere di cani da guardia. Non sono al servizio dei
cittadini-lettori, ma degli interessi geostrategici Nato. Esercitandosi in
censura e autocensura giungono sino ad accusare di disinformazione uno dei
massimi giornalisti occidentali – Seymour Hersh, premio Pulitzer, noto per aver
rivelato la strage di My Lay del 1968, i retroscena dell’assassinio nel 2011 di
Bin Laden, le torture nelle carceri di Abu Ghraib nella guerra in Iraq – che
l’8 febbraio ha svelato con dovizia di fonti gli autori – governo Usa, aiutato
da Norvegia e Svezia – del sabotaggio che nel giugno scorso ha distrutto i due
gasdotti Nord Stream. Fu un atto di guerra preparato molti mesi prima del 24
febbraio ’22, e scatenato non solo contro Mosca, ma anche contro la Germania e
contro i rapporti energetici Europa-Russia (uno degli obiettivi è facilitare la
dipendenza Ue dal gas liquefatto Usa). Le rivelazioni sono occultate non solo
da giornali e Tv, ma anche da Facebook, dove la notizia viene segnalata come
fake news (segnaliamo che il fact checker di Facebook per l’Italia è Open di
Enrico Mentana). Hersh è accusato di nascondere le fonti. Sappiamo che fine
farebbero queste ultime, se rivelate: la fine di Snowden e Assange. La domanda
da porsi dentro questa terza domanda è se i cittadini siano pronti a proteste
massicce, come fecero per il Vietnam e un po’ per l’Iraq (non per le guerre di
Corea o Afghanistan). La risposta è no, anche se i popoli europei sono ostili
all’escalation militare. I cittadini che non si sentono più rappresentati
smettono oggi di votare, forse immaginando che il messaggio sarà compreso. Non
lo sarà. Il non ascolto dei cittadini è oggi la norma gradita da Nato, Ue,
governi e lobby militari. Quarta domanda: l’Europa si è impegnata sovranamente
nel conflitto, oppure partecipa alla guerra per servitù volontaria nei
confronti degli Stati Uniti? Tutto fa propendere per la seconda ipotesi. Una decisione
che sia sovrana in stato di emergenza, cioè libera di difendere i propri
interessi geostrategici, implica un calcolo dei danni che possono derivare da
un impegno bellico prolungato: crisi economica, prezzi energetici devastanti,
crisi della rappresentanza democratica, impossibilità di un accordo mondiale
sul clima. Nell’ottica Usa questa guerra è intesa a facilitarne altre, a
cominciare da quella con la Cina su Taiwan (già programmata per il 2025, ha
annunciato il 27 gennaio il generale dell’aviazione Usa Minihan). Infine la
quinta domanda, cruciale. Ci si è sforzati in Europa di capire le motivazioni
degli Stati Uniti, così lontani dalla zona di guerra? Vincere, per i neocon
Usa, significa neutralizzare Mosca in vista dello scontro decisivo con Pechino,
e per riuscire Washington ha bisogno di rianimare l’Alleanza atlantica e
accrescere il peso nell’Ue di Stati più atlantisti che europei (Polonia,
Baltici, Nord Europa). Questa battaglia il governo Usa la sta vincendo. Sta
adoperando gli europei come pedine nel suo Grande Gioco inteso a vendere armi,
gas ed esercitare un’egemonia planetaria che produce solo caos. Lungo
quest’anno è apparso che almeno in due occasioni Biden determinò l’escalation
di un conflitto che poteva essere evitato, o quantomeno abbreviato. Abbiamo
accennato alla distruzione dei gasdotti, che ha demolito i legami
Russia-Europa. Ma c’è stato anche un costante boicottaggio dei negoziati. Lo ha
rivelato l’ex premier israeliano Naftali Bennett, in un video del 4 febbraio
scorso. Il 5 marzo 2022, Bennett incontrò Putin e ottenne il sì di Mosca e Kiev
a una serie di condizioni. Putin disse che avrebbe rinunciato al disarmo di
Kiev e alla denazificazione (dunque all’uccisione di Zelensky: Zelensky ne gioì
e uscito dal bunker proclamò: “Io non ho paura!”). Zelensky
offrì la non adesione alla Nato. La mediazione di Bennett fallì, nonostante
l’evidente “pragmatismo di Putin che capiva totalmente le costrizioni politiche
di Zelensky” e il pragmatismo parallelo di Kiev. Poi ci fu il massacro da Bucha
e “a quel punto – così Bennett – non c’era più nessuno pronto a pensare in
maniera non ortodossa (out of the box)”. Su spinta di Biden e Boris Johnson
prevalse la “legittima decisione degli occidentali di continuare a colpire
Putin (…), non so se avevano ragione (…). Hanno bloccato la mediazione (…).
Pensai che era sbagliato (…). Dopo molti anni Biden ha creato un’alleanza
contro l’aggressore: nella percezione generale i riflessi sono palesi su arene
come Cina e Taiwan. Credo davvero che esistesse una chance per il cessate il
fuoco”. Se Washington ha vinto questo primo round, non è così per l’Europa: del
tutto incapace di sovranità, essa è la retroguardia degli Usa. E a dominare non
è l’asse franco-tedesco, ma l’asse Polonia-Baltici-Usa (la “Nuova Europa”
esaltata da Rumsfeld nella guerra d’Iraq). Quanto alla Russia, indebolita dalle
sanzioni, dovrà tollerare la dipendenza da Pechino. Ma resiste più
efficacemente di noi alle strategie punitive, come testimoniano i preziosi
documentari girati per Tv Loft da Alessandro Di Battista nelle terre russe.
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