"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 5 febbraio 2023

Piccolegrandistorie. 40 Piccola “mia” Città.


PiccolaMiaCittà” 1. Ha scritto Daria Galateria in “La scoperta di Catanzaro” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 24 di dicembre dell’anno 2020: Catanzaro piaceva moltissimo ad Alberto Savinio, il grande pittore e scrittore. «È città rupestre e a pan di zucchero, come Orvieto in Umbria e Avranches in Normandia...» ne scrive, nonostante abbia da anni ritrosia a parlare di città, dopo un articolo su Napoli che gli è costato – causa incauto riferimento a moglie di prefetto, correndo l’anno XVII dell’Era Fascista – l’interdizione dal giornalismo, e, per la rivista, la chiusura (era Omnibus di Leo Longanesi, genio anticonformista ma peraltro abbastanza schierato; si vantava per esempio di aver dato lui a Arturo Toscanini – che si era rifiutato, in un concerto a Bologna, di suonare Giovinezza – un famoso schiaffo; il maestro se ne andò in America). Ma è ormai il 1948 quando, in compagnia di un politico in viaggio elettorale (prenderà il 2 per cento), Savinio approda a Catanzaro; il suo Diario calabrese (ricostruito dallo storico Vittorio Cappelli per Rubbettino) è pieno di amenità. Racconta di Alarico, che era venuto a morire nel 410 in Calabria, bramando l’Italia prima ancora di conoscerla, «come Giaufredo Rudel amò prima di vederla Melisanda di Tripoli». Calabresi zoomorfi a testa di pecora (come ama disegnare gli umani Savinio) sanno che l’ultimo dei briganti calabresi (“patrioti”) si chiamava Svampa; i nonni hanno assistito alla sua impiccagione. Campanella, il filosofo calabro che raggirò nel 1601 i torturatori del Sant’Uffizio fingendosi pazzo in 40 ore di corda e cavalletto, è infatti definito «robusto», e se ne cita il verso: «Quanto ho mangiato! E del digiun pur moro» – «questo nome mi giunge nuovo», confessa l’autista a testa di montone. E se Savinio accenna a «denonzie secrete in materia di sanità», si riferisce a Vicenza (per «mia moglie non vuole trasferirsi a Catanzaro», la recente frase virale con cui è stata rifiutata una nomina a commissario della sanità calabra, si veda il programma di Crozza del 16 novembre scorso). Catanzaro all’inizio non piacque a Vivant Denon, il creatore del Louvre: ma c’è un motivo, ci arrivò, nel 1778, dal lato del mare. La veduta «gradevolissima», si corresse, è quella dalla Porta di terra, ed è da quello scorcio che è ritratta nel più fastosamente illustrato dei viaggi d’autore del Settecento, il Voyage pittoresque nell’Italia del Sud. Squisito incisore, Denon era abituato a disegnare in qualunque condizione; sotto l’artiglieria della battaglia di Eylau, Napoleone stesso era accorso a trascinarlo via. Nel sud Italia, Denon si era portato una schiera di pittori, ed è un’incisione di Louis Châtelet che mostra il mare sullo sfondo e Catanzaro «in cima a una montagna, circondata d’altre» – oggi collegate dall’ardita campata di un ponte Morandi.

PiccolaMiaCittà” 2. “L’inventore dei paparazzi” di Daria Galateria, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” dell’11 di novembre dell’anno 2022: George Gissing - lo scrittore che faceva "rabbrividire di sgomento e commozione" Virginia Woolf - si era innamorato, ancora minorenne, di una prostituta; si era in piena epoca vittoriana, e lui intese redimerla. A questo   scopo voleva comperarle una macchina da cucire; e essendo senza soldi (ma era così brillante che aveva vinto la borsa di studio per l'Owens College, dove primeggiava) derubò i suoi compagni di studi. Il College assunse un investigatore, Gissing fu scoperto, cacciato e condannato a un mese di lavori forzati. Era il 1876; dei simpatizzanti gli trovarono lavoro in America, dove visse precariamente; tornando in Inghilterra, sposò, il 27 ottobre 1879, e sempre pare controllandola, la sua prostituta (finì alcolizzata); impalmò poi una donna del popolo, di indole violenta (nel destino, due figli e il manicomio), e infine una francese che lo amava, e lo tradusse. Intanto infatti aveva scritto 23 romanzi e altrettante raccolte di racconti; e era considerato tra i migliori scrittori dell'epoca, quando, nel 1897, intraprese il viaggio che racconterà in Verso il mar Ionio (il libro esce ora nell'ottima cura di Mauro F. Minervino per Exòrma), avendo avuto cura di redigere a Napoli un testamento. Partiva infatti l'erudito Gissing verso una Calabria considerata scrigno di antichi tesori, lontana dai fumi dell'Inghilterra industriale, un mondo immoto, aspro e primitivo. Trovò invece in quel Sud la devastazione di un moderno "distruttivo, caotico e insipiente", ma anche "il posto più vicino al paradiso dove avesse mai sperato di giungere". Le donne ancora si pettinano l'un l'altra, si cucina e si mangia all'aperto, l'acqua si attinge con mirabili giare, e sempre tra clamori di grida e gesticolazioni - per il trasbordo dell'immane baule libresco di Gissing dodici uomini si azzuffano; il vincitore mostra la sposa, che di slancio, su per una strada scoscesa e tortuosa, si innesta la cassa sulla testa. I mari sono schiumosi e "illuni", e è impossibile a Gissing vedere la tomba di Alarico o Capo Colonna; ma gli curano bene la tisi in alberghi come "stalle mal tenute"; i paesaggi sono magnifici, i cafoni deformi, uomo e asino arano di concerto, le croci di legno per strada indicano gli omicidi, i doganieri sono sospettosi, i vescovi ignoranti e i governanti corrotti - i calabresi cupi onesti e orgogliosi (che differenza con Napoli!). Le donne girano scalze con abiti preziosi, o stracci lerci; a Catanzaro le borghesi stanno chiuse in casa. Un ristoratore si chiama Paparazzo: Fellini stava leggendo Gissing mentre girava La dolce vita e se ne ispirò per il nome del fotografo; da allora si chiamano paparazzi.

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