"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 27 febbraio 2023

Memoriae. 37 Curzio Maltese: «Ora tocca raccontare l'Italia agli italiani. Noi abbiamo perso».


CurzioMalteseglialtri”. Ieri Curzio ci ha lasciato e ci ha per sempre lasciato una Sua “memoria” – ad un Paese immemore – che ha per titolo “Il Cavaliere vice del suo vice” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 3 di ottobre dell’anno 2013: All’ora di pranzo si compie la tragedia di un uomo ridicolo. Berlusconi poteva scegliersi una fine drammatica da Caimano, con paesaggi in fiamme alle spalle, oppure una farsesca. Ha scelto con coerenza la seconda. All’una e mezza, quando l’ombra del Cavaliere annuncia la fiducia e subito scoppia a piangere, sulle tribune del Senato la stampa di mezzo mondo esplode in una risata. (…). Erano arrivati tutti al richiamo della grande giornata storica ed eccoci a raccontare la solita replica dell’8 settembre all’italiana. Un 8 settembre della destra, dove Berlusconi è allo stesso tempo Mussolini, Badoglio e il re, ma l’annuncio rimane lo stesso della guerra che continua a fianco dell’alleato, chiunque esso sia. Il generale ha firmato la resa senza avvisare i colonnelli, i quali hanno continuato a spararsi contro fino a notte fonda nei talk show. Sui banchi della destra campeggiano ancora in bella vista le copie del Giornale di famiglia, detto un tempo Il Geniale, con titolo di scatola «Alfano tradisce», mentre Berlusconi annuncia la fiducia al governo Letta. «Non senza travaglio», sia pur minuscolo. I falchi guardano le colombe, le colombe puntano i falchi, le pitonesse strisciano via: possibile? Da ieri il grande eversore è l’ultimo allievo di Andreotti («Se sei in minoranza, unisciti alla maggioranza»). Berlusconi è diventato infine il vice di Alfano, in un hegeliano e spettacolare rovesciamento del rapporto servo padrone. Del resto i paradossi della giornata non si contano, ma una sola cosa è certa. Come leader Berlusconi è finito. Dopo la pagliacciata di ieri ha perso lo scettro del comando e non potrà mai più essere il candidato premier del centrodestra. Si è reso non candidabile. (…). …è curioso che in fondo a un ventennio trascorso a combattere il nemico «comunista», Berlusconi non sia riuscito a distruggere la sinistra, ma in compenso sia ormai a un passo dal demolire la destra. La lascia a pezzi, immersa nel grottesco, ridotta a una ruota di scorta, anzi due, e senza un capo. Tutto questo per inseguire un bluff. (…). …Berlusconi non aveva alcun interesse a far cadere il governo e sull’orlo del baratro si sarebbe ritratto. La minaccia dell’arma fine di mondo era soltanto l’ultimo disperato ricatto di un leader ormai spinto ai margini da se stesso, dai propri comportamenti e reati, per ottenere un impossibile salvacondotto dal governo e dal Quirinale. Così è andata infine, ma il bluff è fallito nel più dilettantesco dei modi. (…). Si tratta appunto di una tragedia ridicola. (…). A febbraio, il risultato del voto era stato salutato da qualche politico straniero e da un bel pezzo di stampa estera come la «vittoria dei clown», anzitutto Berlusconi e Grillo. Il presidente Napolitano si era indignato, aveva preteso scuse. Chissà se a distanza di sei mesi e di tante pagliacciate, il presidente è ancora della stessa opinione. Impossibile dimenticarlo. Di seguito, “Curzio, un fuoriclasse che odiava i servi furbi e frustava i conformisti” di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, lunedì 27 di febbraio 2023: Curzio ci ha lasciato in un giorno di pioggia. Era un fuoriclasse. Il primo a capire che la politica ormai imitava la cattiva televisione. Nei suoi anni d'oro - prima che la malattia lo consumasse - alle nove di sera accendeva la sua trentesima Marlboro, finiva il penultimo caffè, diceva "ora scrivo" e lo faceva come niente fosse: 80 righe filate in venti minuti. Buone per la prima pagina. Aveva il talento naturale del narratore. Pescava indizi dai nuovi paesaggi della politica, per trasformarli in un viaggio dentro agli eterni vizi della società italiana. A cominciare dall'anomia delle classi dirigenti, laiche o cattoliche, disposte a qualunque corruzione per il potere e il privilegio. Il conformismo ottuso della borghesia, che campa grazie al compromesso, all'ipocrisia, al piagnisteo. La subalternità culturale della sinistra orfana di identità e dunque abbagliata dalle mode e dalla ricchezza, ma con l'aggravante del moralismo che l'eccesso di spocchia volta in aceto. L'eterna sudditanza dei ceti più deboli che al netto del rancore, si piegano volentieri all'inchino per il favore, per la raccomandazione, per la mancia. Tutti vizi che si sono moltiplicati durante gli anni Novanta, che in uno dei suoi ultimi libri ha chiamato "il decennio dei servi". Curzio sapeva raccontare l'Italia camminandoci dentro. Era partito dalla faticosa periferia di Sesto San Giovanni, anno 1959, orfano da piccolissimo, lavoratore studente fino alle aule di Scienze politiche. Veloce di sguardo. Ironico sempre. Arrivato agli inchiostri de La Notte, il quotidiano del pomeriggio che campava di cronaca nera e titoli a scatola, e poi del giornalismo sportivo dove tutti si prendevano sul serio tranne lui, che amava più il ciclismo del calcio e il sudore che si butta sulle rampe d'Appennino, mitologia della vita dura, che condivideva con il suo futuro amico Paolo Conte. Ci siamo conosciuti nella Torino del 1987. Al quotidiano La Stampa, via Marenco 32. Tutti e due esuli temporanei dalle luci di Milano, un tristissimo Residence a testa, che sembrava Detroit, ingegneri giapponesi compresi, le notti in tipografia, mentre fuori la città-fabbrica andava a nanna alle nove di sera, per salire all'alba sui tram, direzione Mirafiori e le cento ciminiere dell'indotto. Noi in controtempo, e in contromano, fuori all'una di notte, dopo la chiusura della seconda edizione, due sole pizzerie aperte più un ristorante, il Montecarlo, che era quasi lusso. Siamo diventati amici per colpa di una certa collega degli Esteri, che si invaghì di Curzio, o viceversa, ma a scapito di un tizio delle Cronache italiane con sfida all'Ok Corral nel parcheggio, un pugno a testa, Curzio soccombente, un livido sullo zigomo, e dunque birra per risarcimento e chiacchiere fino all'alba a dirci come sarà la vita, come sarà. Furono anni notevoli. Prima con il formidabile Gaetano Scardocchia, poi con Paolo Mieli e infine con Ezio Mauro ("si può sapere dov'è Curzio? Perché non risponde al telefono?) abbiamo fatto, tutti insieme, la migliore Stampa di sempre, seguendo la ghiaia bianca che si lasciavano alle spalle i vecchi del firmamento - che si chiamavano Norberto Bobbio, Galante Garrone, Massimo Mila - e certi inviati d'alta scuola come Igor Man, Guido Vergani e Lietta Tornabuoni, la più brava di tutti. Notevoli cose accaddero. Il Muro sbriciolato a Berlino. La Lega di Bossi che ipnotizzava il Nord. Le carte giudiziarie di Di Pietro. I partiti dissolti. La fuga di Craxi. E in cima al danno, Berlusconi Silvio, con la sua macchina spettacolare che avrebbe di lì a poco, riciclato i rifiuti della prima repubblica per edificare la seconda. Di quello ci occupammo per due anni. Tutta l'avventura, minuto per minuto, che poi trasformammo in "Colpo grosso", libro sulla ascesa del Dottore fino alla cima del varietà Italia, 27 marzo 1994, che fu inchiostro ben speso, scritto a sei mani con il grande Massimo Gramellini, che già allora schedava i mostri e le gag, specie a sinistra, raccontando la loro involontaria leggerezza di foulard democratici al vento. Lavorammo quella volta per dieci giorni, tutti e tre chiusi in una casa a Punta Ala, trenta capitoli, dieci a testa, i cellulari che ancora tossicchiavano, non c'era mai campo, quindi niente interferenze da Roma, da Milano, dalle fidanzate, ogni sera passata davanti al mare fuori stagione a parlare dei marziani di Publitalia, di Occhetto il velista, degli occhiali di Mike Bongiorno, il vero ideologo del partito della nazione, della profezia di Fedele Confalonieri: o il partito per difenderci o la galera per debiti. Altro che "questo è il Paese che amo". Da allora, Curzio seguì Ezio Mauro «Repubblica, editorialista per una ventina d'anni filati, amato dai lettori, detestato dai politici, come è giusto, l'incontro della vita con Paola, la nascita di Zeno, le estati in California e a Sperlonga, le partite di poker che qualche volta duravano una notte. L'amicizia con Renzo Piano. Il sodalizio con Sabina e Corrado Guzzanti. Il litigio con Beppe Grillo, "il miliardario sovversivo". Il libro inchiesta sui forzieri del Vaticano, "La questua"; sul declino della nazione, "Come ti sei ridotto"; sulla fine dell'inganno berlusconiano "La bolla". Nel 2014, la scelta di candidarsi alle Europee con la lista Tsipras, sinistra radicale, anche per disincanto professionale, "il giornalismo sta diventando ornamentale”: Era vero e non era vero, tant'è che avrebbe voluto tornarci a fine mandato. La malattia lo ha circondato e fatto prigioniero per cinque anni. "Ho dovuto ricominciare da capo, un passo alla volta, una parola alla volta”. Voleva scrivere, voleva ricordare. Lo ha fatto, sino all'ultimo, sulla prima pagina di Domani e in un nuovo libro autobiografico appena terminato, che uscirà postumo. Lo angosciava la brutta Italia che vedeva, il futuro che si mangiava la parte buona del passato. Ha scritto: "E poi ti trovi davanti questi ragazzi assiepati in un'aula universitaria, tutti aspiranti giornalisti. Dove, come, chissà. Ora tocca a voi raccontare l'Italia agli italiani. Noi abbiamo perso”. Nel suo caso è stato vero il contrario.

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