Ha scritto Umberto Galimberti in “Beata adolescenza” pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” dell’11 di dicembre dell’anno 2001: (…). …l’adolescenza
conosce gesti che non diventano stili di vita, azioni che si esauriscono nei
gesti, progetti che si dileguano tra i sogni, passioni di un giorno cancellate
da una notte, incertezze di un corpo che si fa e disfa a seconda delle ore del giorno,
infedeltà ai modelli che si assumono per darsi un contegno, trasgressioni che
si rinnovano per la creazione di un ordine nuovo, tappa inconclusa dell’eterno
disordine. Sensualità imprecisa dove il cuore ha ancora legami con l’ideale e
con il sesso, senza riuscire a decidere con chi dei due entrare in intensa
relazione. Sguardo cattivo che non sa dove scatenarsi: se su di sé o sugli
altri, vigilia di notti in cui si celebra l’eccesso della vita oltre le misure
concesse, gioiosa confusione dei codici, fino al limite dove è il codice della
vita a confondersi con quello della morte. Malinconie radicali che nessun
diario riesce a contenere perché il volume delle sensazioni è troppo al di là
delle parole a disposizione. E l’adulto guarda questa inquietudine che muta. Ma
il suo sguardo è fermo. I suoi reiterati no alla vita sono stati formulati
sotto il sigillo dei principi. Non più azioni esaurite nei gesti, ma azioni
inghiottite dall’abitudine; progetti non più dileguati nei sogni, ma
costruzioni, mattone dopo mattone, in cui reperire quel compenso alla felicità
mancata che si chiama sicurezza. Notti senza sogni, perché le passioni hanno
abbandonato non solo le notti, ma anche i giorni. Il corpo continua a farsi e
soprattutto a disfarsi, ma la cosa non angoscia più. L’identità degli adulti si
è allontanata dal loro corpo per consegnarsi alla loro funzione. L’ordine
ricaccia il disordine nelle cantine della memoria e alle trasgressioni accedono
solo nei giorni festivi, rassicurati dal fatto che tutte le feste sono
comandate. La cadenza del rito, sotto il quale pigrizie e abitudini giocano la
loro tresca, vien da loro fatta passare per coerenza, una coerenza che gronda
in ogni dove di mancanza di creatività. Sessualità precisa, ben separata da
idee e ideali, così la sessualità diventa licenza, e l’idea, che più non osa
sfiorare l’ideale, si ammanta di realismo, il realismo di concretezza, la
concretezza di efficacia, l’efficacia di affidabilità, l’affidabilità di
maturità raggiunta. Di seguito, “L’insegnante
che manca” di Enzo Bianchi – fondatore e già priore della Comunità
Monastica di Bose - pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 6 di febbraio
2023:
(…). L'in-segnante è colui che fa segno, che indica l'orizzonte, che aiuta nel
trovare l'oriente da dove scaturisce la luce. Proprio come l'oracolo di Delfi:
"Il Signore a cui appartiene l'oracolo non dice né nasconde, ma fa segno
(semaínein)". Esperto nella vita sa dire parole di stimolo alla ricerca;
suggerisce e non impone, ma neppure tace. Scriveva Adolphe Gesché: "Noi
insegnanti siamo chiamati a porre gesti espressivi, portatori di senso e di
vita, perché insegnare ha a che fare con il problema del senso nella sua
triplice accezione di significato, orientamento, sapore/gusto. È nella ricerca
del significato che si comprende la realtà, il mondo; è nel discernere
l'orientamento che si aderisce al destino della vita e si trova un fine
all'esistenza; è nel sapore/gusto che vengono mobilitati i sensi per accedere
alla bellezza dell'opera d'arte". L'insegnante, in rapporto con persone
più giovani, accende una relazione che non è né asettica né periferica, ma, (…),
è erotica sebbene asimmetrica. L'insegnante ha una funzione generativa e grande
è la sua responsabilità educativa. Se educare (da educere) significa
"condurre fuori da..., verso, far uscire", l'insegnante deve far fare
un esodo introducendo al rischio della libertà connessa alla vita. Certo, in
una società senza padri questo rapporto è delicato perché l'insegnante deve
sentirsi non un padre ma un traghettatore, tutt'al più un iniziatore nei
confronti del giovane, che vive in un mondo in cui si è gettati nella vita,
piuttosto che accolti e accompagnati. Non si può dunque educare senza
insegnare: l'educazione senza l'insegnamento risulta vuota e degenera in
retorica morale. Ma si può insegnare senza educare, come osservava Hannah Arendt (in Tra passato e futuro) quando suggeriva
che: "L'educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il
mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è
inevitabile senza il rinnovamento, senza l'arrivo di esseri nuovi, di
giovani". All'interno della cultura di oggi che afferma il primato della
tecnica sulla sapienza, in una società popolata da immagini ma che ha perso il
senso dei simboli, in un contesto di crisi di autorevolezza che è essenziale
nei processi di educazione, di trasmissione del sapere e dell'arte del vivere,
l'insegnante deve tradere, trasmettere, saper donare parole. La sua auctoritas
è facoltà di far crescere il discepolo, accendendo in lui il desiderio di ciò
che gli manca. Quando ascolto i giovani studenti sento che questa è la loro
ricerca: trovare qualcuno che faccia loro segno su come entrare nella vita.
"L'educazione è l'arma più potente che puoi usare per cambiare il mondo". (Nelson Mandela). "Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo". (Malala Yousafzai). "Educare la mente senza educare il cuore significa non educare affatto". (Aristotele). "I bambini imparano più da come ti comporti che da cosa insegni loro". (William Edward Burghardt Du Bois). "La scuola è l'ingresso alla vita della ragione". (J.Bruner). Carissimo Aldo, grazie per questo stupendo post che rappresenta per me una conferma, ma soprattutto una grande speranza... Occorre un cambiamento radicale, una rivoluzione epocale che ci coinvolga tutti : è una sfida sul terreno dell'educazione. Il nuovo compito dell'educazione è quello di insegnare ad affrontare i rischi, le incertezze, è quello di insegnare a vivere! Grazie ancora e buona continuazione.
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