Ha scritto Marco Travaglio in “Approfittiamone” pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” di ieri, 16 di febbraio 2023: (…). La storia dei processi a B.
è una collezione di perle: tutti pezzi unici. Previti, avvocato di B., compra
con soldi di B. il giudice della sentenza su Mondadori, che passa da De
Benedetti a B.: Previti e il giudice condannati, B. prescritto perché il suo è
un reato minore (è solo il mandante). Fininvest di B. paga quattro mazzette
alla Finanza perché non scopra le frodi di B.: condannati i finanzieri e il
fratello Paolo, B. assolto. B. paga 600 mila dollari a Mills che deve
testimoniare contro di lui in due processi, poi Mills scrive al suo
commercialista il perché: “La mia testimonianza ha tenuto Mr. B. fuori da un
mare di guai in cui l’avrei gettato se avessi detto tutto quel che sapevo”
sulle società estere usate per frodare il fisco: Mills condannato in primo e
secondo grado e prescritto in Cassazione, B. prescritto subito da una giudice
che scrive di non poterlo condannare comunque perché la lettera-confessione di
Mills su B. vale per Mills, ma non per B.. Quindi Mills va condannato per
essere stato corrotto da B., ma B. non va condannato per avere corrotto Mills. Il
tutto, al netto delle 7 prescrizioni perché B. ne ha dimezzato i termini e
delle 3 assoluzioni per falso in bilancio perché lui l’ha depenalizzato. Ora la
comica finale. Il Codice penale vieta all’imputato di pagare sia i testimoni
sia i coimputati che possono inguaiarlo, ci sono montagne di prove che B. ha
pagato 28 testimoni che potevano (e spesso minacciavano di) inguaiarlo dicendo
la verità sul caso Ruby, e il Tribunale che fa? Lo assolve con tutte le
testimoni prezzolate, perché queste non andavano sentite con l’obbligo di
rispondere e dire la verità: bisognava indagarle come sue coimputate e
interrogarle col diritto di tacere o mentire (in Italia mentire alla Giustizia
è un diritto, nei Paesi civili è un crimine). E pazienza se è pure vietato
pagare i coimputati perché mentano. E pazienza se 2 gup, 3 giudici d’appello e
9 giudici delle sezioni unite di Cassazione avevano stabilito il contrario.
Perciò indignarsi è inutile. Meglio approfittarne: se delinquere e poi pagare
testimoni e complici per fregare i giudici non è più reato, diamoci da fare.
Poi, se ci beccano, diciamo che ci manda Silvio. Ha lasciato scritto ad
imperitura memoria Franco Cordero (1928 – 2020) in “Dove scivolano le norme”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”
del 29 di giugno dell’anno 2012: (…). In Italia il pubblico ministero appare
nella legge 13 novembre 1859 n. 3781, "rappresentante del potere esecutivo
presso l'autorità giudiziaria": il ministro lo dirige, nomina, promuove,
dimette; le corti non hanno poteri disciplinari nei suoi confronti; se qualcosa
non va, "rimostrino" al guardasigilli (art. 158); e gode d'una
carriera distinta da quella dei giudici, assai più aperta, ma l'art. 154
ammette transiti nei rispettivi quadri; i vertici togati vengono dall'apparato
requirente. Ancora nel regio decreto 14 dicembre 1921 n. 1978 impersona il
potere esecutivo: idea poco congeniale a uno Stato soidisant liberale; così
passa all'ordinamento giudiziario fascista (art. 69 regio decreto 30 gennaio
1941 n. 12); diretto dal ministro, esercita "le funzioni che la legge gli
assegna". Nell'Italia 2012 la "justiceretenue" è memoria
fossile: il monopolio giurisdizionale appartiene a un corpo la cui autonomia è
garantita dall'autogoverno e l'identico status compete al pubblico ministero,
ma sappiamo da Freud come il tempo non viga nell'Es, regno delle pulsioni;
interessi, abitudini, memoria collettiva formano livelli profondi su cui le
norme talvolta scivolano. Gl'interessati le eludono nelle pieghe d'una lingua
sonora, enfatica, vacua, dove le parole nascondono la cosa. Abbiamo l'esempio
sotto gli occhi. Pendono ipotesi gravissime: che vent'anni fa persone d'alto
rango trattassero con i superiori più o meno cogniti della galassia mafiosa; e
abbiano concluso un accordo (in Francia se ne stipulavano tra re e ugonotti:
XVI secolo, anni sessanta e settanta). Fosse vero, saremmo uno Stato
dall'identità equivoca, a due teste: riconosciuta quale partner d'un negoziato,
la misteriosa Connection diventa soggetto palese della prassi sinora
combattuta, almeno a parole; «convivere con la mafia», predicava un disinvolto
ministro forzaitaliota. Poche settimane fa, la Cassazione ha annullato la
condanna d'uno stretto sodale d'Arcore: veniva in questione l'idea del concorso
esterno in associazione mafiosa; qualcuno vi crede ancora? Forse distiamo poco
dalla situazione dei Paesi nei quali il narcotraffico costituisce potere forte,
quindi autorità effettiva. È materia capitale stabilire cosa sia accaduto e fin
dove l'ipotetico accordo fosse penalmente lecito. Pubblici ministeri
palermitani indagano su una persona d'alto rango, illo tempore seconda carica
dello Stato, ministro dell'Interno, vicepresidente del Csm: l'accusano d'avere
dichiarato il falso occultando fatti su cui l'ascoltavano quale possibile
testimone. Posizione scomoda: vuol evitare confronti pericolosi; lamenta
indagini «non coordinate» (vi cooperano tre procure); e sarebbe un sollievo
passare in mani meno grifagne. Giochi ogni carta difensiva, è suo diritto.
L'anomalia sta nei canali: confuti gli avversari o mandi doléances alla procura
nazionale antimafia o, se crede, al procuratore generale presso la Cassazione,
possibile promotore d'inchieste disciplinari; no, discorre fitto con i
consiglieri del Quirinale invocando aiuto. Il tutto viene fuori perché i suoi
telefoni erano sotto legittimo controllo. È una gaffe per quei consiglieri
avere accettato il dialogo: appelli simili non meritano ascolto; né sta nel
decorosamente sostenibile pretendere o pensare che il Capo dello Stato funga da
organo censorio d'atti giudiziari, ora sollecitando, ora inibendo, come se il
pubblico ministero rappresentasse ancora l'esecutivo e in via Arenula sedessero
Alfredo Rocco o Dino Grandi. Che sia una gaffe, lo provano festosi commenti dal
côté berlusconiano, fulmineo nell'auspicare larghe intese: le intercettazioni
turbano delicati equilibri; affossiamole.
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