Ha lasciato scritto Carlo Rosselli (da Wikipedia: “ucciso
nel 1937 in Francia insieme con il fratello Nello da assassini legati al regime
fascista”): «Siamo antifascisti non tanto e non solo perché siamo contro quel
complesso di fenomeni che chiamiamo fascismo; ma perché siamo per qualche cosa
che il fascismo nega ed offende, e violentemente impedisce di conseguire. Siamo
antifascisti perché in questa epoca di feroce oppressione di classe e di
oscuramento dei valori umani, ci ostiniamo a volere una società libera e giusta,
una società umana che distrugga le divisioni di classe e di razza e metta la
ricchezza, accentrata nelle mani di pochi, al servizio di tutti. Siamo
antifascisti perché nell'uomo riconosciamo il valore supremo, la ragione e la
misura di tutte le cose, e non tolleriamo che lo si umilii a strumento di
Stati, di Chiese, di Sette, fosse pure allo scopo di farlo un giorno più ricco
e felice. Siamo antifascisti perché la nostra patria non si misura a frontiere
e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale e con la patria di tutti gli
uomini liberi». (1934). Di seguito, “La meglio gioventù che stava a Salò” - tratto dal volume “Il
purgatorio dei vinti” dello storico Gianni Oliva, Mondadori editore,
pagg. 216, Euro 21 – riportato su “il Fatto Quotidiano” del 15 di febbraio
2023: Da Dario Fo a Raimondo Vianello, da Ugo Tognazzi a Walter Chiari, da Giorgio
Albertazzi a Enrico Maria Salerno: e con loro i giornalisti Enrico Ameri e Mauro
De Mauro, il futuro deputato missino Mirko Tremaglia, lo storico Roberto
Vivarelli. Ci sono tanti nomi diventati illustri tra le decine di migliaia di
uomini in uniforme della Repubblica sociale italiana che nella primavera 1945
giungono al capolinea della loro militanza fascista. Alcuni vengono arrestati
dalle truppe angloamericane negli ultimi giorni di guerra, altri si arrendono
per sfuggire alla giustizia insurrezionale, altri ancora sono consegnati alle
truppe alleate da formazioni partigiane moderate. Sono i "vinti"
della guerra civile, i "ragazzi di Salò", adolescenti o poco più che
dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 hanno scelto la continuità con i valori
del combattentismo nel quale il Ventennio li ha educati e che in nome di un
senso malinteso della patria e dell'onore sono andati volontari a cercare la
dannunziana "bella morte". La maggior parte di loro viene ammucchiata
nel campo di prigionia di Coltano, alle porte di Pisa, dove resta fino alla
fine del 1945 in attesa che siano verificate eventuali responsabilità in
crimini contro i combattenti partigiani: il campo è una vasta agricola di 1200
ettari senza l'ombra di un albero, presidiata da reparti della 92° divisione
americana "Buffalo". Di questa esperienza controversa alcuni hanno
parlato senza reticenze. Raimondo Vianello, volontario in un reparto di
bersaglieri, in un'intervista del 1998 esordisce sornione dichiarando "non
rinnego né Sanremo né Salò", poi continua con l'analisi della stagione
drammatica vissuta dalla sua generazione: prima l'educazione del Ventennio, con
i miti dell'eroismo e della patria; poi la guerra fascista 1940-43, i morti, le
sconfitte; poi ancora l'8 settembre, il crollo della nazione, l'atmosfera
diffusa di tradimento. Per un ventenne come Vianello la Repubblica sociale
significa continuità con la cultura di provenienza: "I giovani che sono
andati a Salò dovrebbero essere più rispettati, se non altro per i loro ideali
ispiratori - afferma nell'intervista - Erano spinti dall'idea di non
abbandonare la battaglia, anche se destinati a perdere, e questo conferisce
dignità morale alla scelta. Chi è andato su sapeva di finire male. Non va
abiurato". La riflessione esula da considerazioni su che cosa sarebbe
accaduto in Europa se tutto il continente fosse caduto sotto il nuovo ordine
dominato da Hitler, ma stabilisce una distinzione netta tra le responsabilità
del regime ("ciò che va rinnegata è l'esperienza del regime, la dittatura,
anche perché il fascismo imborghesendosi ha tradito le sue origini socialiste")
e la "buona fede" dei "ragazzi di Salò" che "sono
andati a combattere della Rsi non per vincere la guerra, ma per tenere fede
alla parola data". (...). Altri non hanno rilasciato interviste specifiche
sulle ragioni della scelta, ma non hanno negato l'appartenenza alla Rsi. È il caso
di Enrico MariaSalerno, che arriva al campo di Coltano nel luglio 1945: è un
giovanissimo, classe 1926, a 17 anni si è arruolato volontario della Guardia
Nazionale Repubblicana. Anche per lui, una scelta di campo figlia dei miti coltivati
nella Gioventù Littoria. Dell'ambiente di Coltano ha il ricordo del caldo
sfibrante e dei maltrattamenti: "Attorno al campo, chiuso dai reticolati e
dalle torrette di guardia, c'erano pini altissimi e ombrosi, ma il campo era al
sole cocente, non un albero, non un angolo d'ombra". Rispetto al passato
repubblicano, nessuna abiura e nessuna rivendicazione da parte sua:
semplicemente, la consapevolezza di una stagione difficile, attraversata
nell'età più fragile, l'adolescenza. E la coscienza di ciò che è stato diventa
lo strumento per un'attività artistica dove la testimonianza democratica è
sincera quanto priva di pregiudizi. Non a caso egli esordisce come attore protagonista
ne’ La lunga notte del '43, film del regista Florestano Vancini e tratto da un
testo di Giorgio Bassani, ambientato nella Ferrara del novembre 1943, dove per
rappresaglia gli squadristi di Salò fucilano dieci cittadini inermi accusati di
attività antifascista. Un altro personaggio dello spettacolo che non ha mai
smentito le sue scelte giovanili, e che secondo alcune fonti è stato
prigioniero a Coltano, è Walter Michele Armando Annichiarico, per tutti Walter Chiari.
Nato nel 1924 a Verona, dopo un'adolescenza irrequieta tra studi irregolari e
lavori improvvisati, nel 1944 Chiari entra nella Decima Mas di Junio Valerio
Borghese e collabora con alcune vignette satiriche al giornale del reparto,
L'Orizzonte. Le testimonianze sulla sua esperienza militare non sono concordi.
Secondo alcuni, dopo un periodo con i marò del "Principe Nero", egli
si aggrega volontario a reparti della Wehrmacht e partecipa alla battaglia
delle Ardenne; dopo la sconfitta germanica sul Reno, egli rientra rocambolescamente
in Italia, dove nel maggio 1945 viene arrestato e imprigionato a Coltano.
Secondo altri, egli viene catturato a Milano nei giorni della Liberazione ma,
facendosi credere ex internato militare fuggito dai campi germanici, ottiene il
rilascio e può rientrare a casa sua a Verona. In ogni caso, la sua adesione
alla Rsi è riconosciuta e mai smentita, così come traspare anche da alcune sue
battute colte dalle cronache: in un teatro di Genova, nel 1975, saluta dal
palco "gli amici - della prima fila e anche della decima", in
riferimento alla Decima Mas. Uomo destinato a una brillante carriera
universitaria e storico noto per la nettezza delle sue posizioni antifasciste è
Roberto Vivarelli, classe 1929, che nell'estate 1944, appena quindicenne,
ottiene di entrare nelle Brigate Nere. I suoi conti con il passato sono lucidi
e onesti ed esprimono ciò che molti prigionieri di Coltano hanno pensato senza
avere il coraggio per esprimerlo: "Se qualcuno mi chiedesse se sono
pentito di aver combattuto nelle file della Repubblica di Salò, risponderei di
no, pur essendo oggi consapevole che la causa era moralmente e storicamente
ingiusta". Riconoscere le motivazioni delle scelte non significa riabilitare
la Rsi, ma evitare che essa funga da assoluzione per tutti coloro che hanno
rimosso il proprio passato di cittadini irreggimentati: "Il tribunale speciale, le leggi razziali, l'alleanza con Hitler,
l'intervento in guerra al fianco di coloro che sembravano allora i vincitori,
sono fatti odiosi che ben più di Salò hanno qualificato il fascismo".
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